Librai ebrei a Napoli nel Rinascimento.

“Una delle principali ragioni, per cui in Italia il commercio libraio nazionale è poco florido, deve ricercarsi nell’invasione dei librai stranieri, quei librai che hanno fino ad oggi dominato in tutte le primarie città della penisola” lamentava nel raro opuscolo La libreria in Italia e mezzi per migliorarla… (Roma, Tipografia del Senato 1916) Attilio Nardecchia, dotto e colto libraio di Roma, che nel 1895 aveva aperto una libreria nel Palazzo Carpegna. L’opuscolo, pubblicato durante il primo conflitto mondiale, rispecchia fedelmente il clima di quegli anni: in politica si era ceduto definitivamente all’interventismo, mentre in economia si radicalizzava l’appello al protezionismo.

Questo fondale, però, spiega solo in parte una presa di posizione così grave: Nardecchia dimenticava la ricchezza rappresentata, ieri come oggi, dai tanti librai stranieri; confondeva la vera funzione del libraio, che è semplicemente quella di intermediario, senza frontiera alcuna tra chi i libri li produce e chi li usa, privo di un ruolo determinante, capace di incidere sul commercio librario nazionale; soprattutto Nardecchia non teneva in considerazione che l’invenzione della stampa stessa venne introdotta alla fine del XV secolo, in Italia e altrove, dalla Germania.

Questo preambolo, che mostra il ciclico apparire del virus dell’intolleranza, ci serve, però, a introdurre un’altra storia: la fortunata e laboriosa opera dei Librai ebrei a Napoli nel Rinascimento, titolo e tema della preziosa agenda di piccolo formato, strenna per il 2008, che la benemerita Casa (editrice e libreria internazionale) M. D’Auria pubblica per amici e clienti.

La breve e inedita ricerca tratta di un interessante momento della storia libraia partenopea. Leggendola apprendiamo come durante il regno aragonese, specialmente sotto Ferdinando I, con maggior lungimiranza che in altri paesi europei, si creò una fortunata combinazione utile allo sviluppo della nuova industria del libro. La considerazione per la rivoluzionaria innovazione fu tale che la produzione, il trasporto e lo scambio dei libri nel regno e negli altri stati vennero addirittura liberalizzati dalla tassazione: “per li libri de stampa non se paga diricto alcuno de dohana”. Certamente la detassazione fu uno dei principali motivi che resero Napoli fra i maggiori e più fiorenti centri del commercio librario, con il conseguente forte incremento della presenza di librai in città. Sono infatti accertati per l’epoca “oltre 160 mercanti di libri” con una spiccata presenza per numero e attività di librai ebrei. La Napoli di questi anni è seconda solo a Soncino (località del cremonese dove già nel 1488 venne stampata la prima Bibbia in ebraico) per la tipografia ebraica. Accanto all’officina tipografica quasi sempre veniva aperta una rivendita di libri con assortimento di testi non solo in ebraico, ma anche in latino, greco e arabo.

Nell’agenda, dopo la chiara nota introduttiva, sono presentati, interfoliati fra i giorni, 17 medaglioni di librai ebrei che trafficavano a Napoli e di loro vengono ricostruiti alcuni tratti biografici attraverso piccoli indizi, quali contratti, richieste di privilegi, diritti… Leggendo risulta evidente come la loro sia stata una presenza ben integrata nella comunità napoletana, capace di offrire lavoro e formare apprendisti ai quali, accanto al mestiere, veniva insegnato a leggere e scrivere come pure l’arte di legare i libri, attività in cui eccellevano proprio i librai ebrei.
Il complesso studio è anonimo, ma non sbaglieremo certo ad attribuirlo al coltissimo libraio-editore e studioso, a cui siamo debitori per altri notevoli contributi sulla storia della stampa a Napoli, Gianni Machiavelli, che con inattuale understatement non vi appone la propria firma. Anche questa è una lezione di stile da chi ci ha mostrato come i librai ebrei a Napoli praticavano l’arte di vendere libri, e che questa non è mai sola vendita di merci, ma un modo per diffondere e scambiare cultura, ed è, e resterà, una delle modalità fondamentali dell’incontro tra gli uomini, i quali tante possibilità hanno di conoscersi quanti più libri hanno in comune.