Vent’anni fa moriva lo scrittore ebreo newyorchese Chaim Potok, l’ortodosso ribelle

di Roberto Zadik
Chaim Potok fu sicuramente un autore unico nel suo genere che, a differenza dei laici Philip Roth, Norman Mailer o Paul Auster, si distinse come primo portavoce delle nevrosi e delle problematiche del mondo ortodosso newyorchese, in cui nacque da famiglia di origine polacca il 17 febbraio 1929. Nelle sue opere sviluppò una serie di tematiche fondamentali e di estrema attualità che, spesso, pungolano l’ebraismo contemporaneo, dal dissidio fra religiosi e laici, al rapporto complesso fra cultura secolare ed educazione religiosa,  fino al delicato tema dei matrimoni interreligiosi.

Proprio le discordanze fra ” ebrei ortodossi” ed “ebrei lontani” costituiscono il tema portante del suo fulminante esordio; infatti, nel libro Danny L’eletto, uscito nel 1967 e ambientato nella New York anni ’40, egli racconta dell’amicizia fra due adolescenti, provenienti da ambienti agli antipodi, il religioso Danny Saunders e il laico Reuven Malter che, nonostante ciò, si legheranno per tutta la vita.

Scomparso a 73 anni, il 23 luglio del 2002, vent’anni fa, egli fu un innovatore ed un personaggio carismatico e tormentato che passò dal chassidismo del suo ambiente d’origine alla progressiva fascinazione per l’ebraismo Conservative. Personalità estremamente artistica e versatile egli si distinse come scrittore, docente universitario, pittore ed intellettuale di alto livello.

Come ha sottolineato un intenso approfondimento sulle peculiarità di questo interessante autore, uscito sul New York Times il giorno dopo la sua scomparsa, con la sua prima opera, intitolata in originale The Chosen, egli svelò al pubblico un mondo fino ad allora inaccessibile come quello dell’ortodossia chassidica. In che modo? L’appassionante trama del romanzo, diventato un film di successo intitolato Gli eletti, diretto da Jeremy Kagan nel 1981, con star di alto livello come Rod Steiger,  attraverso l’alter ego di Danny rispecchia in gran parte la difficile quotidianità famigliare di Potok.Lo scrittore, infatti, proveniva da un ambiente estremamente rigido e da una famiglia numerosa, essendo il maggiore di altri quattro fratelli,  nella quale veniva vietato di leggere libri non ebraici e le arti venivano considerate, nel migliore dei casi, una perdita di tempo. Egli si oppose sempre di più al suo contesto e, secondo  le varie biografie ed articoli di nascosto dai suoi genitori, si costruì un mondo parallelo, passando molto tempo nella libreria pubblica a divorare classici come Joyce, Dostojevskij, Hemingway ed i racconti suggestivi dello scrittore ebreo galiziano S.Y.Agnon che furono fra le sue principali influenze.

Così, fin dall’adolescenza, si gettò nel turbine della scrittura; determinanti per la sua trasformazione furono non solo le letture, ma anche le esperienze militari nella Guerra di Corea e gli studi universitari sulla letteratura inglese. Una vita estremamente intensa e piena di contraddizioni quella di questo scrittore che continuò a riflettere sull’adolescenza e la giovinezza, sul rapporto tra ebrei,  quello fra gli stessi e la società esterna e sulla sua complicata relazione con la religiosità che egli, a modo suo, mai abbandonò. Infatti, dopo aver pubblicato La promessa, seguito del suo primo romanzo, nel 1972, Potok attirò l’attenzione della critica con un libro stravagante come Il mio nome è Asher Lev,  che narra le vicende di un ragazzo ortodosso, molto solitario,  che sogna di diventare pittore e che, invece, deve, come il suo autore, fronteggiare l’opposizione di suo padre. Attratto dai dipinti di Michelangelo e dall’arte rinascimentale, Asher Lev vuole esplorare il mondo, viaggiare e ampliare le sue vedute ma provoca indignazione, non solo nella sua famiglia ma in tutto il suo ambiente, dipingendo una crocifissione.

Sposato con Sara Adena Mosevitzky, padre di tre figli, due ragazze Reena e Naama ed un maschio, Akiva, Potok combinò, nei suoi scritti, ispirazione letteraria e vita famigliare. Era profondamente legato alla sua New York ed alle sue radici, e, un’ articolo del New York Times ricorda come, in un’intervista da lui rilasciata nel 1992 , egli definisse il suo ambiente come impregnato “da un’atmosfera oppressiva e al tempo stesso gioiosa”, con una comunità che “si occupava dei suoi componenti ma che stabiliva confini ben precisi da cui non si poteva uscire senza conseguenze”.

Come il suo personaggio Asher Lev, anche Potok rivelò una enorme passione per il disegno, la pittura e la letteratura, leggendo Hemingway ed altri libri,  durante il viaggio in autobus verso la Yeshiva University in cui studiava e cominciando a scrivere racconti brevi. Per la sua famiglia fu traumatizzante oltre alla sua scelta letteraria, soprattutto lo “strappo” dall’ebraismo chassidico a quello Conservatore, orientamento che lo coinvolse a tal punto da diventare rabbino di quel tipo di ebraismo così lontano dal suo ambiente.

Curioso e ribelle, Potok oltre che in letteratura inglese, nel 1954 prese un Master anche in Letteratura ebraica e si interessò ad una serie di argomenti fino al successo del suo esordio che fu per lui una sorpresa assoluta e un vero trionfo. “Pensavo che questo romanzo che riguardava due ragazzi ebrei potesse interessare al massimo a 500 persone” disse in una intervista, ma, come ha messo in luce il New York Times, divenne qualcosa di assai più universale, interrogandosi su tematiche estremamente importanti come il ruolo della religione nella società contemporanea e il significato della sofferenza.

L’opera di Potok è dunque il risultato di conflitti, ribellioni e fughe mentali e mischia le ispirazioni più disparate, dai suoi studi talmudici, alla filosofia occidentale con cultura, passione e onestà intellettuale.