di Michael Soncin
«Effettivamente c’è una radice religiosa di antigiudaismo maturato nei secoli dalla chiesa, che è poi diventata la base di alcune espressioni di antisemitismo nel corso delle varie epoche storiche. L’obiettivo è quello di capire se esiste effettivamente ai giorni nostri un antisemitismo della chiesa, dove si esplicita e in quali contesti esso si esprime».
È quanto ha espresso Noemi Di Segni, Presidente dell’UCEI – Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, durante la conferenza dal nome “Le radici dell’antisemitismo nel cristianesimo?”, organizzata dal SAE – Segretariato Attività Ecumeniche, della sezione di Cosenza nella giornata del 16 giugno 2021.
Al dibattito hanno partecipato anche: Antonella Bullo, responsabile del gruppo SAE di Venezia; Saul Meghnagi, pedagogista, già preside dell’Istituto Superiore per la Formazione; Simone Morandini vicepreside dell’Istituto di Studi Ecumenici “San Bernardino”.
La presidente dell’Ucei nel riconoscere lo sforzo fatto dal mondo cristiano, anche solo all’idea di volere affrontare un tema così importante e così difficile, ha sottolineato che si tratta di uno sforzo che anche il mondo ebraico deve avere la capacità di riconoscere. «Noto uno sforzo a livello ufficiale nelle sfere alte della chiesa, ma credo che si debba fare un lavoro nelle parrocchie, sui libri di testo e nell’uso quotidiano di messaggi che a volte sono subliminali. Ci sono dei passi in avanti da parte della chiesa, fatti di poche parole, che possono sembrare poco, ma in realtà sono passi da gigante se analizzati all’interno di un contesto che attraversa i secoli», afferma Di Segni, ricordando poi che con il documento Nostra aetate è stata fatta una rivoluzione e rappresenta un punto di assoluto riferimento per un cambiamento importante.
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Cosa è emerso dall’analisi dei testi scolastici?
La presidente Ucei parla inoltre di un importante accordo messo in atto assieme alla CEI – Conferenza Episcopale Italiana: un lavoro di verifica dei diversi testi di studio adoperati nelle scuole cattoliche e di quelli utilizzati durante l’ora di religione nelle scuole pubbliche. Dall’analisi sono emerse delle carenze, o perché il testo stesso non menziona determinate situazioni o per il modo in cui è scritto. «Spesso la storia degli ebrei è appiattita su un’esperienza riconducibile alla Shoah o alla fuga dall’Egitto», commenta Di Segni. E che dire invece dei testi di livello accademico nei quali sono presenti messaggi subdoli e subliminali? «Contestare il testo al professore universitario è un lavoro ancora più difficile, considerata l’autorevolezza dell’intervento in cattedra di docenti accreditati», sottolinea Noemi Di Segni.
Di Segni ribadisce inoltre che se il pregiudizio antiebraico è presente in alcuni contesti della chiesa è perché molto probabilmente manca un impegno capillare; un percorso che è stato alla base di tutto questo, maturato poi come antisemitismo: “Non si arriva al fascismo, alle leggi antiebraiche, alla Shoah, dal nulla, ma dopo secoli e secoli fatti anche di fake news provenienti dal mondo cattolico, come il pregiudizio che gli ebrei usano il sangue dei bambini per fare le azzime della Pasqua. Una serie di informazioni ripetute così tanto che poi diventano verità”, ha detto la presidente Ucei al termine del suo discorso, complimentandosi con il SAE per il coraggio avuto nell’affrontare un tema di questo tipo.
Il SAE a Venezia
«A Venezia abbiamo una lunga esperienza di dialogo ebraico-cristiano fatto dal SAE assieme alla Comunità Evangelica Luterana, dove Amos Luzzato ha avuto un’importanza nell’aiuto al dialogo, aiutandoci a capirci, a studiare assieme», ha detto Antonella Bullo del SAE di Venezia, citando anche lo storico ebreo Jules Isaac come un punto fondamentale che ha permesso di “ripensare al modo di essere cristiani”.
È dal 1985 che annualmente a Venezia si tengono degli incontri tra cristiani ed ebrei, “sempre a due voci, questo è fondamentale”, ribadisce Bullo. «Conoscere l’evoluzione dei rapporti tra gli ebrei e cristiani dalle origini fino al IV-V secolo è essenziale per comprendere tutta la storia successiva e capire non solo come si è giunti agli esiti drammatici del XX secolo ma quali sono i passi che le chiese sono chiamate a fare nel III millennio».
Uno sguardo al passato
Meghnagi inizia il suo intervento volgendo uno sguardo al passato, facendo un salto nel 70 e.v., la tragica data di quando Gerusalemme venne distrutta e con essa venne perso anche un immaginario collettivo costituito da un popolo che aveva una propria bandiera, lingua, moneta, religione ed esercito; tutte caratteristiche identitarie che sono quelle di una realtà in cui popolo e nazione coincidono. Questo fenomeno ha fatto sì che il popolo ebraico enfatizzasse in qualche modo la dimensione religiosa, permettendo così di mantenerne la continuità e vivendo in un contesto che li porterà a confrontarsi con lo sviluppo della civiltà cristiana.
“Con Amos Luzzato – dice Meghnagi – abbiamo ragionato molte volte su quelli che sono i paradossi della storia e della memoria, poichè la storia costruisce delle identità che non sono solamente religiose, motivo per cui ci sono alcuni elementi che pesano come macigni”.
La funzione e l’utilizzo dei simboli
La pala di Paolo Uccello (nella foto)- racconta Meghnagi – che si trova ad Urbino è straordinaria nella sua bellezza artistica ma profondamente crudele nel suo significato. Le sei tavole parlano dell’omicidio rituale, si vedono immagini forti come quella di un pugnale conficcato in un’ostia su quelli che vengono identificati come ebrei o un’altra figura, ad esempio, con dipinto il rogo degli ebrei. Si tratta di un’opera avente una simbologia che, come tutta la simbologia in generale, ha una funzione pedagogica che si colloca in una realtà in cui l’analfabetismo dilagava”.
Secondo Meghnagi è un esempio di un’immagine che, come molte altre, ha inciso nella coscienza e nell’identità nella cultura dell’occidente e non necessariamente solo nei credenti poiché è una componente costitutiva dell’identità stessa. “Il pregiudizio – e l’incidenza – dell’antigiudaismo cattolico-cristiano si è fortemente evoluto nella componente dei credenti, rimanendo particolarmente in quella che è la cultura diffusa, anche e soprattutto in coloro che sono lontani dalla fede”.
“Oggi – continua Meghnagi – rimane il peso della storia e delle forme con cui vengono utilizzati i simboli e di ciò che è stato proposto in due millenni come elemento di contrapposizione. La cosa più sconvolgente che ho visto nelle ultime settimane è quando nelle manifestazioni propalestinesi delle persone hanno sfilato con il disegno di un telo di un Cristo in croce con scritto: “L’hanno fatto una volta, lascerete che venga fatto un’altra”. È un fatto che la riflessione teologica ha superato, ma che è stato assunto in una contrapposizione politica che non ha esitato ad utilizzare un pregiudizio per sostenere una causa”.
Meghnagi sottolinea inoltre che vi è un paradosso legato al tempo. “Ciò che è stato costruito dalle fedi, viene oggi rielaborato dalle fedi stesse in un confronto che ritengo essere molto positivo e proficuo, ma permangono dei germi che sono la parte negativa e che alimentano i conflitti. Ciò è avvenuto anche nella Seconda guerra mondiale. Il Mein Kampf fa uso di questo schema, un antisemitismo di tipo razziale che utilizza degli stereotipi di matrice religiosa”.
Il peso della storia che rimane
Il caso del Beato Simonino da Trento
Continuando a parlare del peso della storia che rimane, Simone Morandini ha menzionato il caso de Il Beato Simonino da Trento: “La storia parla di un bambino ucciso nel 1447 e del suo corpo misteriosamente ritrovato nei pressi della sinagoga di Trento. Un fatto che finì con l’accusare gli ebrei di omicidio rituale, sfociato poi in atti di violenza. Ebbene, solamente nel 1965 il Beato Simonino non è più Beato, ma è stato riconosciuto come fake news, ritenuta tale anche dal Museo Diocesano di Trento”.
Morandini chiarisce che sebbene da una parte vi sia una documentazione puntuale di quanti pronunciamenti magistrali vi siano stati per sfatare questo falso mito dell’ebraismo fatto di omicidi rituali, dall’altra vi è una concreta persistenza da parte di una certa fazione del mondo cristiano di questo immaginario negativo dell’ebreo. “Una dimostrazione esemplare è il caso del pittore tradizionalista Giovanni Gasparro che nel 2020 ha riproposto con una sua opera, tra l’altro brutta, il martirio di San Simonino per omicidio rituale ebraico. Un’immagine che è stata molto diffusa sul web, una scelta infelice, criticata duramente sia dalle comunità ebraiche, sia dal mondo cattolico. La stessa Diocesi di Trento ha deprecato questo tipo di scelta, ha affermato Morandini.
L’antigiudaismo luterano
Un personaggio che appartiene alla tematica affrontata è senza dubbio Martin Lutero, il quale, come ben dice Morandini, aveva aspettative favorevoli nei confronti del mondo ebraico, poiché speranzoso che la sua riproposizione di un cristianesimo profondamente radicato nelle sacre scritture potesse avvicinare gli ebrei alla fede cristiana. “Sappiamo che quando questo non si è realizzato Lutero si è scatenato, scrivendo testi come il trattato del 1543 intitolato Degli ebrei e delle loro menzogne, un libro decisamente antigiudaico che invocava addirittura ad azione violente nei confronti degli ebrei, un testo oggi che le chiese evangeliche disconoscono e hanno espunto dall’insieme dei loro libri confessionali”.
Una storia che viene da lontano ma che pesa come un macigno, tant’è che ben cinque secoli dopo, non sfuggì alle mistificazioni propagandistiche messe in atto dalla Germania nazista. Una strumentalizzazione “che conferì una patina religiosa al proprio antisemitismo che non era fondamentalmente di matrice cristiana ma che ha attinto a stereotipi cristiani e protestanti. Forse dal punto di vista simbolico ciò che ha avuto il massimo impatto per la chiesa cattolica è la richiesta di perdono da parte di Giovanni Paolo II nel 2000 per i peccati commessi non solo dai singoli credenti ma dalla comunità ecclesiale contro gli ebrei”, ha detto Morandini al termine del suo intervento.