Ascolta Israele, ascolta Mondo, questa preghiera è per te

Personaggi e Storie

di Alberto Cavaglion

L’ebraismo umanista e “universale” di Primo Levi

 

 

Il prossimo aprile saranno trent’anni dalla morte di Levi. Non sono stati decenni facili, per chi gli ha voluto bene e ricorda la solitudine in cui fu lasciato fino a che fu in vita. Sono sempre tormentato dal dubbio che la sua fortuna si sia intrecciata alla tragica conclusione della sua esistenza. Non posso cioè fare a meno di domandarmi se l’intervista a Philip Roth, concessa poco prima della morte – indispensabile lasciapassare per la fama oltreoceano-, sarebbe stata sufficiente a garantirgli un successo di tali dimensioni, in Europa e negli States. Viene spesso da chiedermi se la ricezione della sua opera senza “quella” morte sarebbe stata la medesima ovvero se sarebbe oggi considerato un Classico nel caso in cui, 98enne, potesse rispondere ai nostri quesiti dalla quiete della sua casa torinese di corso Re Umberto. Del resto non sono mancati, in questi tre decenni, momenti di malinconia.

Uno degli argomenti più dibattuti è stato il cherchez la femme, la sua difficoltà nei rapporti sentimentali. Aveva cominciato, con dubbie cadute di gusto, Francesco Rosi nella trasposizione cinematografica de La tregua, si è proseguito poi con il Caso Wanda Maestro, costruito ad arte, per non dire delle ombre gettate sulla esperienza di partigiano. Come per la Shoah, Levi è esposto ai tre pericoli che Valentina Pisanty ha bene delineato: banalizzazione, commercializzazione, sacralizzazione. Delle tre categorie la seconda è la più pericolosa. La terza, della quale mi onoro di far parte, mi sembra la più innocente, se non altro per il rispetto che dobbiamo a chi non c’è più. I morti, si sa, hanno l’abitudine di non potersi difendere.
Per fortuna, subentra, contro la tristezza, il ricordo di una lezione di chiarezza anche nel delineare temi delicati come quelli connessi all’ebraismo. Un solo esempio a me sembra istruttivo. Nella ormai sterminata bibliografia su Levi salta agli occhi la carenza di studi intorno al tema del sacro. Non esistono, nella letteratura ebraico-italiana, testi in cui una preghiera, come accade per Se questo è un uomo, sia collocata in posizione di tale preminenza, in incipit, eppure tutti gli interpreti si sono ritratti – e continuano a ritrarsi – davanti all’idea che l’agnostico Levi, l’illuminista chimico scrutatore della Materia, si sia servito della Scrittura per decifrare il Caos. Ne consegue che si sappia oggi, e venga ripetuto, con puntigliosa precisione, di quali brani dei Salmi e di Deuteronomio e di quale mirabile intarsio di versetti sia formato un componimento in origine intitolato proprio Salmo, ma s’ignori la ragione per cui Levi abbia deciso d’iniziare il suo viaggio negli inferi con un sermone sui generis, finalizzato a scopi che certo liturgici non sono, ma pur sempre modellato sul testo principale del giudaismo, lo Shemà. Una professione, anzi “la” professione per antonomasia: «Ascolta, Israele!».
Nel primo periodo della sua carriera di scrittore, Levi è stato portatore di un umanesimo ebraico più unico che raro. Dopo i primi due libri le cose cambieranno, anche rispetto alla tradizione dell’ebraismo. Levi cercherà con fatica di costruirsi una complicata identità di scrittore ebreo e quel messaggio originario svanirà. Nella sua prima fase l’ebraismo è l’altra faccia dell’umanesimo dantesco. Quella di Levi non è Imitatio Bibliae, ma il risultato di una mediazione, che produce nuove citabilità e si intreccia con l’umanesimo di Dante. Non solo Imitatio Bibliae, ma Imitatio Bibliae Comediae. Grazie al «sacrato poema» (La Divina Commedia), il messaggio da trasmettere alle future generazioni attraverso “storie di una nuova Bibbia” si universalizza. Merito di Dante se l’«Ascolta, Israele» cessa di riguardare il solo giudaismo per trasformarsi in «Ascolta, mondo!».
Per ricordare agli uomini l’unicità dell’esperienza attraversata in Auschwitz ogni autoreferenzialità è da ricusare. Levi la pensava, almeno su questo, come Améry: «“Ascolta, Israele” non mi interessa – dirà – solo “Ascolta Mondo”, solo questo ammonimento potrei proferire con collera appassionata».

* Alberto Cavaglion, docente di Storia dell’ebraismo all’Università di Firenze, ha pubblicato numerosi saggi: La Resistenza spiegata a mia figlia (Feltrinelli); Verso la Terra promessa. Scrittori italiani a Gerusalemme (Carocci).
Nel 2012 è uscito il suo commento a P. Levi, Se questo è un uomo (Einaudi). Nel novembre 2015 ha fondato a Cuneo la Biblioteca e centro studi sugli Ebrei in Piemonte “Davide Cavaglion”.