Incontri/ Israele è cambiato, ce ne siamo accorti?

di Roberto Zadik

Cosa cambia per Israele? Ovvero che ne sarà di Israele nel Mediterraneo ridisegnato dalle rivolte dei giovani arabi?

É questa la domanda a cui, mercoledì 9 marzo, hanno tentato di dare una risposta Antonio Ferrari e Vittorio Dan Segre nell’incontro del ciclo “La rivolta araba” organizzato dall’Ispi e dalla Fondazione Corriere della Sera.

Tanto è complessa la domanda e tanto lo è forse la risposta.

Gli elementi di cui tener conto nei fatti mediterranei dello scorso febbraio, ha sottolineato Segre, è che esse sono rivolte e non rivoluzioni come quelle che abbiamo studiato sui libri di scuola. C’è una grande differenza fra le rivolte dell’oggi e quelle del passato, e questa differenza è determinata innanzitutto dal ruolo dei media, a cominciare da internet in generale e poi dai social networks – facebook e twitter in testa. Per capire l’importanza di questi ultimi, basti pensare che è stato proprio grazie ad essi che le donne, in genere piuttosto restie ad esporsi, hanno deciso di scendere in piazza a manifestare tutto il loro scontento per i regimi a fianco degli uomini.

Spostando l’attenzione su Israele, Dan Segre si è soffermato più che sul cosa cambierà, su ciò che è già cambiato per Israele

Israele infatti è cambiato ed è cambiato non certo ora e non certo repentinamente, ma con un processo lento, non sempre percepito dai più. Israele ha subito una sua lenta trasformazione che lo ha portato via via a negare le sue origini laiche e sioniste, per andare a scavare nel fondo di sé e riportare alla luce e anzi mettere proprio in primo piano, le sue radici religiose.

Israele, nato laico, democratico e “sradicato”, oggi, afferma Dan Segre, è sempre più spesso dominato dalla religione e dai religiosi e sempre più spesso fa appello alle sue radici religiose per legittimarsi. L’unico elemento immutato e per ora irrinunciabile sembra essere la sua democrazia – tant’è vero che i ragazzi arabi non hanno esitato, nei giorni della loro rivolta, a citare Israele come modello di stato democratico per il Medio Oriente.

Ma se la democrazia in Israele continua a tenere, a cedere appunto è la laicità.

Il vecchio stato laico sorto con il movimento sionista, distante e senza troppe simpatie per il rabbinato, oggi è sempre più spesso piegato alla religione; Israele sembra teso a diventare uno stato teocratico, uno stato ebraicamente inteso”.

I religiosi ortodossi sono diventati la parte più numerosa della popolazione israeliana, sono disoccupati e fuori del mercato del lavoro e costituiscono perciò da un lato un grosso peso economico per il paese – visto che non lavorano e ricevono sussidi di mantenimento dallo stato; dall’altro hanno un grosso peso politico – tant’è che la trasformazione del paese in senso religioso è determinata anche dalla necessità di conquistare il loro consenso elettorale. Uno dei modi che lo Stato ha escogitato per “rientrare” diciamo così, nelle spese per il mantenimento di questa fetta consistente di popolazione, è il loro impiego massiccio nell’esercito e nei servizi segreti – sia gli uomini che le donne. Mentre infatti gli uomini entrano nelle truppe speciali, le donne entrano a far parte dei reparti dell’intelligence. Una novità questa determinata anche dal modo in cui è cambiata la guerra: sempre meno carri armati e sempre più intelligence e servizi segreti. Ciò richiede grande preparazione tecnica e scientifica, ma anche grandi investimenti nella ricerca.

Israele ha bisogno di tenere alto il suo livello di preparazione scientifica e osserva ancora Segre, non è un caso che la classe dirigente del paese sia oggi composta in larga misura da ex riservisti che si sono formati in appositi dipartimenti scientifici.

Quanto al conflitto con i palestinesi, secondo Dan Segre, per quanto devastante esso sia stato e continui ad essere, esso è servito se non altro a compattare e tenere unito un paese disomogeo, composto da immigrati e persone delle più disparate provenienze. Cosa che forse si può altrettanto dire per gli arabi che però, dice Dan Segre, non hanno usato questa loro unità per sostenere i palestinesi.

L’Israele descritto da Vittorio Dan Segre, sembra dunque un paese attento a quel che accade nel mediterraneo ma allo stesso tempo ripiegato su se stesso, che sta seguendo una sua linea di sviluppo dettata, si direbbe, più da problemi di assetto interno che di politica estera; o meglio dettata da un’idea di conflitto con il mondo arabo e i palestinesi che non sembra più attuale. Più che trasformare i modi di fare la guerra, dunque i governi israeliani dovrebbero pensare al modo di rendere la guerra un elemento marginale della vita del paese. E il cambiamento in atto nel mondo arabo oggi, potrebbe essere l’occasione da non farsi sfuggire.