Esclusivo Mosaico-Bet Magazine. Dov Glickman: «Sotto la barba e il cappello, io e Shulem Shtisel siamo la stessa persona»

di David Zebuloni

Intervista all’attore israeliano che veste i panni del patriarca di Shtisel. L’affetto e la perdita, l’arrendersi e il combattere, il subire e il ribellarsi, la fede e la rabbia. L’intero catalogo delle emozioni sfila nelle immagini della celebre serie, giunta alla sua terza stagione. Non solo il racconto della vita haredì ma le eterne contraddizioni, i conflitti e le ferite che legano tra loro gli esseri umani. Shulem Shtisel, Giti, Hanine: tre personaggi complessi. Parlano gli attori che li hanno interpretati, intervistati in esclusiva per noi: sfumature, sensibilità, durezze e delicatezza di un mondo vicino e lontano. Per una fenomenologia sentimentale dell’universo haredì

Secondo una nota giornalista e critica cinematografica israeliana, Shulem Shtisel interpretato da Dov Glickman risulta essere il miglior personaggio mai apparso in una serie tv israeliana. E come darle torto? Glickman sembra nato per interpretare Shulem. Credibile in ogni suo sguardo, emozionante e ironico in ogni sua battuta, ci sembra quasi impossibile che Dov non sia realmente Shulem. O perlomeno, che non sia realmente un ebreo ortodosso.
Protagonista indiscusso di quel microcosmo straordinario chiamato Shtisel, Glickman non nasconde mai l’attaccamento quasi morboso che nutre per il suo personaggio e per il mondo al quale appartiene. Lo incontro il giorno stesso in cui la terza stagione di Shtisel viene lanciata su Netflix e rimango esterrefatto dal suo entusiasmo, dalle sue energie. Sembra emozionarsi come la prima volta e a parlare di Shulem gli si gonfia il torace di orgoglio. «Una volta ero in un ristorante a Parigi, quando un gruppo di signore musulmane si avvicinarono al mio tavolo e mi chiesero se fossi per caso l’attore che interpreta Shulem Shtisel – mi racconta Dov con grande entusiasmo. – Io rimasi ovviamente colpito dal fatto che mi avessero riconosciuto, ma ancor più impressionato dal fatto che conoscessero Shtisel. Scoprii dunque che persino in Libano, luogo in cui abitavano le gentili signore, Shtisel aveva riscosso un successo straordinario. Ti rendi conto? Forse sarà Shtisel a portare la pace nel Medio Oriente».

Signor Glickman, come definirebbe la famiglia Shtisel in una parola?
Gli Shtisel sono i Soprano del cinema ortodosso. Pensaci, entrambe le serie tv girano attorno a due elementi fondamentali: la famiglia e i rapporti tra gli esseri umani. Entrambe le serie tv si basano sulla cultura patriarcale, dove tutto gira attorno al capofamiglia. Entrambe le serie tv raccontano un sistema basato su leggi tanto severe e rigorose, quanto tacite e implicite. Da un lato il mondo ultraortodosso e dall’altro quello della Mafia.
Sia la famiglia Shtisel sia quella Soprano sono caratterizzate da sentimenti forti ed estremi. Sentimenti di amore, di rabbia, di tristezza, di felicità, di fede. Per questo motivo io dico sempre che Shtisel non racconta la vita degli ortodossi, ma i conflitti e i legami tra gli esseri umani.

Lei ha sempre affermato che recitare in Shtisel è stato l’apice della sua carriera. Che il ruolo di Shulem è stato il più importante che lei abbia mai interpretato. Perché?
Devi sapere, la lingua ebraica è diversa da tutte le altre lingue del mondo. È una lingua cruda e diretta, priva di eufemismi. Ecco, gli autori di Shtisel sono riusciti a creare un linguaggio ricco di sfumature e allusioni, utilizzando però la lingua ebraica. Non so come abbiano fatto questo miracolo. Ricordo che quando mi diedero il copione da imparare in vista del provino, mi dissi immediatamente che quel ruolo doveva essere mio, a qualunque costo. Capii da subito che Shulem racchiudeva in sé un mondo. Un mondo complesso e affascinante. E credimi che per un attore non vi è dono più grande di un testo ben scritto e un personaggio ben congegnato come quello di Shulem. Ogni volta che pronunciavo una parola tratta da quel copione, mi sembrava di addentare una bistecca succulenta.
Tutto è così esasperato in Shtisel, così portato all’estremo, che recitarci provoca un piacere indescrivibile.

Quanto Dov c’è in Shulem?
La figura di Shulem è cosmopolita, seppur ortodossa. Non ci ho trovato nulla di folcloristico nel recitare il suo personaggio, solo un qualcosa di estremamente umano. Siamo diversi, certo, ci intrattengono rituali differenti, lui è un uomo di fede e io non lo sono, ma siamo anche molto simili. Siamo entrambi storti, non andiamo mai dritti per la nostra strada. Se avessi dovuto recitare un personaggio quadrato, avrei fatto molta più fatica.

E quanto Shulem c’è in Dov? Voglio dire, quanto del personaggio drammatico e teatrale che è Shulem c’è in lei?
Shulem non è un personaggio drammatico, Shulem è un personaggio che vive delle circostanze drammatiche. Il che è ben diverso.

Credo allora che potremmo definire Shulem un uomo cinico, amaro, burbero e scontroso. Eppure il suo personaggio riesce a suscitare una grande empatia negli spettatori. Come avviene questa magia?

Sopra: Shulem Shtisel (Dov Glickman) con il figlio Zvi Arieh (Sarel Piterman) – foto Roey Roth

È vero, Shulem è un uomo estremamente cinico e amaro, ma vive circostanze tanto complicate che non si può non provare empatia per lui. Ad esempio, c’è una scena in cui gli viene affidato un cagnolino contro la sua volontà. Lui non lo vuole nemmeno toccare quell’animale, ma alla fine si arrende e accetta di prendersi cura di lui. Poi accade che il cagnolino sparisce, si perde e lui ci rimane molto male, prova un profondo senso di colpa e, tutto sommato, scopre di essersi pure affezionato. Ecco, ricordo che piansi quando lessi il copione di quella scena, perché capii d’un tratto che rappresentava alla perfezione quella che è la storia della sua vita. Il rifiuto, la resa, l’affetto e la perdita. Forse, più che empatia, Shulem suscita una certa pietà nello spettatore. D’altronde, come si può non provare pietà per un uomo che indossa un cappello tanto pesante?

Ricorda una scena particolarmente emozionante da interpretare?
Forse il monologo che Shulem fa quando scopre che la madre è ricoverata in ospedale, in fin di vita. Accade nel bel mezzo di una cerimonia organizzata nella sua scuola, in presenza di tutti gli allievi e dei loro genitori. Shulem prende il microfono e racconta dell’infinita bontà della madre, ma come sempre lo fa a modo suo.
In un modo un po’ particolare e discutibile, imprevedibile e toccante. Quel monologo riesce a destare scalpore e suscitare grande tenerezza. Se solo ci penso, mi vengono i brividi.

Le capita mai di guardarsi in televisione e di commuoversi per la sua stessa capacità interpretativa?
Un attore non può mai emozionarsi per ciò che sta vivendo la sua persona. Guai, sarebbe molto grave se ciò accadesse. Un attore può emozionarsi solo per ciò che sta vivendo il suo personaggio. Mi è capitato e mi capita spesso di emozionarmi sul set, ma mai per ciò che prova Dov. Solo ed esclusivamente per ciò che prova Shulem.

Come riesce ad interpretare un personaggio appartenente ad un mondo tanto lontano dal suo, in un modo tanto credibile?
Quando le truccatrici mi incollano la barba di Shulem, quando indosso l’abito e il cappello nero, mi rendo d’un tratto conto che in fondo io e lui siamo la stessa persona, con due sembianze leggermente diverse. Il fatto è che io non recito un ortodosso, io recito un uomo che è ortodosso. L’uomo viene prima della sua fede. Però ti ringrazio, mi fa piacere sapere che mi reputi credibile nel mio personaggio.
Un giornale ultraortodosso ha scritto: “Secondo una leggenda che hanno inventato i laici, risulta che un certo Dov Glickman ha interpretato Rabbi Shulem in Shtisel, ma noi sappiamo perfettamente che Shulem in realtà è un vero ortodosso che abita a Gerusalemme”. Capisci? Erano convinti che io fossi realmente Shulem.

 

Dov Glickman in Shtisel (credit – Vered Adir)

Lei si sente in qualche modo responsabile di rappresentare il mondo ortodosso, dopo aver ricevuto tanti complimenti da parte degli ortodossi stessi?
Non credo di rappresentare il loro mondo. Sono responsabile di ogni ruolo che interpreto, certo, ma non in modo particolare nei confronti degli ortodossi. Provo piuttosto una certa responsabilità nei confronti di Shulem, del mio personaggio, ma non del suo mondo.

Pensa di essere diventato più vicino ed empatico nei confronti del mondo ultraortodosso dopo aver indossato i loro panni in Shtisel?
Sì, ho scoperto quanto l’intolleranza sia pericolosa e nociva. Parliamo di una dimensione che sembra essere parallela, ma che dista solamente un’ora da Tel Aviv. Un po’ di tempo fa ero fermo al semaforo, mentre un ragazzo ortodosso passava davanti a me in bicicletta. D’un tratto ho sentito una signora sussurrarmi da dietro: “Anche tu odi questi ortodossi, vero?”. Io ho sorriso e le ho risposto: “Per odiare o amare una persona, devo prima conoscerla. Quel ragazzo non lo conosco ancora, ma dalla breve conoscenza che ho di te, posso affermare con certezza di odiarti”.

 

Foto in alto: Dov Glickman – courtesy CC Salome Levine