Festival di Venezia, il ritorno di Rama Burshtein 4 anni dopo la “Sposa promessa”

Taccuino

di Roberto Zadik

Solitamente la maggioranza degli artisti e dei creativi ebrei e israeliani appartengono ad ambienti laici e secolarizzati, ce ne sono diversi esempi da Woody Allen, a Stanley Kubrick, a Steven Spielberg e alcuni sfoggiano atteggiamenti decisamente polemici e ribelli verso la tradizione o verso Israele, si pensi al cantautore Assaf Avidan, al regista Eran Riklis o a Shalom Auslander autore del provocatorio “Il lamento del prepuzio.” Ci sono però diverse eccezioni e storicamente come nel presente diversi sono i creativi appartenenti a gruppi religiosi. Si pensi a scrittori del calibro di Isaac e Israel Singer, a Chaim Potok o all’appena scomparso Elie Wiesel, piuttosto che all’attore inglese Sascha Baron Cohen e al medico e saggista Oliver Sacks, tutti provenienti da un background molto tradizionalista. Ebbene fra questi,, la brava regista americana naturalizzata israeliana Rama Burshtein che, quattro anni fa ha ottenuto grande successo di pubblico e critico con “La sposa promessa” ricevendo vari premi prestigiosi come la Coppa Volpi destinata all’attrice protagonista Hadas Yaron e diverse candidature all’Oscar.

Ora in questa edizione del Festival di Venezia, la cineasta torna alla carica, sempre sul tema del matrimonio, si vede che è un argomento che le piace parecchio, con il suo nuovo lavoro “Appuntamento per la sposa” che però a differenza del suo film precedente sembra essere più una commedia che non un film drammatico. Decisa a rappresentare il mondo ortodosso in  maniera più positiva e meno aspra di autori come Amos Gitai – che col suo “Kadosh” aveva scatenato un vespaio – la Burshtein si cimenta in questa “wedding comedy” che in ebraico si chiama “Laavor et Hakir” e che uscirà nelle sale italiane il prossimo 24 novembre.

Sebbene manchi ancora un po’ di tempo vi svelo qualche “chicca”, data la mia impazienza mi piace sempre giocare d’anticipo e spaziare in questo mio blog, da biografie, a recensioni, a anticipazioni su film, album e libri di autori ebrei contemporanei. Ebbene di cosa parla questa pellicola? Veniamo al dunque, come si dice. Il film interpretato da attori israeliani come Noa Koler, Amos Tamam e Oz Zehavi, che verrà proiettato a Venezia il prossimo 2 settembre nella sezione “Orizzonti”,  tratta di un’altra “sposa promessa”, una certa Michal, una donna di 32 anni, una ex laica tornata alla religione da dodici anni e che sta per sposarsi. Tutto sembra filare liscio quando il suo futuro marito, alla vigilia delle tanto attese nozze, le dice di aver cambiato idea e non vuole sposarla. La donna, molto addolorata, non si arrende e mantenendo fede e positività decide di lottare per riconquistarlo e cerca di farsi forza con la religione e l’ottimismo: “Ho il luogo, il vestito e l’appartamento. Dio mi troverà sicuramente un marito”.

Con la sua consueta vena introspettiva la regista 50enne non intende limitarsi a una semplice commedia rosa all’americana e nonostante la trama appaia esile e un po’ banale, almeno a me, la pellicola pare che sia avvincente e decisamente profonda  e ricca di colpi di scena.

Chissà se ripeterà il successo de “La sposa promessa” e quali saranno le reazioni al Festival e in Israele dove la spaccatura fra religiosi e laici è molto forte. Sicuramente il film intende come dice il titolo in inglese “Through the wall” abbattere un muro, scavare una breccia, citando a la celebre canzone dei Doors “Break on through” sottolineando la tenacia della protagonista che vuole scavalcare ostacoli e titubanze malgrado abbia visto  infrangersi improvvisamente il suo sogno.  Come ha detto la regista “questo film intende dare forza allo spettatore perché Michal vuole lottare e far vincere il bene sul male. A volte per riuscirci devi avere piena fiducia in quell’azione, chiudere gli occhi e saltare giù dal trampolino anche se non sei sicuro che nella piscina ci sia l’acqua”. Si tratta di un forte messaggio di speranza, visti i tempi cupi che stiamo vivendo ancora di più, e di  una trama interessante in concorso a Venezia. La Burshtein  si conferma regista sincera e coraggiosa capace di  mettere in scena il mondo ortodosso e ebraico davanti a platee internazionali e non ebraiche con realismo, sensibilità e misura, doti che nel cinema e nella vita quotidiana sono di fondamentale importanza.