Sul Kinneret e a Degania, inseguendo un sogno in versi liberi: le illusioni smarrite della poetessa Rahel

di Cyril Aslanov

[Ebraica. Letteratura come vita]

Rahel Bluwstein (1890-1931), nata in una famiglia ebraica russa benestante, è arrivata al sionismo un po’ per caso. Nel 1909, mentre era diretta con sua sorella verso l’Italia per studiare l’arte, si fermò nella Palestina ottomana dove il contatto con i pionieri della Seconda ‘Aliya (1904-1914) le fece rinunciare a continuare il suo cammino verso il Bel Paese. Rimase lì e imparò l’ebraico così velocemente che da poetessa russa diventò una poetessa in lingua ebraica. Invece di scrivere la sua poesia con la prosodia trocaica ashkenazita di Haim Nahman Bialik o Tschernichowski, adottò il ritmo giambico della pronuncia sefardita che era stata adottata come normativa dagli ebrei venuti principalmente dall’Impero russo ma desiderosi di orientalizzarsi per far parte del paesaggio culturale dell’antica terra rinovata. Per di più la poesia di Rahel si caratterizza spesso dalla rinuncia molto modernista alle rime e ai ritmi.

Come molti ebrei della Seconda ‘Aliya, Rahel vedeva nel lavoro agricolo un modo di redimere la Terra di Israele dallo stato di desolazione nel quale si trovava a causa dell’incuria ottomana e di redimersi al livello personale dall’alienazione dove gli ebrei della Diaspora, e particolarmente gli ebrei dell’Impero russo, si trovavano da tante generazioni.
Nel 1913 si recò a Toulouse per studiare agronomia e l’anno successive andò in Russia a trovare la sua famiglia. Là lo scoppio della Prima guerra mondiale le impedì di tornare in Palestina. Durante la guerra Rahel si occupò degli orfani ebrei russi e fu in queste circostanze che si ammalò di tuberculosi.
Tornata in Palestina appena finita la Prima guerra mondiale con la nave Ruslan, dove si trovava anche Yosef Klausner, lo zio di Amos Oz, Rahel conobbe i mesi più felici della sua vita quando lavorò nella kvutsa (nome più antico del kibbutz) di Degania sulle sponde del Lago di Tiberiade (Kinneret in ebraico). Questo periodo di felicità, dove il suo sviluppo personale era in perfetta sintonia con il suo impegno al progetto sionista, non durò tanto poiché la direzione di Degania la cacciò via per evitare che ella contaminasse le “persone sane” della kvutsa.

A partire da questo momento passò gli ultimi dodici anni della sua breve esistenza isolata in piccoli appartamenti che affittava con il misero stipendio ottenuto grazie alla composizione dei suoi poemi e con un piccolo aiuto del padre.
Dopo più di sette anni di questa esistenza precaria, Rahel scrisse il seguente poema dove esprime in un modo commovente la sua efimera permanenza nel Paradiso perduto di Degania:

Ve-ulai lo hayu ha-dvarim me-‘olam
E forse queste cose non sono mai esistite,
Forse
mai mi destai all’alba per andare nel giardino
a lavorarlo col sudore della mia fronte?
E nemmeno
nei lunghi arroventati giorni
della mietitura,
sulla cima del carro, colmo di covoni,
mai ho liberato la mia voce nel canto.
E mai mi bagnai
nell’azzurro silenzioso
nella purezza
del mio Kinneret. O mio Kinneret,
esisti davvero o ti ho soltanto sognato?
(traduzione di Francesco Bianchi)

La forza di questo poema ben conosciuto nell’orizzonte culturale israeliano grazie alla sua armonizzazione sotto forma di una canzone malinconica (Ve ulai lo hayu ha-dvarim me-‘olam) risiede nel fatto che l’oggetto della sua nostalgia è rappresentato come il sogno delle cose che forse non sono mai avvenute. Questo è proprio il colmo della delusione e del dolore provocato dalle illusioni perdute: credere anche per un istante che un passato idealizzato non sia mai stato.

La profonda disperazione di Rahel la spinse a dipingere il passato idealizzato come un inganno della memoria.
Molto più tardi, dopo la creazione dello Stato di Israele, Rahel fu percepita come la poetessa per eccellenza, Rahel ha-meshoreret “la poetessa Rahel”. E fu questo nome di Rahel Ha-Meshoreret ad essere dato a tante strade di parecchie città israeliane. Dal novembre 2017 la sua famosa foto dagli occhi romantici con lo sguardo triste e profondo compare sulle banconote di 20 shekel. Piccola consolazione postuma per quest’idealista che non riuscì a trovare il suo posto nella società modello sognata dai sionisti.