“In quella casa di legno, la felicità dei miei nonni”

di Mara Vigevani

La strada da Istanbul a Edirne è sempre dritta, tre ore di autostrada senza incontrare quasi nessuno se non i camion che arrivano dal confine con l’Europa. Una cittadina piccola, semplice, che quasi non ricorda di essere stata la famosa Adrianopoli, capitale dell’Impero Ottomano. Con un’immensa moschea nel centro, uno strabiliante complesso che fu il primo centro medico moderno costruito nel 1400. Per il resto, Edirne resta oggi una mite cittadina di provincia.

La famiglia di Yakov, mio marito, ha vissuto ad Edirne fino agli anni Settanta. Poi, come molti altri ebrei, si sono trasferiti a Istanbul. Provenienti dalla Spagna, forse, dopo una breve sosta in Bulgaria, si erano sistemati nella città al confine tra Oriente e Occidente, Europa e Turchia. Proprio in mezzo, in equa distanza tra l’europea Salonicco e Istanbul, la porta d’Oriente. “Scusi, dove si trova il quartiere Kaleici?”, chiede Yakov a un verduraio sulla strada “Sen Yahudi misin?”, ovvero “Sei ebreo, vero?” risponde il proprietario della bancarella. Ci guardiamo senza capire come possa essere saltato così in fretta a tale conclusione. “Come fai a saperlo?”, chiede Yakov. “Solo gli ebrei cercano Kaleici, per rivedere le loro vecchie case. Oggi è un quartiere povero dove nessuno mette piede”. In effetti volevamo proprio cercare la vecchia casa dei nonni, che avevamo visto solo in fotografia.

“Ah! come si stava bene quando c’erano gli ebrei”, continua il verduraio con un accento turco diverso da quello di Istanbul e che fa ridere i miei bambini. “Con gli ebrei si poteva commerciare, c’erano più soldi, la vita era molto migliore; oggi Edirne è una citta povera!”.

Avvicinandoci al vecchio quartiere ebraico, ci rendiamo conto della verità delle parole dell’anziano bottegaio: il numero di carri trasportati da cavalli o da asinelli inizia a essere maggiore rispetto alle automobili; le case sono per lo più decadenti se non semidiroccate. La maggior parte delle case degli ebrei erano costruite in legno, ed ora sono completamente distrutte. I ragazzini giocano a palla sulla strada polverosa. Un quartiere povero, ma ancora decoroso.

Edirne, al confine con Grecia e Bulgaria, è sempre stata una città laica, influenzata dal continuo passaggio di europei. Agli inizi del Novecento, ad Edirne vivevano 55.000 turchi, 20.000 greci, 20.000 ebrei, 10.000 bulgari e 6.000 armeni. Nonostante la radicalizzazione della Turchia degli ultimi anni, qui ancora si vedono pochi religiosi.

Nessuno in famiglia ci sa spiegare perché le case venivano costruite in legno, ma il padre di Yakov si ricorda ancora che il pavimento della sua stanza il legno si era rotto e poteva vedere il piano sottostante. Cercando di riconoscere tra le case quella che apparteneva ai nonni di Yakov, vediamo all’improvviso una immensa costruzione in restauro. Si tratta della maggiore sinagoga (Buyuk Synagogue) di Edirne, di cui sono rimasti solo i muri e l’imponente facciata. All’entrata, un cartello spiega che la Sinagoga è diventata patrimonio storico. “Quando sono iniziati i lavori?”, chiediamo ad uno degli operai che sta montando le impalcature. “Da poco piu di un mese, ne avremo almeno per due anni”, risponde. Gli operai sembrano essere sorpresi dal nostro interesse “Di dove siete?”, ci chiedono. “Veniamo da Israele e i nostri nonni venivano a pregare in questa sinagoga”, risponde Yakov. “Uno splendido palazzo”, commenta il capocantiere”. L’antica Sinagoga poteva ospitare più di 1200 ebrei. Fu costruita nel 1907 per rimpiazzare le 13 piccole sinagoghe che in quegli anni furono incendiate. Tra le Sinagoghe esistenti all’inizio del Novecento, ce n’era una italiana e una siciliana, oltre alla portoghese, spagnola, olandese…

Da quando la comunita ebraica è lentamente scomparsa, all’inizio degli anni Settanta, sia per motivi economici sia demografici (in molti si sono trasferiti a Istanbul o in comunità più grandi (come New York o Israele), il palazzo è decaduto e nel 1997 la cupola è collassata. La sinagoga di Edirne è la terza più grande d’Europa e il governo spenderà 3,700 milioni di lire turche (1.600 milioni di euro) per il completo restauro. Verranno usati mattoni speciali per mantenere l’atmosfera della antica sinagoga e i soffitti verranno ridipinti con l’antica tecnica di Bagdad usata anche per i soffitti originali.

Il governo ha iniziato il restauro anche di alcune chiese della città e lo scopo è quello di promuovere Edirne come città di tolleranza, che abbraccia le tre religioni monoteiste.

Un profumo di rose

Finalmente troviamo la vecchia casa dei nonni, è ancora più o meno intatta, ma nessuno ci abita. Nell’aria c’è un profumo di rose, penetrante come accade solo in Oriente. La vicina di casa, una donna anziana, ci guarda incuriosita mentre scattiamo qualche fotografia e, come se ce l’avessimo scritto in fronte, anche lei ci chiede “yahud?”, “evet”, ossia sì, rispondiamo senza essere più sorpresi come la prima volta. “Sono il nipote di Zizi e Yakup Kalvo”, dice Yakov, “li conoscevate?”. “No, abitiamo qui da pochi anni, ma ricordo che una volta c’erano molti ebrei in questa zona”. La donna, di poche parole, continua a pulire una cesta di fagiolini “gli ebrei sono brava gente”, borbotta. Ma qui, sono semplicemente scomparsi..

Edirne, da centro ebraico a città fantasma

I primi ebrei si recarono ad Adrianapoli (Edirne) prima della distruzione del Secondo Tempio, ma notizie certe della presenza ebraica si hanno dall’epoca bizantina. Essi lavoravano nel settore tessile, nella concia del cuoio e nella produzione di vino. Quando la città divenne capitale dell’Impero Ottomano, nel 1361, gli ebrei furono fra i numerosi immigranti con cui gli Ottomani popolarono la città, e sempre qui arrivarono molti dei rifugiati dalla Spagna e dal Portogallo dopo la cacciata del 1492, e anche dall’Italia. Nel 1656 si contavano 15 congregazioni ebraiche (kehalim) diverse, poi scese a 13, ognuna con una sua sinagoga. Sempre qui visse l’ultima parte della sua vita il “falso messia” Shabbetai Zvi. Gli ebrei svolsero un ruolo di primo piano nell’economia della città, commerciando con mercanti ebrei e cristiani di altri Paesi. Ma fu anche un centro culturale notevole: qui visse Mordecai Comtino, e qui R. Yoseph Caro scrisse il suo famoso commento Beit Yosef. Nel 1873 c’erano 12.000 ebrei nella città, ma il numero crebbe con l’arrivo di numerosi rifugiati dagli stati balcanici. Tanto che il censimento del 1906-7 ne conta 23.989, su una popolazione totale di 55.000 unità. Nel 1907 fu costruita la Grande Sinagoga, che andò a sostituire le 13 piccole che in quegli anni erano state incendiate. Dopo gli anni ’20 ci fu un declino, dovuto al cambiamento di status della città, da capitale a città di frontiera, e in parte alle grandi emigrazioni. Oggi la comunità ebraica di Edirne non esiste più. Ne rimane solo la Grande Sinagoga in fase di restauro. (I. M.)