Quando il medico del Papa era un Rabbino

Personaggi e Storie

Convegno a Roma.

Un importante convegno sul contributo dato dai rabbini allo sviluppo delle scienze mediche tra medioevo ed età moderna avrà luogo a Roma dal 22 al 23 settembre, promosso dal Centro Romano di Studi sull’Ebraismo dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e dall’Associazione Medica Ebraica Italia, con il patrocinio dell’Ordine dei Medici di Roma e con il contributo dell’Ospedale Israelitico di Roma e della Teva Italia.

Alcuni anni or sono David B. Ruderman dedicò un importante saggio a Giudaismo tra scienza e fede (Jewish thought and scientific discovery in early modern Europe, Yale University 1995, trad. italiana ECIG 1999) dimostrando come, all’inizio dell’età moderna, la crescente importanza della scienza e della tecnologia nella cultura dell’Europa, l’impatto della stampa nella pubblicizzazione e nella diffusione delle nuove scoperte scientifiche, l’ingresso senza precedenti di un vasto numero di ebrei nelle Scuole di Medicina, nonché l’integrazione dei “ conversos” spagnoli e portoghesi nelle comunità ebraiche italiane, determinò tra gli ebrei un grandissimo interesse verso la medicina e le scienze in generale, che in età antica o medievale non si era verificato, anche se in queste epoche non erano mancati nomi eccellenti in queste discipline, quali Maimonide, Avraham ibn ‘Ezra e Lewi ben Gherson.

Su questi temi si confronteranno nella sessione inaugurale del convegno Roberto Bonfil, Giorgio Cosmacini e Giuseppe Veltri, affrontando i numerosi riferimenti alla medicina presenti nel Talmud, nonché la complessa storia dei rapporti fra studi rabbinici e scienza medica in Italia sino alla prima emancipazione. Più specifici gli argomenti trattati nelle successive sessioni: Laura Minervini, ricostruirà il percorso culturale dei medici ebrei fra fine quattrocento e inizi del cinquecento, attraverso i testi presenti nelle loro biblioteche, Andrea Carlino la prassi medica e l’ambiente mantovano mentre David Gianfranco Di Segni illustrerà la vita e l’opera di Isacco Chaim Lampronti, rabbino e medico nella Ferrara del Settecento, che fu in stretto rapporto con l’ambiente scientifico padovano, come dimostrano gli scambi epistolari con Giovan Battista Morgagni. Di recente Germano Salvatorelli ha ritrovato il diploma della laurea padovana di questo insigne personaggio.

I complessi rapporti tra scienza e fede saranno affrontati nella relazione di Bertram Schwarzbach su Aaron ben Yosef ha-Zaken ha-Rofé e il suo commento alla Torah, mentre Gad Freudenthal, che ha recentemente ripubblicato una serie di articoli tratti dalla indimenticabile Révue d’ Histoire de la Médicine Hébraïque, riprenderà il tema dello sviluppo della scienza ebraica nel medioevo e Ariel Rathaus affronterà un tema più specificatamente letterario.

All’estensore di questa nota il compito di illustrare l’attività dei medici ebrei al servizio dei pontefici. Già gli studi settecenteschi di Luigi Gaetano Marini (1742-1815), primo custode della Biblioteca Apostolica Vaticana e prefetto dell’Archivio Segreto, avevano posto in luce come fosse consuetudine dei papi servirsi di medici ebrei. Le ragioni di questa predilezione forse possono essere spiegate parafrasando quanto Anatole Broyard, ex redattore del N.Y. Times Book Reviews, scriveva, nel 1990 sul Times Magazine, a proposito della sua incurabile malattia: “ … mio padre, che era un conservatore del sud, antisemita, insistette per avere un medico ebreo, quando gli fu diagnosticato un cancro alla vescica. La vita di un ebreo, infatti, sosteneva era una storia di studio… un medico ebreo conosceva il valore della sopravvivenza, perché aveva dovuto lottare per la stessa. Nel corso del medioevo gli ebrei della penisola iberica e del bacino del mediterraneo, erano stati a stretto contatto con la grande culturale islamica e ad essa avevano contribuito in modo determinante nel campo delle scienze mediche: basti ricordare, a questo proposito, il successo del trattato sulle urine di Isacco Giudeo (la cui versione latina sarà ampiamente utilizzata in tutte le scuole mediche occidentali) o l’ampia produzione medica di Maimonide, che per primo iniziò a ritenere dubbio il costrutto ippocratico-galenico sul quale si fondava la medicina del tempo.

Questo grande patrimonio non andò disperso con la “reconquista”, anzi proprio gli ebrei, espulsi dalla penisola iberica, portarono con sé nell’occidente latino tutte quelle nozioni mediche acquisite in decenni di elaborazione delle stesse nei grandi centri medici dell’Islam, come la Scuola Medica di Gondishapur, in cui il dottrinario classico ippocratico-galenico era stato integrato dalle teorie mediche sanscrite e persiane.

Tutto questo non poteva sfuggire ai pontefici che ritennero, quindi, a ragione, che i medici ebrei avessero acquisito nel corso dei loro studi una conoscenza della medicina molto più approfondita di quanto non lo fosse quella insegnata nelle Scuole Mediche occidentali, almeno sino alla fine del XV secolo. Fu proprio grazie alle traduzione in latino effettuate dai medici “conversos” nei nuovi grandi centri della cultura medica occidentale, in particolare per l’Italia Padova, che tutto questo patrimonio non andò disperso, ma, integrato e rielaborato, diede origine alla nascita della moderna scienza medica fra XVI e XVII secolo.

Fra i più noti medici ebrei alla corte pontificia si possono ricordare i nomi di Elia di Sabbato da Fermo, che il 30 novembre 1405 aveva acquisito la cittadinanza romana, confermatagli successivamente il 27 gennaio 1406 da Innocenzo VII, che lo dispensava dal portare il “segno”, assicurandogli, nel contempo, una rendita annua di venti ducati d’oro e autorizzandolo ad entrare e uscire dall’Urbe senza permessi speciali e a portare armi; o di Mosé ben Isac da Rieti (Maestro Gaio, 1388-1460), archiatra di Pio II.

Sempre nel XV secolo è presente a Roma presso Alessandro VI quel Bonetto de Lattes, costruttore di un particolare “ anulus” astronomico ed esperto astrologo, che elaborò per il pontefice numerosi prognostici medici sulla scorta delle sue osservazioni della volta stellare. Nel secolo successivo Samuel Zarfati tentò, inutilmente, di curare Giulio II da una probabile sifilide, nonostante, come recitano le cronache del tempo, “ il papa crede al zudio Rabi e non a li altri”.

Grande riconoscenza dimostrò Clemente VII verso Jacob Mantino tale da imporre, nel 1528, al Reggimento bolognese di assicurargli, almeno per un trimestre, una lettura presso lo Studio della città. Per la grande peste di Roma del 1656-57 Jacob ben Isaac Zahalon non curò solo i poveri appestati del ghetto, ma elargì i propri consigli, anche, a papa Alessandro VII. Come giustamente sottolineò Robet Bonfil il rapporto fra medico ebreo e pontefice, ma in generale quello fra paziente cristiano e “medico zudjo” determinava il momentaneo rovesciamento delle strutture sociopolitiche correnti: infatti il rapporto si capovolgeva completamente quando il cristiano riceveva un trattamento medico: quest’ultimo, infatti, veniva a trovarsi in posizione orizzontale, segno di inferiorità congiunturale, e il medico, ebreo, in posizione verticale, segno di una superiorità, altrettanto congiunturale, chino su di lui per alleviarlo delle sue sofferenze. Tra gli ultimi rabbini medici del passato va ricordato Benedetto Frizzi di Ostiano (1756-1844), autore di uno dei primi giornali di medicina, il Giornale medico e letterario di Trieste, città nella quale esercitò la professione medica congiuntamente a quella di rabbino capo della locale comunità per lunghi anni, con grande soddisfazione non solo della popolazione ebraica, ma anche di quella cristiana.

Alla parte storica del Convegno gli organizzatori – Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma e medico radiologo, Guido Coen, vice-presidente dell’AME, Myriam Silvera, docente di Storia e Cultura degli ebrei all’Università di Tor Vergata, – hanno voluto far seguire molto giustamente una sezione etica in cui verranno affrontate alcune delle tematiche più scottanti del momento, inserite nel più ampio panorama dell’evoluzione del pensiero ebraico.