L’ombra del Gran Muftì sulla rinascita ebraica

Ebraismo

di Vittorio Robiati Bendaud

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Gli Ebrei e il Corano/ 5 puntata: il primo Novecento

Uno dei momenti di svolta per gli ebrei del Medioriente fu la nascita nel 1860 dell’Alliance Israélite Universelle che con le sue scuole costruì una nuova generazione di leader. A infiammare i cuori e la speranza giunse anche il Sionismo. L’irruzione della modernità veicolò nuove e positive forme di convivenza. L’epoca coloniale e mandataria apre un nuovo capitolo ebraico in Medioriente

 

L’ebraismo in Terra d’Islam si affaccia sul XX secolo in modo non meno vessato sebbene più dinamico. Sotto l’effetto della presenza europea in Nord Africa e Vicino Oriente, e in particolare agli inizi del Novecento, gli ebrei hanno in genere potuto accedere, al pari di alcune minoranze cristiane, a una forma di modernità culturale e talvolta persino di sviluppo economico precedentemente sconosciuta. Questo coincise, non senza tensioni da parte islamica, a un progressivo, ma incoerente, affrancamento dallo statuto ancestrale di Dhimmi. Nel 1848 il Sultano Abdul Mejid riconobbe uno status ufficiale ai sudditi ebrei e cristiani; nel 1865 il Sultano Abdul Aziz fece di più, allentando la rigida normativa sui Dhimmi, prevista dal Patto di ‘Umàr. Nel 1893 il Sultano Abdul Hamid II si definì “magnanimo protettore e sovrano dei suoi sudditi ebrei”. Tuttavia l’infamia e la crudeltà della Dhimmitudine poco dopo mieterono ancora decine di migliaia di vittime innocenti attraverso l’ideologia panislamica avallata dal medesimo Sultano. Nel 1894-1896 furono infatti perseguitati e massacrati un numero di armeni che oscilla tra le 100.000 e le 300.000 persone, con un totale complessivo di bambini orfani stimato attorno ai 50.000, molti dei quali convertiti a forza all’Islàm. In quel frangente, inoltre, vennero uccisi circa 25.000 cristiani assiri.
Uno dei principali momenti di svolta per gli ebrei nelle Terre d’Islàm giunse, nel 1860, con la fondazione a Parigi della prima organizzazione mondiale ebraica, l’Alliance Israélite Universelle, volta a soccorrere e sostenere gli ebrei ovunque fosse necessario, lottando per i loro diritti. Lo strumento più rilevante e capillare adottato fu quello dell’istruzione delle giovani generazioni attraverso un network di scuole provviste di uno staff di docenti ebrei europei o di formazione europea. In ogni regione del Dar al-Islàm ove vi fossero ebrei, l’Alliance provvide a formare i futuri leader delle locali Comunità, come pure, anzitutto, a dare un senso di coesione e di freno alla disperazione, preservando l’identità ebraica e combattendo l’influenza dei missionari cristiani sulla popolazione ebraica. Nel 1867, ad esempio, l’Alliance aiutò non pochi ebrei iraniani a costruirsi una nuova vita, per lo più rurale, in Eretz Israel, la Palestina Ottomana, fuggendo così dalle tremende misure religiose islamiche adottate contro di loro. Ne riportiamo alcune (Norme per gli ebrei della città persiana di Hamadan, 1892): “Agli ebrei è proibito lasciare le loro case quando piove o quando nevica; è fatto divieto agli ebrei di sorpassare un musulmano sulla pubblica via; è fatto divieto agli ebrei di alzare la voce nei riguardi di un musulmano; se un musulmano insulta un ebreo, quest’ultimo deve chinare il capo e tacere; è fatto divieto agli ebrei di costruire edifici di pregio; è fatto divieto agli ebrei di avere la casa più alta di quella del loro vicino musulmano…”.

LE DIVERSE POLITICHE COLONIALI
Verso la fine del XIX secolo, a Basilea, nel 1897, Theodor Herzl riunì e presiedette il Primo Congresso Sionistico. Il programma sionista ricorse immediatamente alla diplomazia per persuadere gli Ottomani a costruire un asilo, materiale e spirituale, per gli ebrei in Terra di Israele. Nonostante il Sionismo al momento del suo nascere sia stato per lo più un movimento culturale e politico ebraico di matrice ashkenazita, presenziarono al Congresso del 1897 M. E. Attali, in rappresentanza dell’ebraismo tunisino, e E. Valensin, rappresentante della città francese di Montpellier, ove avevano trovato rifugio numerosi ebrei nord-africani. Sempre nel corso dei lavori del Primo Congresso Sionistico, un gruppo di ebrei tunisini, autodefinitisi “Gioventù Sionista”, mandarono i loro entusiastici saluti. Al Secondo Congresso Sionistico (Basilea, 1898) si aggiunsero ulteriori delegati tunisini e saluti ufficiali pervennero dai gruppi sionistici della città marocchina di Mogador. Nel 1898 venne fondata un’associazione sionista nella città di Alessandria d’Egitto. Nel 1900 furono fondati centri sionistici a Mogador e Tetuan. Nel 1904 vi erano sedi di associazioni sionistiche in Port Said, Suez, Tanta e Mansura. Dai registri dell’ufficio sionistico centrale di Vienna si apprende che in tutto il Nord Africa numerose centinaia e centinaia di ebrei aderirono alla World Zionist Organization.  Nel 1908, nella città marocchina di Fez, uno dei principali centri locali della pietà musulmana, gli ebrei costituirono un centro della Chibbàth Tziòn, mentre, nel 1912, a Tripoli, il fotografo Elia Nhaisi fondò la locale società sionista.
A differenza del mondo ashkenazita, sin da subito le maggiori autorità rabbiniche sefardite per lo più appoggiarono e salutarono con estremo favore il sogno sionista.
I musulmani furono immediatamente sospettosi in relazione alla nascita del Sionismo. Il 29 aprile 1898 l’ambasciatore ottomano a Washington, Ali Ferruh Bey, allertò il Sultano al riguardo, invitandolo a correggere con vigore l’errore commesso nei secoli dai suoi predecessori e antenati di tollerare presenze non islamiche in Palestina. Il Sultano recepì il consiglio e vennero prese rigide misure contro gli ebrei che tentavano di tornare in Terra di Israele, come pure furono imposte tasse per i visitatori ebrei di Gerusalemme. Le autorità ottomane, nel 1907, presero ulteriori misure per impedire la vendita di terra agli ebrei, come pure imposero tasse gravose a tutta la popolazione ebraica locale.
Sin dalle ultime decadi dell’Ottocento, le potenze coloniali – Gran Bretagna e Francia in particolare-, nel momento in cui la loro amministrazione dovette governare i Paesi islamici loro sottomessi, cercarono per lo più di strutturare forme di governo ispirate a quelle europee. Vennero così aboliti e smantellati gli istituti sociali, educativi e di mutuo soccorso della società islamica, vigenti colà da secoli. Questo provocò ulteriore risentimento da parte della popolazione musulmana locale, che nel frattempo, con orrore, vedeva per la prima volta iniziare a emanciparsi, e talora a prosperare, coloro da sempre considerati subalterni: ebrei e cristiani armeni, copti e assiri. La Germania guglielmina, che pure governava alcune popolazioni islamiche, adattò un sistema di dominio diverso, ossia mantenne funzionanti le strutture di governo previste dall’Islàm. Il governo tedesco di quei territori si esercitava, cioè, attraverso il tradizionale governo islamico degli stessi. Tale attitudine tedesca, ovviamente, era funzionale a destabilizzare gli imperi coloniali britannico e francese, in quanto mostrava ai suoi sudditi musulmani un apprezzamento dell’Islàm e maggiore considerazione, acuendo la rabbia popolare contro Francia, Gran Bretagna e Dhimmi. Tali dinamiche fecero sì che, se da una parte non pochi leader religiosi islamici simpatizzarono per la causa tedesca e per la politicizzazione “tedesca” dell’Islàm, al contempo i dipartimenti di arabistica e di islamistica fiorirono nelle università tedesche, con la creazione di mensili, biblioteche e gruppi di discussione volti al medesimo fine. Molti islamologi tedeschi appoggiarono entusiasticamente, per il “bene” e la prosperità della nazione germanica, tale politicizzazione “geneticamente modificata” dell’Islàm. Soltanto poche voci accademiche, ancorché molto autorevoli, si levarono nettamente contrarie a questo eccitamento politico-bellico-religioso, poiché, data la natura ambivalente dell’Islàm stesso circa guerra e pace, ritennero che ciò avrebbe contribuito a creare un “mostro” (ricordo, al riguardo, l’orientalista danese Christiaan Snouck Hurgronje). Tuttavia l’irruzione della modernità veicolò anche possibilità nuove, potenzialmente positive, di convivenza. Nel 1906, sotto la spinta di una nuova costituzione e di maggiori poteri al Parlamento (il Majlis), gli ebrei di Persia ottennero la parità dei diritti, come ogni altro cittadino, musulmano o meno. A decorrere dal 21 maggio 1910, nella città persiana di Shiraz, vi furono però violenti moti antiebraici con l’uccisione di numerose persone. Molti ebrei trovarono rifugio, in quella e in altre drammatiche occasioni che si riproposero a Shiraz, presso il Consolato Britanno o presso le case di amici musulmani che li protessero. Va doverosamente fatto rilevare che i musulmani che ospitarono, soccorsero e difesero gli ebrei in siffatti frangenti, lo fecero a loro rischio e pericolo, esponendo loro stessi a disprezzo e morte.

RAPIMENTI E MASSACRI, DAL MAROCCO A BAGDAD
In Nord Africa la situazione si faceva drammatica per gli ebrei. La lista dei morti è desolante. Nel 1903, in Marocco, vennero uccisi quaranta ebrei a Taza; nel 1907 almeno cinquanta furono massacrati a Settat e una trentina a Casablanca, ove circa duecento donne ebree furono rapite, stuprate e poi riconsegnate alla locale Comunità. Nel 1912, nel Kurdistan, una dozzina di ebrei venne trucidata, sì che gran parte della popolazione ebraica locale abbandonò averi e case per recarsi alla volta di Eretz Israel. Nel contempo, a Baghdad, il rabbino ‘Ezra Reuven Dangur (poi rabbino capo di Baghdad dopo la Guerra Guerra) fondò la prima stamperia ebraico-araba della città, mentre Sasson Heskel venne delegato dalla città di Baghdad come suo rappresentante al Parlamento Ottomano. Lo statuto del Millet, riformulazione ottomana della Dhimmitudine, collassò nel corso della Prima Guerra Mondiale con il Genocidio del Popolo Armeno, annientato per i suoi due terzi, in cui la Germania giocò un ruolo fondamentale. H. Amin al-Husaynī, futuro Gran Muftì di Gerusalemme, fu arruolato nell’esercito ottomano e venne assegnato alla 47ª Brigata, stazionata dentro e intorno alla città di Smirne, all’epoca a maggioranza cristiana (greci e armeni). Fu testimone diretto del Genocidio Armeno (arruolato tra le file ottomane), perpetratosi tra gli anni 1915 e 1916, entrando a contatto anche con i tedeschi, mentre gli armeni venivano deportati e avviati verso il deserto di Der Ez-zor, tra Siria e Iraq, per la “soluzione finale”. Al-Husaynī, nel novembre 1916, tornò a Gerusalemme. L’Yshuv, la Seconda Alyà e il futuro Stato dovranno vedersela con lui.