Premi Ophir 2023: trionfa “Sette Benedizioni”, che potrebbe partecipare agli Oscar 2024

Spettacolo

di Pietro Baragiola
Domenica 10 settembre al Centro delle arti dello spettacolo di Tel Aviv si è tenuta l’annuale cerimonia dei Premi Ophir, gli “Oscar israeliani” dove quest’anno ha trionfato Sette Benedizioni, il nuovo capolavoro di Ayelet Menahemi.

Il film ruota attorno al trauma che da anni perseguita una sposa e la sua famiglia ebraica marocchina, complicandone i rapporti durante il rito della Sheva Brachot.

Oltre a segnare il grande ritorno nel panorama cinematografico della regista Menahemi, questa pellicola è riuscita ad aggiudicarsi gran parte dei premi per i quali era stata nominata (10 vittorie su 12 nomination), compreso il titolo di “Miglior film” che le permetterà di rappresentare Israele agli Oscar 2024 per il “Miglior film in lingua straniera”, categoria che la nazione non ha ancora vinto.

“Sette Benedizioni”: la trama

Ambientato nella Gerusalemme dei primi anni ’90, Sette Benedizioni si inserisce nella lunga tradizione cinematografica delle grandi riunioni di famiglia che portano a galla vecchi conflitti.

In questo specifico caso, le tensioni si articolano durante i 7 pasti che le famiglie degli sposi organizzano dopo le nozze ebraiche per prolungare i festeggiamenti ed estendere la loro benedizione.

Il conflitto principale che guida l’intera trama è quello presente tra la protagonista Marie (Reymond Amsalem) e la madre Hanna (Tiki Dayan) che da bambina l’aveva “abbandonata” affidandola alla zia Gracia (Rivka Bahar) fino al giorno in cui l’intera famiglia è immigrata in Israele dal Marocco.

In seguito Marie si è trasferita in Francia, facendo carriera come direttrice di banca e trovando l’amore, ma a 42 anni nutre ancora molta rabbia nei confronti dei suoi parenti per l’infanzia subita.

Sarà al matrimonio di Marie che si mostreranno le prime dinamiche di questa famiglia complicata a partire dal momento in cui, sotto la chuppah matrimoniale, il rabbino invita Hanna a bagnare con il vino i capelli della figlia e lei, a sua volta, chiede a Gracia di aiutarla.

Il tema della madre adottiva non è nuovo nel cinema israeliano: era già stato affrontato nel 2006 grazie al melodramma musicale Three Mothers di Dina Zvi Riklis ma Sette Benedizioni lo riprende con maggiore intensità.

I conflitti familiari si accentuano ancora di più durante i 7 pasti tenuti a casa dei diversi parenti, rivelando una trama ricca di personaggi, ciascuno capace di fare breccia nel cuore degli spettatori. Uno di questi parenti peculiari è lo zio sordo di Marie che, pur essendo presente solo all’inizio della storia, porta con sé un significato molto importante: nel mezzo del caos famigliare, solo chi non sente è in grado di “ascoltare” meglio l’amore e il dolore che si celano dietro le urla e gli schiamazzi.

Il copione è stato scritto dall’attrice protagonista Reymond Amsalem insieme alla sceneggiatrice Eleanor Sela, che si è ispirata alla sua stessa famiglia per la creazione dei personaggi. Durante la presentazione del progetto, Sela ha spiegato che per aggiungere veridicità alla trama alcuni dei parenti di Marie sono stati interpretati dai genitori, fratelli e zii dei membri della produzione, garantendo quel calore famigliare che ha permesso il successo del film.

Il rito della Sheva Brachot

Sette Benedizioni deve il suo titolo al rito della Sheva Brachot: la tradizione ebraica di benedire a più riprese gli sposi per estendere il messaggio di gioia e speranza sulla nuova unione.

Questo rito, che rappresenta il cuore della cerimonia matrimoniale ebraica, è stato anche descritto nel Talmud, facendolo così risalire al II secolo d.C, ma, secondo gli studiosi, le sue origini potrebbero essere ancora più antiche.

Solitamente recitate dal rabbino sotto la chuppah durante il matrimonio, queste benedizioni tendono ad essere ripetute una volta al giorno dagli amici e parenti della coppia nel corso della settimana successiva alla cerimonia, organizzando pranzi e cene per riunire tutta la famiglia.

Con il tempo si sono aggiunte nuove modifiche al rito originale, sempre seguendo i desideri dei novelli sposi: a volte le benedizioni vengono recitate sia in ebraico che in inglese per non escludere nessuno dei partecipanti; alcuni sposi chiedono benedizioni personalizzate su di loro; altri ancora chiedono che gli amici e i parenti recitino le benedizioni durante la cerimonia al posto del rabbino.

Secondo la tradizione, a questi pranzi o cene non esistono restrizioni alimentari e dovrebbero includere un minimo di dieci invitati, comprendendo almeno una persona che non era presente al matrimonio. Una volta riuniti i commensali, le benedizioni vengono cantate su una coppa di vino da cui la coppia poi berrà per celebrare insieme la loro eterna unione.

Gli Ophir Awards

Il 2023 è stato un anno molto prospero di creatività per l’industria cinematografica israeliana: ben 121 progetti hanno partecipato alla serata degli Ophir Awards, la “notte degli Oscar israeliani” che si è svolta domenica 10 settembre.

I Premi Ophir (in onore dell’attore israeliano Shaike Ophir) sono riconoscimenti assegnati dall’Accademia Israeliana di cinema e televisione per celebrare i più grandi professionisti del settore. La prima cerimonia di consegna è avvenuta nel 1982 e, a partire dal 1990, è stata celebrata annualmente all’interno del Centro delle arti dello spettacolo di Tel Aviv.

Condotto dall’attrice israeliana Alma Zack, l’evento di quest’anno ha visto il trionfo di Sette Benedizioni che è riuscito ad aggiudicarsi 10 premi: “Miglior film”, “Miglior regia”, “Miglior attrice protagonista” e “Miglior attrice non protagonista”, oltre che “Miglior trucco”, “Miglior casting” e “Miglior colonna sonora”.

La statuetta più importante dell’intera serata è stata quella per il “Miglior film” che ogni anno permette al vincitore di diventare il candidato israeliano per gli Oscar al “Miglior film straniero”.

Il film di Menahemi è riuscito ad ottenere questo titolo tanto ambito, nonostante il successo delle altre pellicole in gara: Home, la storia vera delle lotte di un giovane haredi per aprire un negozio di computer nel suo quartiere; L’altra vedova, il racconto di una donna che partecipa alla cerimonia funebre dell’amante tenendo nascosta la propria identità; The Vanishing Soldier, la storia di un soldato che si assenta per stare con la sua ragazza a Tel Aviv per poi scoprire che l’esercito pensa che sia stato rapito in battaglia.

Oltre a mostrare questi capolavori, la cerimonia del 10 settembre è stata protagonista di molte altre sorprese come il premio alla carriera consegnato al produttore Katriel Shori dal 10° Presidente di Israele, Reuven Rivlin, e la presenza dell’attrice Samar Qupty che ha sfilato sul red carpet con indosso un abito bianco di Mervat Hakroush con schizzi di rosso disegnati strategicamente in modo da sembrare macchie di sangue. Qupty, candidata come miglior attrice non protagonista per il suo ruolo nel film The Future di Noam Kaplan, è arrivata all’evento accompagnata da Watfa Jabali, una delle fondatrici del movimento “Madri per la vita”. Questa iniziativa si occupa di denunciare apertamente i crimini avvenuti nella comunità araba in Israele che quest’anno hanno portato alla morte di 173 cittadini (più del doppio rispetto al 2022).

“Sono stata nominata per un film intitolato The Future, ma se non affrontiamo la violenza del presente non ci sarà mai un futuro” ha affermato Qupty, sottolineando il suo sostegno all’iniziativa di Jabali.

Anche altri partecipanti si sono uniti alla protesta indossando braccialetti neri in solidarietà con il dolore vissuto dalle famiglie arabe israeliane e persino la protagonista di Sette Benedizioni, Reymond Amsalem, ha usato il suo discorso di premiazione per sostenere Jabali affermando che “la società araba non è separata da noi, è noi! Ed è nostra responsabilità condividere il dolore e cercare giustizia”.