“Dal buio del tempo riemerge la storia della nostra famiglia. Dopo 78 anni, la verità”

di Ilaria Myr

Non sapevano come fosse avvenuta la cattura dello zio Nissim a Milano, arrestato da Otto Koch nella Sinagoga centrale
l’8 novembre 1943. Grazie a Roberto Cenati e Marco Steiner ne è stata ricostruita la storia e poste le pietre d’inciampo alla memoria

 

Ci sono storie, nelle famiglie, che si tramandano di generazione in generazione: storie liete, altre più tragiche, che vengono trasmesse di padre in figlio per continuare il filo della memoria. Ma ce ne sono altre su cui invece si fa silenzio, troppo dolorose da ricordare e da raccontare, ferite mai rimarginate che vengono volutamente nascoste fino a quando vengono finalmente scoperte, quando è ormai tardi per ascoltarle dalla voce di chi le ha vissute. È quello che è successo alla famiglia di Liora Hazan, membro della comunità ebraica di Milano, che solo quest’anno ha scoperto quello che era effettivamente successo allo zio Nissim durante la Seconda guerra mondiale. Che fosse morto insieme a sua moglie e alle due figlie ad Auschwitz era noto, ma su come fosse avvenuto l’arresto non si sapeva nulla. Fino a due anni fa, quando il nipote di Liora, Daniele Hazan (figlio del fratello, anche lui Hasmonai), ha portato la storia di Nissim all’attenzione di Marco Steiner del Comitato Pietre d’Inciampo, che insieme a Roberto Cenati dell’Anpi Provinciale di Milano, ha effettuato le ricerche, mettendo insieme i pezzi mancanti.

Il risultato è stata la posa di quattro pietre d’inciampo, il 6 marzo, davanti all’Hotel Diana Majestic, dedicate a Nissim Hazan, alle figlie Colette e Ginette e alla moglie Carolina Americano Hazan. E per Bet Magazine-Mosaico Liora e i suoi figli, Sonia e Ariel Colombo, e i nipoti Daniele, Micaela e Davide ricostruiscono per noi la parte nota di storia della famiglia.

«Mio nonno, Hasmonai, e mia nonna Regina avevano quattro figli: Salomone, mio padre, Zelma, Bella e Nissim – racconta Liora -. Vivevano tutti a Sofia, dove avevano ottenuto la piccola cittadinanza italiana, quell’attestato che l’Italia, da Stato vincitore della prima guerra mondiale, aveva concesso agli Stati perdenti, fra cui la Bulgaria. Anche se non vi erano mai stati e non parlavano una parola della lingua, di fatto erano italiani».
Nel 1943, però, capiscono che è meglio andarsene dalla Bulgaria perché, in quanto italiani, non possono godere degli aiuti dati ai correligionari bulgari. A quel punto Salomone, insieme alla moglie Mazal (che aveva italianizzato il nome in Matilde) e il figlio Hasmonai emigrano nell’allora Palestina, dove c’era la famiglia di Matilde. E qui, come in tutte le storie famigliari che si rispettano c’è l’aneddoto curioso. «Prendono un treno per Istanbul, e poi da lì vanno a Tel Aviv in taxi, pagando con marenghi d’oro!» racconta.
I genitori Hasmonai e Regina riescono a fuggire in Svizzera, mentre Nissim e Carolina con le due figlie vengono a Milano. «Un’amica di Carolina la convince che qui si sta bene – continua Liora -. È il luglio 1943, e in Italia ancora gli ebrei, seppure gravemente privati dei diritti, non devono temere per la propria vita. E piuttosto che andare a Tel Aviv dal fratello, dove all’epoca imperversa la malaria, Nissim decide di trasferirsi a Milano, dove alloggiano inizialmente in un appartamento situato all’interno dell’Hotel Diana (all’epoca Kursaal Diana, ndr), che apparteneva a una contessa che lo dava in affitto, e poi vanno ad abitare in via Pacini».

Come è noto, però, dopo la caduta di Mussolini, il 25 luglio, viene siglato l’armistizio con gli alleati l’8 settembre, e subito dopo i nazisti invadono l’Italia. Ed è da qui che la storia di Nissim e famiglia è stata ricostruita solo ultimamente. «Grazie a Marco Steiner e Roberto Cenati abbiamo saputo che Nissim l’8 novembre si era recato nella sinagoga di via Guastalla per prendere contatti – raccontano i Hazan – ma proprio quel giorno ci fu un’irruzione di un gruppo di SS, comandate da Otto Koch, addetto all’Albergo Regina, diventato quartiere generale nazista a Milano, efferato nell’eseguire i rastrellamenti e nel torturare coloro che venivano arrestati. Un altro ebreo bulgaro viene ucciso sul colpo (Araw Lazar, ndr) e vengono arrestate circa quindici persone, prima condotte all’Hotel Regina e poi al carcere di San Vittore. Uno di questi era Nissim».
La moglie Carolina e le due figlie, rimaste sole nell’appartamento di via Pacini, vengono poi denunciate, probabilmente dalla portinaia a cui la donna aveva chiesto delle uova per le bambine. Vengono quindi portate a San Vittore, dove ritrovano Nissim, e da lì vengono prima trasferite alla Stazione centrale da dove partono il 6 dicembre 1943 per Auschwitz.
«Grazie alle ricerche, abbiamo anche saputo che le figlie sono state uccise subito arrivate nel campo, mentre della madre non si ha una data certa. Nissim, invece morì durante la Marcia della morte». A raccontare i dettagli della sua sorte fu, appena dopo la guerra, un altro sopravvissuto che lo aveva conosciuto. «L’unica cosa che mi hanno raccontato in famiglia era che il nonno Hasmonai era rientrato dalla Svizzera per sapere cosa fosse successo alla famiglia di Nissim – ricorda Liora – e per molto tempo si mise davanti alla Galleria Vittorio Emanuele con un cartello in cui si chiedevano notizie del figlio. Finalmente un giorno gli si avvicinò uno che era sopravvissuto, e gli disse che Nissim era morto nella marcia della morte: sembra che avesse ceduto il cibo per una sigaretta e che per gli stenti fosse caduto e una SS gli avesse sparato. Per il dolore dopo pochi giorni Hasmonai morì di crepacuore, nel 1950».

Liora, nata nel 1945 a Tel Aviv e trasferitasi a Milano nel 1949 con la famiglia, fa appena in tempo a conoscere il nonno, che ricorda «alto, biondo e bello». A Milano Liora frequenta la scuola ebraica e poi studia all’Accademia di Brera, diventando un’artista, si sposa e ha due figli, Ariel Nissim (come il prozio) e Sonia. Il passato è passato, non si può fare più nulla. Ma la posa delle pietre d’inciampo e la scoperta del pezzo di storia famigliare che fino a oggi era rimasto sconosciuto completano finalmente il ritratto di una famiglia spezzata. «Le pietre d’inciampo hanno per me un grande significato: ridanno dignità a Nissim e famiglia, e soprattutto fanno capire a cosa può portare l’antisemitismo e l’odio per altri esseri umani».