Louis Armstrong “ebreo d’adozione”? La storia segreta della famiglia che lo aiutò

di Roberto Zadik

Oggi, 4 agosto, Louis Armstrong avrebbe compiuto 121 anni. Noto per i suoi virtuosismi musicali e come uno dei più grandi trombettisti della scena jazz d’oltreoceano, per la vocalità espressiva e inconfondibile e i duetti con la grande cantante Ella Fitzgerald, Louis Armstrong indossava spesso  una Stella di David (Maghen David), simbolo ebraico, e mangiava pane azzimo come snack. Perché?

Che cosa c’entra Armstrong con gli ebrei? A rispondere a questo curioso interrogativo un articolo di Aish.com, che svela una serie di particolari sulla tormentata ed economicamente assai disagiata infanzia del musicista e cantante jazz afroamericano.

Autore di brani struggenti come What a wonderful world, commovente inno alla bellezza della vita ed emblema del suo ottimismo,  pubblicato poco prima della sua scomparsa a 70 anni, il 6 luglio 1971, Armstrong era nato a New Orleans il 4 agosto 1901 da una famiglia estremamente povera e disagiata. Il piccolo Louis venne abbandonato il giorno stesso della sua nascita da suo padre William. Dopo aver vissuto con sua nonna, fu costretto fin da piccolo a lasciare la scuola per aiutare la famiglia e cercare di sostenere gli sforzi compiuti dalla mamma e dalla sorella. Molto legato alla madre, Mayanne Albert, tormentato oltre che dai problemi economici anche dal razzismo crescente nella sua città, il piccolo Louis viveva di espedienti e girava per la città in cerca di fortuna, come altri bambini afroamericani.

Nelle sue peregrinazioni alla ricerca di un lavoro, il piccolo Louis si imbatté nella Comunità ebraica locale e, in particolare, nella calorosa famiglia dei Karnofsky, provenienti dalla Lituania. Accomunati dalle sofferenze patite, a causa del contesto xenofobo e razzista dell’America di quegli anni, Armstrong si identificò profondamente nella sofferenza di quella Comunità mantenendo negli anni a venire un sentimento di affetto e stima verso gli ebrei.

“Rispetto a quanto avevano passato nel loro Paese – ricorda il musicista nella sua autobiografia – gli ebrei negli Stati Uniti stavano sicuramente molto meglio che sotto le persecuzioni del periodo zarista e fronteggiavano bene le ostilità, aiutandosi vicendevolmente”. Nelle pagine della sua breve autobiografia Louis Armstrong e la famiglia ebraica a New Orleans, del 1969, il musicista sottolinea che “nella loro storia gli ebrei hanno sofferto molto più dei neri e quando avevo sette anni iniziavo ad assistere ai maltrattamenti subiti dalle famiglie ebraiche per cui lavoravo”.

La famiglia Karnofsky era una di queste famiglie, per le quali Louis, nonostante fosse molto piccolo, si dava da fare aiutando i due figli, Alex e Morris a caricare il carbone sul loro carro trainato da un cavallo per poi venderlo in cambio di un secchio di nichel. Una volta, dopo aver ottenuto il metallo, Morris Karnofsky gli regalò un corno di latta suonando il quale Louis annunciava l’arrivo del vagone ferroviario. Proprio il suono di questo arnese fu per lui l’inizio del suo interesse per gli strumenti a fiato che consegnò il suo talentò alla storia della musica internazionale. Infatti, scrive con il suo consueto entusiasmo che “fu il regalo più bello che mi potessero fare”. Da quel momento egli cominciò a provare piacere nell’esibirsi, suonando il corno all’arrivo del vagone, davanti alla folla, improvvisando brani e dando gioia al suo pubblico.

Louis si affezionò molto a Morris e alla famiglia Karnosfky, trovando l’affetto e la sicurezza di un focolare domestico che non aveva mai avuto prima, in quella famiglia ebraica che lo accolse come il “cugino Louis”, come lo soprannominarono, e diventandone parte. Il signor Karnosfksy insisteva ogni volta che si fermasse a cena con loro e Armstrong ricorda nel suo libro la “ninnananna russa” che il signor Karnofsky cantava ai suoi figli e che “anche io cantavo quando, a sette anni, cominciai a lavorare per loro”.

Da quel momento provò a suonare con qualsiasi strumento, perfino con una pistola che apparteneva a suo patrigno; purtroppo, partì un colpo in aria e Louis venne arrestato e mandato in un carcere minorile estremamente rigido anche se, proprio lì, c’era una band con cui continuò a suonare.

A rafforzare il suo rispetto e stima per gli ebrei fu anche l’ incontro con uno dei suoi primi manager, Joe Glazer, di famiglia ebraica russa, che lo influenzò nell’abitudine di indossare la Stella di David al collo e divenne suo intimo amico. Il massimo del successo arrivò negli anni ’50 in cui Armstrong divenne una icona americana esibendosi in una serie di live in giro per il mondo, dalla Scandinavia al Medio Oriente, compreso Israele. L’articolo di Aish.com si conclude ricordando la riconoscenza espressa da Armstrong verso gli ebrei e la famiglia Karnofsky e sottolineando che vari elementi della sua arte derivarono dal contatto con la cultura ebraica. Dal suo stile innovativo e aperto al mondo, ai valori etici e di solidarietà famigliare, al continuo miglioramento di se stessi.

“Amerò gli ebrei tutta la vita” scrisse in quelle pagine autobiografiche “sono sempre stati molto gentili e rispettosi con me e mi hanno insegnato a vivere la vita con determinazione”. L’affetto verso gli ebrei venne mostrato dal musicista anche in alcune sue canzoni, secondo Forward.com, come in Louis and the Good Book in cui egli parla di un frammento del libro del profeta Daniele in cui tre ebrei rifiutarono di accettare l’idolatria babilonese rischiando la vita. La Torah e gli aneddoti biblici ispirarono anche brani come Jonah e la balena e Caino e Abele.