Scusi, dov’è il Monte Sinai?

di Raffaele Picciotto

La Torà ci racconta che, dopo l’uscita dell’Egitto, il popolo ebraico si accampò alle falde del Monte Sinai, chiamato nella Torà anche Monte Horev, e Moshè vi ascese per ricevere le Tavole della Legge.

Alcuni sostengono che questo luogo sia stato mitizzato ed in realtà non esista. Ma nella Torà ci sono delle descrizioni precise e l’Ebraismo è una religione calata nella Storia (anche se gli eventi hanno anche una valenza atemporale). Se quindi questa montagna esiste, la domanda che gli studiosi si pongono è: dove si trova esattamente?

Il Monte Sinai si colloca certamente nella penisola del Sinai e il numero delle montagne del Sinai non è infinito; quindi, se esaminiamo accuratamente la storia dell’uscita dell’Egitto, dovrebbe essere possibile localizzarla.

La tradizione cristiana la identifica nel Jebel Musa, nel Sud della penisola, fin dai tempi della regina Elena nel quarto secolo; alle sue falde è stato eretto il Monastero di Santa Caterina, dove tuttavia non sono stati trovati reperti di epoca anteriore.

L’archeologo Emmanuel Anati ha invece creduto di localizzarlo nel Monte Karkom, nel Neghev, in quanto sono stati ritrovati reperti archeologici che dimostrano come nel passato fosse stato un importante luogo di culto. Tuttavia molti luoghi di culto idolatrico si trovavano su monti (II Re 12:3) e quindi ciò non comporterebbe automaticamente l’identificazione con il biblico Monte Sinai.

Anche lo Jebel El Lawz in Arabia Saudita non sembra essere un candidato attendibile, in quanto la Torà pone il Monte Sinai al di fuori dalla terra di Midian; probabilmente questa ipotesi deriva da scritture cristiane.

Un’interessante ipotesi è stata invece formulata da Simcha Jacobovici, uno scrittore e regista israelo-canadese, esaminando quanto descritto nella Torà e partendo dalle possibili coordinate geografiche del Monte. Il suo modo di procedere è quisitamente deduttivo. La Torà ci dice: “Undici giorni ci sono da Horev, attraverso il monte Seir, fino a Kadesh Barnea” (Devarim 1:2). La maggior parte degli studiosi identifica Kadesh Barnea con la località di Ein El Kudeirat, 27 chilometri ad Est del Wadi El Arish (anche se c’è chi contesta questo riferimento con la giustificazione che essa si troverebbe così entro i confini biblici della terra di Israele).

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Profughi (UNHCR) ha stimato che una massa di persone possa muoversi per non più di 15 chilometri al giorno; ne deriva che in 11 giorni i figli di Israele non possono essere andati oltre 165 chilometri da Kadesh Barnea. Questa è la prima informazione geografica che possiamo utilizzare. La seconda informazione deriva dal brano seguente: “Poi partirono da Elim e tutta la comunità dei figli d’Israele giunse al deserto di Sin situato fra Elim ed il Sinai. Era il quindicesimo giorno del secondo mese dopo la loro uscita dall’Egitto” (Shemot 16:1).

Secondo la Torà quindi, i figli di Israele raggiunsero il deserto di Sin il 15 di Iyar, 30 giorni dopo aver lasciato l’Egitto (il 15 di Nissan), deserto che iniziava subito dopo Elim.

Il Monte doveva essere quindi a 14 giorni di marcia da Elim in quanto, secondo la tradizione, i figli d’Israele sarebbero arrivati alle falde del Monte Sinai il 1 di Sivan e avrebbero ricevuto il Mattan Torà il 6 di Sivan (Shavuot), esattamente dopo 50 giorni dall’uscita dall’Egitto (Pesach).

Resta da identificare la località di Elim, una località dove si trovavano “12 fonti d’acqua e 70 palmizi” (Shemot 15:27 e Bamidbar 33:9). È un’oasi generalmente localizzata con Wadi Gharandel, 100 chilometri a sud di Suez. Menashe Har-El dell’Università di Tel Aviv ha proposto in alternativa: l’oasi di Ayun Musa, osservando che quivi esistevano 12 sorgenti e palmizi; in ogni caso l’area generale della località di Elim è la stessa.

Usando lo stesso criterio dell’UNHCR, la distanza del monte Sinai da Elim non può essere maggiore di 210 chilometri.

La Torà ci fornisce infine un terzo criterio geografico: Moshe pascolava il gregge di Ithrò suo suocero, sacerdote di Midian, e guidando un giorno le pecore di là dal deserto, arrivò al monte del Signore al Horev (Shemot 3:1). Secondo il Talmud, Ithrò era un fuoriuscito di Midian, in quanto aveva rinunciato agli idoli e quindi alla sua posizione di sacerdote. La terra di Midian era situata nel territorio dell’odierna Arabia Saudita. I Midianiti erano discendenti di Abramo come è scritto: “Abramo aveva preso un’altra donna a nome Keturà che gli aveva partorito Midian” (Bereshit 25:1-2). Dove poteva essere un accampamento midianita nel Sinai? È stata fatta una ricerca archeologica nel Sinai che non ha trovato tracce di presenza midianita, con una sola eccezione: la località di Timna a nord di Eilat. A Timna vi sono, dipinti sulle rocce, greggi al pascolo. I Beduini dell’area sostengono di portare le loro greggi al massimo fino a 15-25 chilometri e in caso di siccità si spingono fino ad un massimo di 60 chilometri, attraverso il deserto.

Combinando le informazioni e le coordinate geografiche fornite dalla Torà (Kadesh Barnea, Elim e Timna) si può identificare come il biblico Monte Sinai sia una sola montagna, chiamata Hashem El Tarif. Una volta definita la localizzazione del Monte, si è verificato se esso risponde ad altri criteri evidenziati nel racconto biblico. Secondo fonti rabbiniche, il Monte Sinai dovrebbe essere la montagna più bassa della regione: in effetti Hashem El Tarif, alto 874 metri, lo è. Esso ha anche dei gradini incisi sulle falde, così da facilitare l’ascesa di un uomo anziano come Moshe. “I figli di Israele partirono da Ramses (…) in numero di seicentomila maschi adulti all’infuori dei bambini” (Shemot 12:37). Si può calcolare una massa di almeno di due milioni di persone, inclusi donne e bambini. Questa moltitudine doveva trovarsi ai piedi del Monte Sinai, pertanto doveva esserci uno spazio sufficiente. Il monte Hashem El Tarif ha uno spazio del genere alle sue falde e inoltre è circondato da una delimitazione in pietra, visibile fino ad oggi, come evidenziato nel racconto biblico: “E metterai un segnale di confine attorno al monte…” (Shemot 19:12).

“Poi prese il vitello che avevano fabbricato (…) macinò la parte in oro in modo da ridurlo in polvere, la sparse nell’acqua del torrente che scendeva dal monte…” (Shemot 32:20). Secondo la Torà, dal Monte Sinai doveva quindi scendere un torrente. Ora, sulla cima del monte Hashem El Tarif si trovano pezzi di travertino, che è una roccia sedimentaria di tipo calcareo. Il calcare è prodotto dalla precipitazione del carbonato di calcio disciolto in acqua. Quindi doveva esserci dell’acqua corrente.

Inoltre, le seconde Tavole della Legge furono incise da Moshè sulla pietra. Il tipo di pietra usata potrebbe quindi essere stato il travertino che è una pietra abbastanza tenera da poter essere incisa facilmente senza martello e scalpello. A corroborare questa ipotesi vi è inoltre il brano: “Mosè si dispose a scendere dal monte recando in mano le due Tavole della Testimonianza, Tavole scritte dai due lati, sull’una e l’altra faccia erano scritte” (Shemot 32:15). Il travertino è una pietra abbastanza “trasparente” e quindi è conforme alla Torà che vuole i Dieci Comandamenti incisi visibili da entrambi i lati.

“Poi, quando passerà la mia gloria, ti nasconderò nella cavità della roccia…” (Shemot 33:22). Mosè fu nascosto in una cavità perché non avrebbe potuto vedere la faccia del Signore. Vi è una cavità naturale nella montagna, vicino alla sommità, che potrebbe essere quella menzionata nella Torà. Secondo il già citato brano in Shemot 3:1, il Monte Horev è definito monte del Signore; era quindi già una montagna sacra prima dell’uscita dall’Egitto. Sembra che in effetti vi fosse la massima concentrazione di luoghi di culto all’aperto intorno al monte Hashem El Tarif. Secondo la Torà (Devarim 1:2, già citato), il biblico Monte Sinai si dovrebbe infine trovare nelle vicinanze del Monte Seir; fino al giorno d’oggi, l’estensione del Hashem El Tarif è chiamata Seira.

Alcuni ricercatori non sono d’accordo sull’identificazione del Monte Sinai, ma si può affermare che vi sono buone possibilità, anche se non la matematica certezza, che essa sia corretta.