Alessandro Rimini, l’architetto dimenticato della Grande Milano

di Sarah Parker

Il Teatro Smeraldo, il Cinema Colosseo, l’Auditorium Verdi… tutta opera sua. Nel 1924 inizia la sua ascesa professionale che lo porterà, nell’arco di un decennio, a ridisegnare Milano. Ma il destino bussa alla sua porta: le Leggi razziali del 1938. Rimini è un professionista di talento e ingegno, ma è ebreo. Pertanto, da quel momento, saranno altri a firmare i suoi progetti, “scippandogli” le sue architetture. Ma l’avventura continua…

Zakhòr (Ricorda)

Pochi ricordano il nome di Alessandro Rimini, ma se è vero che uno degli imperativi più sacri all’ebraismo è l’obbligo del Ricordo, forse è il caso di ristabilire giustizia, anche alla luce dei recenti revisionismi. Un nome che risuona di spiagge, di allegria, di vita spensierata, di Romagna… In realtà si tratta di un antico cognome ebraico, autenticamente italiano ed ebraico. Alessandro Rimini nasce a Palermo nel 1898 da famiglia veneziana. Studente presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia si distingue per il suo talento, diplomandosi professore di disegno architettonico con il massimo dei voti a nemmeno 23 anni. All’epoca è già stato in un campo di prigionia tedesco. Prelevato nel corso di una manifestazione studentesca dalle autorità militari italiane e spedito al fronte senza neanche il tempo materiale di avvisare l’amatissima famiglia, partecipa alle azioni di guerra di Passo Zagradan e durante la famosa disfatta di Caporetto viene fatto prigioniero dai tedeschi. Trascorso un anno di detenzione in un campo a Munster, in Westfalia, riesce a fuggire a piedi in Olanda.

Rientrato in Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale decide di trasferirsi a Milano con la donna che da lì a breve diventerà sua moglie, Olga Benini. Frequenta la scuola di nudo di Ettore Tito, la passione per il disegno e la pittura non lo abbandoneranno mai, neanche nei momenti più bui della sua esistenza. La sua ascesa professionale è fulminea. Il primo lavoro importante è la progettazione del Cinema Colosseo di Viale Montenero 84 con annessa casa d’abitazione. I titoli dei giornali dell’epoca sono entusiastici. “Il Colosseo – il nuovo maestoso cinema di Milano”, “Il nome di Colosseo veramente si adatta alla grandiosità e alla magnificenza dell’ambiente, che accoppia alla eleganza e al buon gusto squisiti la maggiore praticità e la più bella distinzione di linee”. L’inaugurazione si svolge in una cornice esclusiva con tanto di celebrazioni delle autorità, del bel mondo milanese e la colonna sonora della Marcia Reale e dell’inno Giovinezza. Siamo nel 1928. Rimini non può immaginare che il primo luogo che progetta e che gli dà la fama sarà il luogo dove verrà catturato molti anni dopo dai nazifascisti. Ma procediamo con ordine. Gli incarichi si susseguono: inaugura un altro cinema, l’Impero di Via Vitruvio, all’angolo con Via Tadino. Nel 1930 si trasferisce a Napoli con la famiglia progettando e seguendo per tre anni la direzione del cantiere dell’Ospedale Cardarelli, ancora oggi il più grande ospedale del Sud Italia. La sua passione per l’arte lo porta ad acquistare quadri di pregio del ‘500 e del ‘600 napoletano. Ancora non sa che il suo amore per la pittura e il suo innato senso estetico contribuiranno a salvare la vita della sua famiglia quando, nascosti alla persecuzione nazista, dovranno svendere letteralmente opere inestimabili in cambio di zucchero, sale o beni di prima necessità per sopravvivere. Mussolini in persona inaugura il Cardarelli e Alessandro Rimini cerca di defilarsi dalle foto celebrative in quanto rifiuta di indossare la camicia nera e fare il saluto romano.

La Torre Snia-Viscosa, il primo grattacielo di Milano Nel 1934-1935 vince il progetto per la ripianificazione urbanistica di Piazza San Babila e di Corso del Littorio (attuale Corso Matteotti) progettando così il primo grattacielo d’Italia, la Torre Snia Viscosa, chiamata oggi Torre di San Babila. È un ardito monumento in cemento armato per il quale vengono richiesti permessi speciali, dati i 59 metri di altezza, ma è completato in tempi da record e inaugurato con tanto di cinegiornali dell’epoca a seguire l’evento. L’edificio deterrà il record di altezza per molti anni a venire. Al suo interno, precisamente nell’atrio sopra agli ascensori, compare la sagoma di una donna en deshabillé: è Olga, l’amata moglie, la cui silouhette comparirà in tutti gli edifici da lui progettati. Segretaria del patron della Snia è la signora Crovetti, ebrea come lui e che ritroverà nel campo di concentramento di Fossoli. Nel 1936 fa ritorno a Napoli per il risanamento del Rione Carità e progetta Palazzo Troise con annessa riqualificazione della Via Diaz. Le invidie professionali e le pretestuosità per attaccarlo si fanno però, via via, più crescenti. Mussolini in persona definisce il palazzo in costruzione un “paracarro” e alcuni architetti e ingegneri arriveranno a sollecitarne l’abbattimento, convinti che la sua mole oscuri il magniloquente e fascistissimo Palazzo delle Poste e Telegrafi. Ciò non avviene poiché i costi di abbattimento risulterebbero di gran lunga superiori al completamento dell’opera! Così Alessandro Rimini potrà ancora firmare sia Palazzo Troise sia la Torre Snia.

1938 – Promulgazione delle Leggi Razziali. “Rimini Alessandro di razza ebraica, di anni 29, di condizione architetto, nato in Palermo, residente in Milano, figlio di Cesare e di Todesco Adele”. Con queste poche righe Alessandro Rimini, pur continuando a lavorare in molti cantieri, di fatto diventa un fantasma, non può più firmare alcun progetto. Alessandro Rimini è un professionista di talento e ingegno, ma resta pur sempre un ebreo. Pertanto d’ora innanzi saranno altri a firmare i suoi progetti, le sue amate “creature”. Ed è così che nascono il Cinema Astra e il Cinema Teatro Massimo in Corso San Gottardo con annessa casa d’abitazione, meglio conosciuto ai milanesi come l’Auditorium Verdi, inaugurato il 20 ottobre del 1938. Nel 1939, insieme a Giò Ponti, progetta Palazzo Donini in Piazza San Babila, dove attualmente c’è il negozio LEGO. Tra il 1940 e il 1943 sta ancora lavorando, anche se in maniera defilata. Presiede ai cantieri di Via Mercadante, Via Anelli, Via Mascagni, Viale Bligny, ma soprattutto a quelli di Via Soperga dove ha progettato la sede ufficiale della Metro Goldwin Mayer. Nell’aprile del 1941 inaugura, completamente rinnovato, il Cinema Metro Astra in Corso Vittorio Emanuele, sede attuale di ZARA. Degli antichi arredi (Rimini disegnava personalmente ogni oggetto), rimangono solo un grande lampadario in vetro di Murano e la doppia scalinata con ringhiera in ottone e cristallo lavorato. Vi sono alle pareti dei preziosi mosaici, tra i quali si può scorgere di nuovo la silhouette dell’amata moglie Olga.

Rimini è un “padre biologico” di molte opere del periodo, ma il riconoscimento della paternità spetta ad altri. La ferita inferta è grande, ma questo è solo il preludio di ciò che di più grave accadrà. È uno tsunami che coinvolge anche la famiglia. Sua figlia Lilly, bambina inconsapevole, viene cacciata da scuola e nonostante uomini e donne di buona volontà cerchino di proteggerli e aiutarli, ciò non basterà a frenare le scelte scellerate del nostro Paese che entrerà in guerra alleato dei Tedeschi e della Germania nazista. I vertici della Metro Goldwin Mayer, da tempo in dismissione da ogni investimento italiano, hanno offerto ad Alessandro Rimini un salvacondotto per sé e per la sua famiglia negli Stati Uniti, ma per non abbandonare la madre gravemente malata, impossibilitata a partire, egli rifiuta. Questa scelta d’amore gli costerà cara. A causa di una delazione, mentre si sta occupando della messa in sicurezza del Teatro Colosseo danneggiato dai bombardamenti, viene arrestato e tradotto a San Vittore, dove trascorrerà tre mesi. Verrà torturato e picchiato, gli spaccheranno tutti i denti, ma non rivelerà dove la famiglia è nascosta: a Roverbella, tra Mantova e Verona.

Viene trasferito nel campo di concentramento di Fossoli insieme a tutti gli ebrei rastrellati in città, tra cui parenti e amici, oltre a un gruppo di prigionieri politici. Si conoscono quasi tutti. Nella sua testimonianza, rilasciata alla Fondazione CDEC, parla dei sotterranei della Stazione Centrale e di quel lunghissimo convoglio diretto a Carpi. Dalla prigionia scriverà lettere piene di dolcezza alla moglie, cercando sempre di minimizzare ciò che di crudele accade lì dentro. Incita Olga ad avere “sempre coraggio, mai paura, che sento sempre che per noi finirà tutto bene; e questo ci sembrerà solo un brutto sogno, e sarà dopo, tutto più bello, e ci vorremo ancora più bene, e non ti annoierai più te lo prometto”. Con riferimento alle figlie scrive: “Raccontagli tante cose belle di paparino, che non è tanto lontano, è sempre vicino a voi col pensiero”.

La Fuga da Fossoli, un attimo prima della deportazione Nel Campo di Fossoli, Alessandro Rimini medita l’idea della fuga. È luglio e le SS fucilano 70 prigionieri. L’episodio verrà ricordato come l’Eccidio di Carpi. In un biglietto scritto a mano, ancora conservato dalla famiglia Rimini, vi sono i nomi di tutti i prigionieri con cui egli è detenuto, che pregano di avvisare le rispettive famiglie nel caso riuscisse a scappare. Fra questi, solo per citarne alcuni: Fiano, Belgiojoso, Banfi, Orvieto, Ettore Barzini (figlio di Luigi e militante del GAP), e Doffi, un suo nipote medico di 26 anni che, come tanti altri, quasi tutti, non tornerà da Auschwitz. Arriva il giorno della deportazione. Prima in bus, poi su barche per attraversare il Po, poi ancora autobus e poi fermi a Verona per due giorni.

Tutti gli ebrei sono rinchiusi in una ex fabbrica di tabacchi. Infine vengono trasportati in camion sino a Verona Porta Vescovo e da qui caricati sui convogli diretti in Polonia. Alessandro Rimini progetta la fuga nei minimi dettagli e nel preciso momento della partenza, trovandosi il suo convoglio attaccato all’ultimo vagone di scorta, con un escamotage coglie alla sprovvista i soldati fingendosi un poliziotto italiano salito per un’ispezione. Entra da un lato del vagone e scende letteralmente dall’altro, con il treno ormai in movimento.

Quando si capirà che è fuggito è già troppo tardi. Mandano delle squadre a cercarlo, ma Alessandro Rimini è corso nella campagna verso Roverbella, dove c’è sua moglie con le bambine. Viene riconosciuto solo dal cane Leo che gli corre incontro e i suoi abiti vengono sotterrati. È stremato, senza denti, macilento, ma vivo. Inizierà la sua vita di latitanza sotto le mentite spoglie di un pittore di nome Guido Lara. Vive della sua arte, nascosto in una Milano dove si combatte. La figlia maggiore Lilly andrà a trovarlo in una casa diroccata proprio di fronte alla sede dell’Aeronautica di Piazza Novelli, divenuto comando nazista.

La seconda vita. Arriva la fine della guerra e Alessandro Rimini riprende la sua attività di architetto. Non parlerà mai più dell’accaduto, se non in una dettagliata deposizione rilasciata al CDEC nel 1967 e di cui non farà mai menzione alle figlie. Il Teatro Smeraldo, che si tenta di far passare ancora oggi per opera non sua, bensì di un suo collaboratore “ariano” è emblematico del suo atteggiamento. Non cercherà mai vendetta né rivalse su chi, approfittando della sua posizione di debolezza, tentò di prendersi meriti non propri. L’erede del Teatro Smeraldo e dell’edificio che lo ospita (attuale EATALY), documenti alla mano, ha dovuto ribadire recentemente la paternità del progetto, attribuendola giustamente a Rimini. Così è accaduto per altri edifici progettati durante le leggi razziali del ‘38. Nel dopoguerra termina, sempre con Giò Ponti, i progetti del complesso in Piazza San Babila, e poi il Cinema Corso, l’Ariston, il Rivoli, il Modernissimo e il Bar Tre Gazzelle. Altri suoi edifici e cinema sono a Pavia, Lodi, Rimini e Riccione e Roma. Dal 1962 si dedicherà esclusivamente alla pittura. Nel 1976, in una calda estate, muore a Genova. Alessandro Rimini ha contribuito a trasformare la città di Milano, ma è stato anche un esempio di lotta e ribellione al destino che altri avevano la pretesa di scegliere per lui.