Una menorah a otto bracci scolpita nella pietra, l’enigma del capitello di Motza

Personaggi e Storie

di Davide Cucciati

Un capitello in pietra calcarea, scolpito oltre 1.500 anni fa con un motivo che richiama una menorah a otto bracci, avrebbe dovuto essere esposto per la prima volta al pubblico in occasione di Yom HaAtzmaut presso il Jay and Jeanie Schottenstein National Campus for the Archaeology of Israel a Gerusalemme. Tuttavia, alla luce degli incendi che stanno colpendo le colline di Gerusalemme e hanno già portato allannullamento di diverse cerimonie ufficiali, è verosimile che anche questo evento sia stato cancellato o posticipato.

Rinvenuto nel 2020 a Motza, alle porte di Gerusalemme, il capitello giaceva capovolto sul pavimento di un edificio bizantino del VI-VII secolo e.v., dove era stato reimpiegato come materiale da costruzione.

Secondo quanto riportato dal Jerusalem Post, le analisi condotte dall’Autorità per le antichità israeliane e dall’Università Ebraica di Gerusalemme indicano che il reperto è ben più antico rispetto alla struttura che lo ospitava. Risalirebbe infatti al periodo tardo-romano, tra il II e il IV secolo e.v. e originariamente decorava la sommità di una colonna, forse in un edificio pubblico o lungo una strada monumentale. Su ciascuna delle quattro facce del capitello, nella parte superiore, è scolpita una figura simmetrica a otto bracci, molto simile a una menorah. La sezione inferiore presenta otto foglie scolpite, mentre al centro di ogni lato un elemento verticale richiama il fusto del candelabro. Gli archeologi lo definiscono un reperto “unico al mondo”.

Nonostante l’apparente marginalità del sito, la presenza di un simbolo ebraico così riconoscibile in un contesto abitato, secondo il Jerusalem Post e il Times of Israel, da discendenti di veterani dell’esercito romano, solleva interrogativi profondi. Come osservano i direttori dello scavo, Uzi Ad e Anna Eirich dell’Autorità per le antichità israeliane, l’inserimento di un capitello decorato con un motivo tipicamente giudaico in un insediamento di cultura romana appare come una contraddizione che sfida le interpretazioni consolidate del paesaggio dell’epoca. Secondo Orit Peleg-Barkat, storica dell’architettura all’Università Ebraica, il capitello, pur ben scolpito, presenta caratteristiche stilistiche atipiche, come se l’artigiano non fosse del tutto familiare con i modelli classici. Là dove ci si attenderebbe un motivo floreale compare invece un disegno simmetrico che richiama una menorah. La studiosa ipotizza che il decoratore volesse forse scolpire un fiore e che abbia involontariamente prodotto una figura a otto bracci. Tuttavia, non tutti concordano con questa lettura. Uzi Ad osserva che, dopo la distruzione del Beit HaMikdash nel 70 e.v., la forma della menorah non era ancora del tutto standardizzata, ed esistono raffigurazioni antiche con otto bracci. Per questo, non si può escludere che il candelabro sia stato scolpito intenzionalmente in quella forma.

A seguito della distruzione del Beit HaMikdash e, poco dopo, della repressione della rivolta di Bar Kokhba, tra il 132 e il 135 e.v., gli ebrei furono espulsi da Gerusalemme e dalle sue vicinanze. Motza rientrava in questa zona. Come spiega Yuval Baruch, vicedirettore dell’Autorità per le antichità israeliane ed esperto del simbolo della menorah, è probabile che il capitello sia stato trasportato da un altro sito, forse da un centro ebraico distrutto, e riutilizzato in epoca bizantina. Questo spiegherebbe l’anomalia, un oggetto ebraico reimpiegato fuori dal suo contesto originario, in un’area dove nel VI secolo non risultano insediamenti ebraici attivi. A Motza, infatti, non è stata trovata alcuna beit haknesset né altri indizi architettonici o epigrafici riconducibili a un edificio di culto ebraico.

Secondo quanto riportato da Israel National News, il Ministro del Patrimonio Culturale Amihai Eliyahu ha dichiarato: “La scoperta del capitello decorato con una menorah è una testimonianza tangibile del legame profondo e inalienabile tra il popolo ebraico, Gerusalemme ed Eretz Israel attraverso i millenni. Questo oggetto, senza paralleli nel mondo, è un ponte tra il nostro passato glorioso e il rinnovarsi della nostra indipendenza nello Stato di Israele”. Il direttore dell’Autorità per le antichità israeliane, Eli Eskosido, ha aggiunto: “Il legame con le radici e con i valori è la fonte della nostra forza”.

Un oggetto che forse sorreggeva un soffitto oggi sostiene un’eredità scolpita nella pietra ma viva nella memoria.