Alberto Cavaglion: scrittori, poeti e pensatori ebrei nella cultura italiana

Libri

di Nathan Greppi

Quello tra gli ebrei e la cultura italiana è un rapporto che ha subito mutamenti profondi nel corso del tempo, a seconda del clima politico del momento. Lo sa bene Alberto Cavaglion, docente di Storia dell’Ebraismo all’Università di Firenze, che nel suo ultimo libro ha analizzato questo processo di cambiamento in un arco di tempo che va dal 1815, anno in cui ebbe inizio la Restaurazione nell’Europa post-napoleonica, al 1988: un anno dopo la morte di Primo Levi e Arnaldo Momigliano, uno prima del Crollo del Muro di Berlino.
Il saggio si pone come una sorta di prosecuzione del lavoro iniziato dall’autore vent’anni fa con un precedente libro, Ebrei senza saperlo, e analizza diverse fasi della storia italiana: dal Risorgimento ai primi decenni dell’Italia unita, dai governi di Giolitti al periodo fascista, per arrivare al secondo dopoguerra. Molti sono gli intellettuali presi in esame, da Umberto Saba ad Eugenio Colorni, passando per Giorgio Bassani.
Non mancano riferimenti a come si è evoluto il rapporto degli ebrei italiani sia con il nazionalismo dei loro connazionali sia con il movimento sionista, che potevano essere positivi o negativi a seconda del contesto storico e generazionale. In conclusione, il libro di Cavaglion si rivela una guida utile per ripercorrere un fenomeno in perenne mutamento, in cui a momenti di miglioramento si alternano altri di caduta e di abisso. Perché la storia non è una linea retta ma un’onda anomala, che si gonfia, si alza, precipita e ricade.

Alberto Cavaglion, La misura dell’inatteso. Ebraismo e cultura italiana (1815-1988), Viella, pp. 272, euro 28,00.

 

 

Foto in alto: Giorgio Bassani.