Cohen e Reed, ricordo di due cupi poeti ebrei d’oltreoceano, in occasione della loro scomparsa

Taccuino

di Roberto Zadik

In questo blog spesso decido di sprofondare in qualche approfondimento, di darmi a special e omaggi non limitandomi solo a un freddo elenco di notizie ormai rintracciabili dappertutto nel “mare magnum” del web. Ma cosa avevano in comune due grandi poeti e cantautori ebrei askenaziti del Nuovo Continente come Leonard Cohen e Lou Reed? Scomparsi nello stesso periodo, il 7 novembre 2016 Cohen a 82 anni e il 27 ottobre 2013 Lou Reed, ormai 4 anni fa, a 71 anni, i due artisti e prolifici cantautori si rivelano non solo opposti, ma complementari e con sorprendenti comunanze e vistose differenze.

Non faccio spesso confronti, ma qui vale proprio la pena. Non solo perché accanto a Bob Dylan, questi due autori sono stati i più efficaci verseggiatori della canzone americana ebraica ma perché entrambi  a modo loro hanno rivoluzionato il sound e i contenuti della musica moderna. Vediamo in che modo e chi erano nella loro vita privata.

Chi era Leonard Cohen

Cominciando dall’ombroso e raffinato canadese Leonard Cohen, Vergine ascendente Vergine, nato il 21 settembre 1934,  la sua vita sembra più un romanzo che una semplice quotidianità. Divenuto famoso con canzoni complesse, spesso esistenziali e raffinate nel suo decennio migliore gli anni ’70, ispiratore di grandi cantautori italiani, come De Andrè, che ricantò la sua canzone più famosa “Suzanne” riadattandone in italiano i bellissimi versi, Cohen è sempre stato sobrio, misurato, contenuto e mai ha dato scandalo, divenendo celebre solo per le sue canzoni e il suo impegno musicale e letterario e non per la fitta schiera di gossip e eccessi come nel caso di Lou Reed, eccessivo e ribelle, sia coi Velvet Underground che da solista.

Introspettivo e notturno, intimista e romantico, voce letteraria possente, pur non avendo grandi mezzi vocali riusciva a diventare inconfondibile nella sua espressività e esordì nel 1967 a 33 anni  col suo album “Songs of Leonard Cohen”. Alla faccia degli entusiasmi e delle scelleratezze hippie, si pensi agli scatenati Beatles post Brian Epstein, produttore che li voleva ordinati e perfettini e di icone di sesso,  droga e rock n’ roll come Jim Morrison o Jimi Hendrix qui,  con Leonard Cohen,  siamo su un altro Pianeta decisamente.

Autore pessimista, riservato e malinconico, fin dagli inizi, pieno di riferimenti biblici come Bob Dylan che però era più idealista e esuberante, Cohen ha mantenuto la sua impeccabile “aplomb” per 30 anni di carriera.  Lo dimostrano canzoni come “So long Marianne” romantica  e sognante, “Take this Waltz” che fa sognare la Vienna di un tempo o uno dei suoi pezzi migliori “I m your man” del 1989 tutte caratterizzate da vena intimista, poetica e delicatamente coinvolgente. Seria e essenziale anche la sua vita privata, nonostante alcune “scappatelle” in cui fu legato a sua moglie, Suzanne Elrod per una vita intera e impegnato per qualche tempo con l’attrice Rebecca De Mornay e padre di due figli Adam, produttore musicale e Lorca.

Uno dei suoi capolavori accanto a “Suzanne” del 1966 è la spirituale “Halleluja”del 1984 rifatta da una folta serie di musicisti, da Jeff Buckley figlio di Tim , cantautore morto misteriosamente dopo aver composto la splendida “Grace”, a Bob Dylan fino alla nostrana cantante Elisa e grande successo che conferma l’ebraicità di Cohen che dopo essere stato religioso da giovane, si avvicinò come il poeta Allen Ginsberg al buddismo rifugiandosi in un monastero e venendo soprannominato “Jikan” (silenzioso). Nonostante questo il cantautore ha spesso dichiarato di essere sempre rimasto attaccato “alla sua vecchia religione” e a Israele dove si esibì diverse volte.

Lou Reed

Ora passiamo a Lou Reed e per molti versi siamo all’opposto. Nato a New York il 2 marzo 1942 (Pesci)  e morto il 27 ottobre 2013, di questo cantautore colto, eccessivo, dedito a droghe, eccessi e vertici di genialità o abissi di disperazione ho parlato altre due volte. Ora mi soffermo sul paragone con Cohen. Anche lui ombroso, dark, interessato però al lato oscuro dell’essere umano, alle vite di emarginati, travestiti, drogati, amico e collega del pittore e produttore Andy Warhol che lo lanciò nel 1966, stesso anno dell’esordio di Cohen, con il gruppo dei Velvet Underground in cui spiccava la voce baritonale della cantante tedesca Nico Paffgen che con Reed ebbe un rapporto tempestoso.

Lou Reed era un tipo strano, subì elettroshock su imposizione dei suoi genitori, famiglia di avvocati ebrei newyorchesi laici e benestanti convinti che potesse così “curarsi” dalla sua omosessualità. Ma le cose peggiorarono. Inquieto, enigmatico, sarcastico Lou Reed era fin da giovane un personaggio che mischiava rabbia e profondità come ben si sente nelle sue canzoni. Riuscì a passare da canzoni “dure” e bellissime come “Vicious” invettiva contro Warhol a dolci e romantici poemi, da “Satellite of Love” a poesie scritte per varie donne, Lisa, Caroline, Stephanie, non si sa vere o immaginarie, o la bellissima “Legendary Hearts” dedicata alla seconda e ultima moglie Laurie Anderson.

Amico del suo professore Delmore Schwarz che alla Siracuse University di New York, lo iniziò alla Letteratura e alla Filosofia, avido lettore e sperimentatore di trasgressioni, Reed ebbe una vita sentimentale e artistica a dir poco instabile legandosi a vari partner, da Warhol, a Mick Jagger a David Bowie a cui lo unì una lunga amicizia amorosa. Bisessuale come lui, sposatosi due volte una con la sudamericana Sylvia Morales e l’altra con l’artista multimediale Laurie Anderson, compagna fino agli ultimi giorni dei suoi 71 anni di vita, il cantautore newyorchese è stato molto prolifico eccellendo nella sua carriera solista durata più di trent’anni e iniziata con l’esplosivo album “Transformer” del 1972 prodotto da Bowie. Non volendovi anestetizzare con chilometriche biografie mi limito a qualche ulteriore nota., Questo talentuoso musicista passò fra vari temi, dalla sua New York all’omosessualità, dall’amore all’odio, a richiami religiosi ma molto vaghi. Registrò classici come “Heroin” la prima canzone a parlare esplicitamente di droga nel 1966, “Waitin’ for the man” o”Venus in Furs” dove alludeva in anticipo su qualunque censura e epoca, a spacciatori, rapporti morbosi, solitudini e angosce metropolitane rivelandosi sorprendentemente moderno e attuale per i suoi tempi e i nostri, Controcorrente, fragile e ribelle negli anni ’70 tirò fuori la sua vena rock e anche grande sentimento con ballate memorabili come “Satellite of love”, “I love you” o “Perfect Day” rivelandosi espressivo, suadente e ipnotico nei testi e nelle sue performance dal vivo che però non sempre erano coinvolgenti, data la timidezza e l’abuso di droghe. Concludendo cosa c’entrano Lou Reed e Cohen? Se ne sono andati due grandi poeti d’oltreoceano, due inquieti cantautori ebrei, lo spirituale e raffinato Cohen e il torbido e irrequieto Lou Reed, due anime complementari e agli antipodi, introspettivi, malinconici e sentimentali ma cion generi e registri completamente diversi che hanno saputo dare alla musica e alla canzone un sapore completamente nuovo e il gusto, ormai affievolito dall’immagine e dal consumismo imperanti odierni, della profondità,il coraggio della confessione e della costante e logorante ricerca interiore, artistica e umana che li ha sempre caratterizzati.