Oggi 25 aprile una testimonianza di 80 anni fa

Personaggi e Storie

di Fiorella Nahum

 

Sto vivendo un periodo  frustrante della mia vita pieno di contraddizioni, e carico di sorprese e colpi di scena che mi rendono intollerabile la convivenza con buona parte dei miei simili, e purtroppo, anche con me stessa.

La prima contraddizione risale a tempi lontani, quando a dicembre 1943 (non avevo ancora 10 anni) vivevamo a Venezia (con mia mamma, mia nonna e i miei fratellini più piccoli Sandra e Enzo) sotto l’occupazione nazifascista,  senza mio padre, rimasto a Tripoli (Libia) .   Non lo rividi mai da gennaio 1942 fino a ottobre 1946, perché la Libia venne liberata dalle truppe britanniche del Generale Montgomery fin dal gennaio 1943, e quando lo rividi non lo riconobbi quasi, con un grande senso di colpa.

A dicembre 1943 vivevamo a Venezia da quasi due anni, nascoste, mimetizzate e piene di paura a partire dall’8 settembre (quando i tedeschi e la Gestapo presero il presidio e il comando diretto di Venezia, cominciando un intenso rastrellamento di ebrei) e ci rimanemmo fino ai primi di gennaio 1944 quando riuscimmo non ricordo come, a fuggire da Venezia per nasconderci a Barbariga (piccolissima frazione di Stra, lungo la linea del Brenta Fusina-Padova). Io avevo cominciato la 5° elementare dalle Suore del Ponte delleBande, mimetizzata e di nascosto, e ricordo che feci anche una “confessione” con un prete che mi diede tre AveMarie e un Pater Noster da recitare, e feci anche quello, con scrupolo e grande senso di obbedienza, come mi avevano abituato in famiglia: ero una bimba docile, malgrado le mie sfuriate.

Barbariga non la conosceva nessuno, tranne la zia Elena, nata da un matrimonio misto e moglie dello Zio Beppi Dina, che si battezzò dopo le leggi razziali con le sue due figlie Marisa e Mirella, di qualche anno più grandi di noi. I nostri soli protettori furono a Barbariga da allora  la Nora, fidatissima friulana ex cameriera  di mia nonna Alba a Tripoli e il suo marito abruzzese, deciso antifascista, Clodoveo Stella, ex autista a Tripoli dello zio Beppi, cugino della nonna, che aveva in Libia la rappresentanza della Birra Dreher, e, per quanto ho visto dalle foto, era  un grande amico di mio Padre. La Nora e Stella avevano un figlio unico, Sandro, di qualche anno più vecchio di me, che ricordo vivacissimo e aggressivo nei nostri confronti di bimbi più piccoli: eravamo costantemente provocati da lui.

Fatto sta che la Nora e Stella si erano conosciuti, innamorati e sposati, avevano lasciato Tripoli, e lo  zio Beppi gli aveva dato l’uso a vita di una povera casa colonica, una vera catapecchia priva di tutto, nella campagna veneta, Barbariga appunto. Chi mai ci avrebbe trovato in quell’angolo recondito e sconosciuto a tutti, con un falso nome “Naumi” anziché Nahum, due donne e tre bambini sperduti e senza sostegni, con la croce al collo, il Pater Noster, Ave Maria e Salve Regina a memoria per la messa della domenica,  che non venivano mandati a scuola per paura dei bombardamenti ma, almeno io che ero la più grande, a lezioni private  dalla maestra Letizia Zuin? Enzo e Sandra vennero ringiovaniti di qualche anno per non rischiare, ma io a 10 anni non potevo perdere la scuola, e venni mandata da lei  a prendere lezioni private  con altre due figlie dei contadini locali (la Rita e la Cetta = Concetta) per non perdere l’anno.

Ecco la grande contraddizione: profughi da Venezia, città aperta e monumento nazionale, che nessuno avrebbe mai bombardato,  per finire lungo la linea del Brenta, dove i bombardamenti vi furono, eccome, con le fortezze volanti, sempre più frequenti e pericolose quanto più si avvicinava la fine della guerra.

Ma tutti mangiarono la foglia, ci accolsero, ci custodirono,  e resero la nostra vita meno disumana di quanto avrebbe potuto essere. Ricordo tutti i contadini con affetto e riconoscenza, soprattutto la famiglia Francese, che possedeva un grande fienile e la casa più grande di tutti.

Quando mio padre, qualche anno dopo volle andare in pellegrinaggio nei  luoghi dove ci eravamo nascosti, e volle  ringraziare la Maestra Zuin per quanto aveva fatto, lei gli disse:

Io non ho proprio fatto niente, ma crede che non lo sapessimo che si trattava di una famiglia di  ebrei?

Guardando indietro a 80 anni fa, mi commuove ancora adessoricordare la bontà, l’umanità e la semplicità di una popolazioneche oggi non ritrovo più, e la fedeltà a valori ormai dimenticati e sbiaditi per sempre. Mi sento solo molto vecchia, e nuovamente immersa in una spirale d’odio, a livello mondiale, che non avrei mai immaginato riemergesse in queste proporzioni.

Solo che ora le speranze sono quasi tutte frustrate e inesistenti. E, come da bambina, torno a chiedermi quale futuro attenda tutti noie i giovani di oggi: e con terrore, non ho più risposte. Forse qualche flebile speranza, per chi verrà dopo di me.

Fiorella Nahum (91 anni)