Antifascismo. Una voce per tutti

Personaggi e Storie

 

Sono Fumolo Dario, anzi anagraficamente Dorio, comunque vengo chiamato Dario. Sono nato a Udine il 4 maggio del 1920.
Un giorno la costituzione della Repubblica Sociale Italiana ha fatto giungere a me, come ad altri ex aviatori, una lettera in cui mi si imponeva di presentarmi al comando della Zat di Padova, zona aerea territoriale di Padova, per riprendere servizio con l’aeronautica repubblichina. Questo fatto mi mise in crisi. Quindi ho deciso di non presentarmi e di darmi per un pò anche alla latitanza.

Ad un certo punto la polizia di sicurezza tedesca ha preparato una retata e una mattina, molto presto, tutte le persone che erano state implicate in questa vicenda, sono state arrestate. Quella mattina io dormivo in casa, dormivo a casa mia per sfortuna e ho sentito una macchina fermarsi davanti, sulla strada. Affacciatomi alla finestra, eravamo in agosto, era il 3 di agosto del 1944, ho visto in assetto di guerra, in assetto di combattimento scendere dei tedeschi da due, tre macchine e circondare la mia casa. Al che io, che avevo preparato una specie di rifugio, sono uscito di casa velocemente, avvertendo mio padre che stavano arrivando i tedeschi e mi sono messo in un rifugio, che avevo creato al di là di un cortiletto, nel retro della casa. Queste persone erano accompagnate da due repubblichini, armati di mitra, in borghese e molto violenti. Diciamo che mentre i tedeschi entrati in casa erano passivi, questi si davano da fare per chiedere dov’ero io e chiederlo con violenza, con insistenza, insistendo con mio padre affinché dicesse dov’ero. Mio padre, da me istruito, aveva detto che io ero stato arruolato, che mi ero portato nella zona di Verona, che facevo servizio in un aeroporto che lui non conosceva per ragioni di segreto di guerra. Non potendo provare quanto diceva, questi repubblichini si fecero ancora più violenti e minacciarono di bruciare la casa…”
La voce di un “politico” italiano rastrellato da tedeschi e repubblichini.

“Avevo otto anni al momento delle leggi razziali e mi ricordo come una netta cesura nella mia vita quella fine estate del 1938 quando mio papà cercò di spiegarmi che, poiché ero una bambina ebrea, non avrei più potuto continuare ad andare a scuola. Non posso dire di aver capito allora quello che stava succedendo, però mi sono sempre ricordata, dopo, come mi ero sentita quel giorno che ha diviso la mia vita in un prima e in un dopo. La mia era sempre stata una famiglia laica e io non mi ero mai posta il problema di che cosa volesse dire essere una bambina ebrea. Lo avrei ben capito in seguito, anno dopo anno, giorno dopo giorno, man mano che la persecuzione si è fatta più dura, quando è scoppiata la guerra e i nazisti sono diventati i padroni dell’Italia del Nord. Nel 1943 ero una ragazzina ormai tredicenne, molto consapevole di quello che avveniva intorno a lei.
Falliti altri tentativi di sfuggire alla persecuzione, nel corso dei quali dovetti abbandonare la mia casa e dire addio ai miei nonni, poco prima che venissero deportati e uccisi ad Auschwitz, prima che ci arrivassi io, anche per me e per mio papà venne il momento di tentare la fuga in Svizzera.
Anche per noi le cose andarono male, non trovammo però, come Goti, dei contrabbandieri che ci vendettero per quattro soldi, ma un ufficiale svizzero, di una piccola stazione di polizia di frontiera del Canton Ticino, che ci riconsegnò alle autorità italiane dopo che eravamo già riusciti a espatriare”.
Liliana Segre

Non c’è bisogno di dire che cosa sia stato il fascismo. Ma si può lasciare che uomini politici, nell’Italia del 2008, ne rivendichino i “valori”?