A quarantacinque anni dalla sua uscita, torna sugli schermi l’esilarante “Animal House”

di Roberto Zadik
Ritorna nelle sale italiane, da giovedì 8 giugno, un  classico della comicità demenziale: “Animal house”. Il rapporto di John Belushi col mondo ebraico americano e il regista del film John Landis.
In soli sette anni di carriera e trentatre di vita, l’attore e cantante John Belushi è diventato una leggenda; sicuramente, una tappa fondamentale del suo successo è stato il suo sodalizio con il talentuoso regista ebreo, di origini russe, John Landis, estremamente a suo agio sia nella commedia sia nel genere horror. Proprio con lui ha esordito come straripante attore capocomico, nel 1978, ormai quasi mezzo secolo fa, con Animal House che, dal prossimo 8 giugno, ritornerà sugli schermi italiani, in versione originale sottotitolata, distribuito da Academy Two.
Il film, girato in sole tre settimane, ha consacrato Belushi, reduce da cinque anni di sketch tv all’interno del mitico programma Saturday Night Live, come attore e intrattenitore di fama internazionale; la conferma della sua bravura si è  avuta, nemmeno due anni dopo, da un altro capolavoro dello humor demenziale, sempre in coppia con Landis, Blues Brothers, uscito nel 1980 e passato alla storia per la nuova veste di Belushi come cantante, che, assieme allo smilzo attore canadese Dan Aykroyd, diventò  leader della band dei Blues Brothers.
Landis e Belushi hanno formato un’accoppiata esplosiva perché il regista, famoso anche per aver diretto, nel 1983, uno dei più bei video di Michael Jackson, Thriller, sapeva contenere il temperamento autodistruttivo di Belushi e canalizzarne la straripante verve comica come pochi altri sono stati capaci di fare.
Ma di cosa parla questa pellicola rappresentante, a tutti gli effetti, dell’umorismo ebraico demenziale americano? Caratterizzata, come molti film di Mel Brooks e dei Fratelli Zucker, quelli de L’aereo più pazzo del mondo, da una serie di gag e da una comicità fracassona e senza troppe pretese è stata prodotta da Ivan Reitman, regista ebreo di origini slovacche e futuro autore del campione d’incassi Ghostbusters in cui, poco prima della sua morte, proprio Belushi è stato ingaggiato fra gli attori.
La pellicola racconta delle scorribande dello stralunato studente universitario John Blutarsky, nome decisamente ashkenazita, detto Bluto, carismatico leader della godereccia confraternita dei Delta, in accesa rivalità con i colleghi “perfettini” e “secchioni” della Omega. Motivato a creare scompiglio nel campus universitario, lo scatenato Bluto, nato dalla sceneggiatura impeccabile di un altro ebreo americano, futuro Ghostbuster, come Harold Ramis, si è rivelato un perfetto alter ego dell’esuberante Belushi che, secondo le biografie, già da ragazzo mostrava un carattere complesso, insicuro e ribelle come il protagonista della pellicola.
Scene memorabili, come il “toga party” o come lo “sputacibo”, gag spiazzanti come quando Bluto, mentre scende le scale, spacca la chitarra di uno stonato cantante, hanno assicurato il colossale successo di questo film che, come ha sottolineato il sito Coming Soon in un articolo firmato da Daniela Catelli, è  stato realizzato con un budget assai scarso riuscendo a guadagnare enormemente di più.
Belushi, pur non essendo ebreo, nato da una modesta famiglia albanese e in lotta col padre che lo voleva nel suo ristorante, ha avuto un rapporto molto stretto con il mondo ebraico americano; uno dei suoi film più famosi è  stato 1941 Allarme a Hollywood, diretto da Spielberg. Il prossimo 3 agosto, il grande Landis compirà 73 anni e, sposato con la costumista Deborah Nadoolman e padre di due figli, è stato definito dal sito dell’enciclopedia Treccani come “uno dei registi più intelligenti e innovativi” del cinema americano; sicuramente, fra gli anni ’70 e gli anni ’80, egli raggiunse un’enorme popolarità con le commedie Animal House e Blues Brothers e l’horror Un lupo mannaro americano a Londra in una carriera, iniziata nel 1973, cinquant’anni fa con la commedia horror Schlock.