Un Nobel per Ada Aharoni, messaggera di cultura della pace

Crede nella cultura della pace, crede nel dialogo e nell’importanza dell’influenza delle donne per portarlo avanti e per questo da anni lavora incessantemente anche con donne arabe e palestinesi che hanno le sue stesse convinzioni. È l’israeliana Ada Aharoni, scrittrice, poetessa nata al Cairo, candidata al Premio Nobel per la pace 2007.

Mosaico l’ha incontrata a Milano il 27 settembre, prima del suo ritorno in Israele, proveniente da Palermo dove aveva partecipato in veste di fondatrice dell’IFLAC, International Forum for the Literature and Culture of Peace, (www.iflac.com) alla “Conferenza sulla sicurezza nel Mediterraneo”, evento organizzato ogni due anni dal Parlamento Mondiale per la Sicurezza e la Pace (www.internationalparliament.org).
Ad Ada Aharoni, nata al Cairo, chiediamo di raccontare la storia della fuga della sua famiglia dall’Egitto nel 1949.
Scapparono in Francia, ricorda, dove la maggior parte dei suoi si fermarono, ricostruendosi faticosamente una vita: a suo padre avevano requisiti tutti i beni e i risparmi, così si trovò, da un giorno all’altro, con più nulla in mano. Una famiglia, quella paterna, che si trovava in Egitto da oltre sette generazioni, e poco meno da parte materna (che dopo l’esodo dalla Spagna si era fermata in Turchia).
In quel lontano 1949 solo Ada, allora sedicenne, non volle rimanere in Francia ma fece l’alià nella neonata Israele insieme al suo gruppo del Maccabi-Hashomer Hatzair, un’ottantina di ragazzi tutti egiziani che si stabilirono nel kibbutz Ein Shemer, poco distante da Hedera. Tra i giovani c’era anche quello che divenne poco dopo suo marito, il compagno della sua vita e il padre dei suoi figli.

I primi anni passati in Israele sono ancora oggi ricordati da Ada come un sogno: il clima di entusiasmo del nuovo Stato, la volontà di tutti di costruire e andare avanti, pur tra stenti e fatiche, la lotta per realizzare ideali in cui tutti credevano fermamente.
Con il passare degli anni la famiglia si sposta ad Haifa, poi per brevi periodi all’estero per perfezionare gli studi di storia e sociologia. Infine viene l’impegno sociale totalizzante che è oggi diventato la sua ragione di vita.
Ada non ha però mai dimenticato l’Egitto e l’esodo forzato della sua come della maggior parte delle famiglie ebraiche che vivevano soprattutto al Cairo e ad Alessandria. Inizia allora a studiare la storia degli ebrei d’Egitto, a ricercare documenti, a intervistare e farsi raccontare storie dalle migliaia di ebrei che da un giorno all’altro avevano dovuto partire, lasciando lì tutti i loro beni e la loro vita di secoli. Testimoni di questo lavoro sono oggi ben sette libri. Uno dei più noti sul Secondo esodo (1983) descrive in forma letteraria la storia di molte famiglie (tra le quali la sua) prima e dopo la partenza forzata. In un’altro parla invece della storia della comunità ebraica di Alessandria e in particolare delle vicende dell’ospedale ebraico, con il ricordo dell’eroica capo infermiera Thea Wolf, che riuscì a salvare centinaia di ebrei dai nazisti nascondendoli nella struttura nella quale lavorava.

Questi volumi, usciti fino ad oggi solo in lingua francese (ma vorrebbe tanto che potessero uscire anche in italiano), rappresentano per la scrittrice un documento anche politico molto importante. Si parla sempre dell’esodo degli arabi e della loro volontà di ritorno, dice, ma nessuno parla mai della cacciata degli ebrei dai paesi arabi, delle centinaia di migliaia di persone costrette a lasciare tutti i loro averi nel giro di pochi giorni dopo aver vissuto per secoli in quei paesi contribuendo al loro sviluppo e alla loro vita economica. Forse, dice, sarebbe ora di farlo sapere seriamente.

Ada Aharoni è da anni instancabile promotrice del dialogo fra donne arabe e israeliane, organizzatrice di incontri e iniziative comuni che hanno come obiettivo la pace, il dialogo, la cultura della tolleranza e della convivenza. Da sempre, e soprattutto in occasione del primo conflitto israelo-libanese si è battuta per la cessazione della guerra e il ritorno a casa dei soldati. Anche nel recente conflitto di luglio (ma non ha mai lasciato la sua casa di Haifa), pur riconoscendo inizialmente la necessità di questa guerra di difesa, si è mossa con la sua organizzazione per far cessare le ostilità.
Oggi lavora su più campi nella sua qualità di presidente dell’International Forum for the Literature & Culture of Peace. Organizzazione non profit, ha aderenti in tutto il mondo che si battono per promuovere quella che chiama la “cultura della pace”, l’unica che potrà portare alla convivenza pacifica e al reciproco rispetto tra le persone non solo nell’area medio orientale ma in tutto il mondo.

Laureata in letteratura e sociologia, ha insegnato in università israeliane e straniere, condotto ricerche, ha partecipato a dibattiti, incontri letterari, ricevendo molti e importanti riconoscimenti internazionali per la sua opera letteraria e per le sue azioni umanitarie. Il premio Nobel per la Pace 2007 sarebbe dunque un giusto riconoscimento per il suo impegno civile.
Una delle sue recenti poesie, vincitrice del Concorso di Poesia dell’Unesco, dove si descrive il suo incontro a Gaza con una donna palestinese, si conclude con questi versi:
“..ti ho dato il mio libro di poesie per la pace
tradotto in arabo
hai letto e hai detto:
‘ami la pace quanto io
la amo’

…..
Dobbiamo costruire la Palestina
anche con la poesia, e siamo
diventate amiche.
Tra donne è così.”

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