di Michael Soncin
È stata presentata al Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – CDEC l’ultima parte della ricerca sugli ebrei resistenti d’Italia, a cura della storica della Shoah, Liliana Picciotto. Un lavoro impressionante con oltre mezzo milione di documentati analizzati. Il progetto, consultabile online sul sito del CDEC, troverà spazio in un libro nella prossima stagione.
«È molto importante parlare degli ebrei – italiani e non – che hanno contribuito alla liberazione di questo paese. Sono storie di vita così pazzesche, che alcune possono essere lo spunto per un romanzo o una fiction». Lo ha detto il giornalista Włodek Goldkorn, che ha dialogato assieme alla storica della Shoah Liliana Picciotto, in occasione della presentazione della ricerca sui resistenti ebrei d’Italia, dove sono emerse nuove storie dell’apporto alla Resistenza su tutto il territorio italiano.
La conferenza ha avuto luogo martedì 29 aprile negli spazi della biblioteca del CDEC, introdotta dai saluti istituzionali di Rony Hamaui, vicepresidente della Fondazione CDEC e da Roberto Jarach, presidente del Memoriale della Shoah di Milano.
La ricerca portata avanti dalla nota storica è consultabile da un portale aperto a tutti. Il progetto è stato possibile grazie a coloro che hanno messo a disposizione i propri documenti – famiglie comprese – e all’Archivio Centrale dello Stato di Roma. «Non ci sono i nomi più noti della storia, ma vicende di persone normali, come quella di un quindicenne che partecipa alla Resistenza e di gente arrivata in Italia per vie rocambolesche», ha detto Goldkorn.
Com’è stata condotta la ricerca
Picciotto spiega che una prima documentazione sulla Resistenza era disponibile a partire dal 1955, quando il movimento giovanile ebraico dell’epoca, ha raccolto le testimonianze dei famigliari e conoscenti, per sapere se qualcuno aveva fatto la Resistenza. L’hanno fatto spontaneamente, senza principi storiografici, ma quel materiale fatto di testimonianze, lettere, fotografie e qualche ritaglio di giornale è stato conservato e momentaneamente accantonato. In seguito, dopo le ricerche sugli ebrei deportati e quelli che si sono salvati, la storica ha ripreso in mano la documentazione, per vedere se c’erano altre persone che avevano contribuito alla Resistenza e verificare se i dati erano corretti per poter essere convalidati.
«Quando fai una ricerca storiografica, tracciando il ritratto di un fenomeno come la Resistenza, ci si deve basare su grandi numeri, che all’epoca non c’erano. Avevamo quasi rinunciato all’idea, ma l’Archivio Centrale dello Stato che ha raccolto tutti i documenti degli uffici pubblici italiani, dopo 30 anni, è obbligato a versare tutti gli atti. Ed è nel 2012 vengo a conoscenza che erano stati versati dei documenti, utili per la comprensione della Resistenza. Per tale ragione, non capisco come svariati libri, in materia, siano stati scritti», ha spiegato Picciotto.
«Complessivamente – aggiunge la storica – sono documenti prodotti nel dopoguerra da commissioni apposite che si occupavano di dare il riconoscimento di status di partigiano, a ciascuno che ne facesse richiesta. Questo permetteva al ragazzo di non fare più il servizio militare. La commissione istituita in ogni regione stabiliva chi era stato un partigiano combattente, chi un caduto o chi aveva appoggiato la resistenza: c’era tutta questa serie di gradazioni».
Si tratta di una mole di materiale impressionante rimasta sepolta negli archivi delle prefetture italiane, fino a quando stata non è stata compresa l’incredibile importanza. Stiamo parlando di 600.000 cartellini, che ora sono stati tutti digitalizzati e sono consultabili sull’Archivio Centrale dello Stato. Liliana Picciotto ha passato in rassegna oltre mezzo milione di questi documenti per arrivare a creare un database di circa 2000, 3000 nomi di ebrei che dovevano essere a sua volta esaminati, per fare una scrematura e sapere quelli che erano effettivamente classificabili come resistenti.
Quando si parla di Resistenza – importante puntualizzazione fatta – non ci si riferisce solo a quelli che erano armati, ma anche a quelli che hanno fatto di tutto per abbattere la dittatura. Si può essere resistenti anche con la parola o con la scrittura.
La suddivisione politica
Parlando della suddivisone politica è stato precisato che la Resistenza è un fenomeno in continua evoluzione dove non è possibile fare un’istantanea su una determinata data. All’inizio della Resistenza l’orientamento non è molto chiaro, c’erano delle bande di partigiani che si muovevano in maniera spontanea e autonoma, come i militari che andavano per le montagne alla ricerca di ragazzi pronti ad unirsi. Questo avviene in particolare nel Lazio e Abruzzo. «Il tempo passa, quando arriviamo al 1944 si forma il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). Finalmente ci sono i vari partiti che stanno emergendo, essendo che nel fascismo non c’era ovviamente modo. Tra questi c’era il Partito d’Azione. Era un momento in cui la coscienza politica cominciava a farsi sentire, in cui ogni partigiano si richiamava alle idee che aveva, da quella socialista a quella comunista. Poi salendo ancora, arrivando al Piemonte, nell’Italia del Nord, ci sono le bande divise, quelle autonome, che non volevano saperne di essere politiche. E in quel tempo erano molti gli ebrei che si richiamavano al Partito d’Azione.
Come ha spiegato durante l’intervento Picciotto, l’idea principale del Partito d’Azione è che lo stato debba essere laico e non più monarchico. I rappresentati erano dei convinti repubblicani e delle persone moralmente molto determinate. Pensavano che la politica dovesse essere al servizio della moralità pubblica, che dovesse essere nelle mani di persone intellettualmente estremamente fondate culturalmente. Queste idee un po’ utopistiche furono portate all’estrema conseguenza, arrivando dopo una serie di avvenimenti alla scomparsa del partito stesso».
Gli ebrei traditi dall’Italia: una ferita ancora aperta
Nella parte finale, Goldkorn ha sollevato l’importante questione degli ebrei traditi dall’Italia, dove ha sottolineato che prima delle persecuzioni antisemite, probabilmente, nessun altro paese aveva spalancato così tanto le porte agli ebrei come l’Italia, fatto che si è poi capovolto negli anni successivi.
«È una ferita aperta non rimarginabile perché ha avuto conseguenze troppo, troppo tragiche. Bisogna poi dire che visto a posteriori da uno studioso, il fenomeno della Resistenza ha invece unito un po’ le persone, anche se purtroppo ultimamente, c’è qualcosa che non va di nuovo. Non posso essere ottimista, perché fino a poco tempo fa stavamo andando su questo binario, prima che tutto cambiasse», dice Picciotto.
Tra questi resistenti il giornalista Goldkorn, ebreo polacco, menziona la storia di Adolfo Perugia un ragazzo di 13 anni, appartenente ad una famiglia di umili origini che era stata perseguitata, essendosi dichiarati antifascisti già dall’inizio. «Pensando a lui mi viene in mente un’associazione con il ghetto di Varsavia, perché anche lì il più giovane di quelli che si erano rivoltati aveva la stessa età di Adolfo. C’è una similitudine tra i due fatti storici che si riflette nella ribellione delle persone».
Il prezioso lavoro di Liliana Picciotto è stato quello di raccogliere nell’arco di quattro anni i dati: dai nomi alle date di nascita, da cosa hanno fatto durante la Resistenza a chi era caduto e chi no. Tutto questo è ora consultabile nel portale Resistenti ebrei d’Italia. Successivamente verrà fatta una riflessione che troverà spazio in un libro, la cui uscita è indicativamente prevista tra un anno.
Nella foto in alto da sinistra: Liliana Picciotto, Włodek Goldkorn