“Milano, pioniera del dialogo, deve continuare a lavorare”

di Vittorio Robiati Bendaud

Rav Giuseppe Laras è da decenni una delle voci ebraiche più autorevoli del Dialogo ebraico-cristiano, uno dei protagonisti più significativi di un’avventura intellettuale dialetticamente affacciata sull’universo concettuale cattolico. Rabbino capo della Comunità ebraica di Milano per 25 anni, docente di Pensiero ebraico all’Università Statale di Milano e al Centro di Judaica Goren Goldstein, autore di numerosi saggi, in questi anni ha “scritto” anche uno dei capitoli più significativi della storia di avvicinamento tra le due grandi tradizioni monoteiste.

Dopo gli incontri con Alberto Melloni, Marco Politi e con il Cardinale Kurt Koch, con questo quarto e – per ora ultimo – incontro sul tema del dialogo interreligioso vogliamo, con Rav Laras, fare il punto e disegnare i futuri scenari di un cammino che comunque deve proseguire. 

A cosa serve il Dialogo ebraico-cristiano?

Il dialogo, nonostante i momenti difficili che vi sono stati e che potranno esserci, è utile e serve a combattere l’antisemitismo e a riallacciare e promuovere rapporti positivi tra ebrei e cristiani. E questo è primario e fondamentale! Esso, tuttavia, si mostra importante anche per quanto saprà suggerire e testimoniare, nel presente e nel futuro, di una prospettiva più ampia d’incontro. Penso, in primo luogo, all’esigenza della pace, da perseguirsi con urgenza e impegno da tutti.

A suo avviso come deve essere perseguito il cammino del Dialogo ebraico-cristiano?

Ebrei e cristiani hanno oggi l’opportunità storica, inedita e recentissima, di riflettere sul loro passato, presente, futuro. Aggiungo che il Dialogo, se rettamente inteso, non dovrebbe essere una sorta di diplomazia tra le due comunità religiose: in questo caso si tratterebbe già del preludio alla sua sconfitta. Questo, ovviamente, non significa nemmeno che la diplomazia non serva… Un corretto Dialogo presuppone poi una forza di convincimento e di fedeltà ai propri principi di fede tale che dall’incontro con l’altro essi escano rafforzati e non indeboliti. A ciò si deve inoltre coniugare un’effettiva e trasparente volontà di incontro dell’altro con la buona conoscenza della propria ed altrui storia.

In molti sostengono che la capitale del Dialogo ebraico-cristiano in Europa è stata Milano. È vero?

Dopo il Concilio Vaticano II, che ha ribaltato potentemente il rapporto tra Chiesa Cattolica e mondo ebraico, Milano è diventata la città in cui per vari decenni si è portata avanti un’esperienza rivoluzionaria di dialogo tra le due comunità, divenendo probabilmente il centro propulsivo di questa avventura, all’epoca, ma anche oggi, pionieristica. Non posso non ricordare una figura imprescindibile e centrale di questo cambiamento, Carlo Maria Martini, il cui arrivo a Milano coincise esattamente con il mio.

Mi pare che questo sia valso anche durante l’episcopato del Cardinale Tettamanzi…

È vero. Abbiamo trascorso insieme molti momenti significativi, di franca amicizia e collaborazione. Ho molta ammirazione per la forza, il coraggio e la dignità con cui Monsignor Tettamanzi ha detto cose scomode all’Autorità civile, compiendo scelte politiche e sociali controcorrenti di grande valore etico e religioso.

E oggi, a suo avviso, in che stato di salute si trova il Dialogo con la Chiesa Cattolica?

La situazione del dialogo è cambiata in peggio. In questi ultimissimi anni ha subito rallentamenti, colpi d’arresto e disaffezioni. Con l’avvento di Benedetto XVI, a mio avviso, la stagione del dialogo si è indebolita e rallentata, ma l’importante è che non ci si fermi. Con senso di responsabilità, onestà e sapienza, per noi è vitale che si continui lungo la strada dell’incontro, della comune responsabilizzazione e frequentazione.

Certo, con Paolo VI, Carlo Maria Martini e Giovanni Paolo II la situazione era davvero differente!

C’è la controversa questione del ripristino dell’Oremus voluta dall’attuale Papa…

Controversa e irrisolta. Questo è oggi uno dei grandi scogli che hanno reso e tuttora rendono più problematico il dialogo tra ebrei e cattolici. Quando il Papa prese questo provvedimento, noi rabbini italiani abbiamo deciso di sospendere per un anno  la consueta Giornata del 17 gennaio istituita dalla Chiesa Cattolica per il Dialogo con l’ebraismo. Uscì un Comunicato apposito dell’Assemblea Rabbinica in cui manifestavamo lo stupore, il dispiacere profondo e tutte le  riserve circa il ripristino, seppur in forma leggermente emendata, di quell’orazione dai contenuti e dalla storia terribili, da secoli simbolo e sintesi dell’antigiudaismo cattolico.

Nel gennaio 2010, durante la visita del Papa alla Sinagoga di Roma, Lei fu il “grande assente”. Rifarebbe quella scelta, che Le costò critiche anche da alcuni esponenti del mondo ebraico italiano?

Certo che sì! Mi pare che le interviste pubblicate sul tema del Dialogo negli ultimi numeri del Bollettino abbiano bene messo in luce lo stato, talvolta preoccupante, dei fatti. E i nodi ancora tutti da sciogliere.

In relazione alla visita di Benedetto XVI al Tempio Maggiore di Roma, i poco tempestivi pronunciamenti del Pontefice riguardo a Pio XII mi sembrarono quasi come una provocazione. Non avrebbe potuto pronunziare quelle parole, ad esempio, dopo la visita? Certamente non ad immediato ridosso! E poi, vogliamo soffermarci sulle “virtù eroiche”? Ritengo molto grave che un papa, una così alta guida morale, non abbia alzato la voce e denunziato al mondo l’atroce malvagità del nazismo e dell’antisemitismo. Non si dimentichi che egli continuò a regnare per numerosi anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, circa tredici. E, quindi, mi chiedo: dopo la guerra, dopo il Processo di Norimberga, dopo aver appreso la verità sconvolgente dello sterminio sistematico di milioni di persone, di oltre un milione di bambini, non una parola di denuncia, di condanna, di richiesta di scuse per i cattolici che aderirono al nazismo? Di più, non si sentì nemmeno in dovere di ripensare l’orazione del Venerdì Santo sui “perfidi Giudei”. Morto Pio XII, il suo successore, Papa Giovanni XXIII, avviò subito una prima riformulazione di quella tremenda preghiera. Credo che sia di solare evidenza che Pio XII mancò.

Rav Laras, lei, in qualità di Presidente dell’Assemblea Rabbinica, scrisse una “memoria” per i documenti dell’ultimo Congresso dell’Unione delle Comunità Ebraiche italiane, nel 2012. Questa memoria riguardava proprio la visita del Papa e i suoi effetti. Ce ne può parlare?

Sì. Volli sintetizzare il fatti occorsi in quella occasione e analizzare le conseguenze nel Rabbinato italiano delle diverse posizioni assunte. Scrissi che erano sorti gravi problemi in relazione alla visita di Benedetto XVI presso il Tempio Maggiore di Roma a causa delle esternazioni del Papa a proposito dei presunti eroismi di Pio XII proprio all’immediata vigilia della visita.

La visita papale non ha prodotto alcuna frattura all’interno del Rabbinato italiano, ma solo evidenziato una contrapposizione forte di idee su un chiarimento inequivoco da richiedere alla Chiesa in ordine alla dichiarazione papale sulle succitate “Virtù eroiche” di Pio XII (per inciso e a tale proposito, anche la recente fiction televisiva sul Pontefice, approvata e fortemente sostenuta dalle gerarchie vaticane, comprova e acuisce le preoccupazioni sulla seria prosecuzione del Dialogo).

Il quella memoria volli esprimere anche il profondo dispiacere che, in relazione a quell’evento, fossero state fatte, apertamente e no, affermazioni denigratorie e offensive nei confronti di alcune persone. Questo è stato certamente l’aspetto più grave di quella visita molto controversa, e auspicavo che si avviasse tutti insieme una seria e profonda riflessione incentrata sul versante ben adam la-haverò (tra l’uomo e il suo prossimo).

Tornando al Dialogo ebraico-cristiano e al suo valore intrinseco, in quale prospettiva e con quale fine va perseguito, nonostante le polemiche e il clima prodotto da quelli che sembrano irrigidimenti se non addirittura ripensamenti da parte delle gerarchie vaticane?

Proprio in virtù delle comuni radici bibliche, il Dialogo potrebbe e dovrebbe spingerci a ricercare insieme, con creatività e sapienza, un’etica rinnovata, specie per quanto riguarda i temi delicatissimi e fondamentali,  nel mondo contemporaneo, della preziosità e dignità della vita umana, dei diritti umani, dell’ecologia e dell’economia.