papa Pio XII

La verità, vi prego, su Pio XII

di Claudio Vercelli

Gli archivi di Papa Pacelli getteranno luce sui misteri  del Vaticano? Ancora presto per dirlo… Amico della Germania, ma non del nazionalsocialismo; nemico giurato del comunismo sovietico; sospettoso verso gli ebrei accusati di essere la matrice del bolscevismo. Eppure aprì i conventi ai perseguitati. Chi era davvero Pio XII?

 

La vicenda dell’accessibilità degli archivi vaticani in relazione al pontificato di Pio XII si trascina da almeno cinquant’anni, ossia dal momento che il giudizio sulla sua azione nei lunghi giorni dell’occupazione nazista-fascista dell’Italia, tra il settembre 1943 e l’aprile del 1945, fu fatto sempre più spesso oggetto di letture tra di loro contrapposte. Come è risaputo, da una parte coloro che nel tempo andarono maturando un’opinione molto severa, fondata sul convincimento che il pontefice non solo non si fosse adoperato adeguatamente contro gli occupanti ma che – addirittura – un’ombra su di lui si fosse stesa, essendo evidentemente sceso a impliciti patti, ovvero ad un’irrisolta compiacenza, con il dispositivo criminale tedesco. Non un coinvolgimento diretto (se si fa eccezione per la lettura offerta da alcune stravaganti posizioni) bensì come una sorta di amorale “lasciare fare”, laddove – invece – avrebbe potuto intervenire, quanto meno indirettamente, per attenuare la brutalità della politica razzista e assassina. Il fuoco di questa polemica ruota soprattutto intorno all’episodio della “razzia” degli ebrei romani, il 16 ottobre 1943, e della loro conseguente deportazione ad Auschwitz. Dall’altra parte, in secca contrapposizione, si è strutturata nel tempo una lettura alternativa, alimentata da una diffusa pubblicistica, che capovolge gli assunti delle posizioni precedenti per, invece, attribuire al pontificato di Pacelli non solo un meritevole impegno per contenere la barbarie nazifascista ma addirittura un coinvolgimento in prima persona nell’azione per salvare gli ebrei.

Non poche di queste affermazioni sconfinano nell’apologetica, ossia nella lettura protesa ad una sistematica esaltazione della figura del vescovo di Roma. In alcuni casi, risultano addirittura al limite dell’imbarazzante. Entrambe le posizioni, tuttavia, condividono un presupposto, ossia che il Vaticano, e Pio XII in particolare, fossero a piena e compiuta conoscenza del sistema di sterminio nazista, dei suoi modi di funzionamento, dei suoi criteri e dei suoi mezzi. Non di quello persecutorio, si badi bene, di cui si sapeva molto se non tutto, ma di quello operante tra il tardo autunno del 1941 e l’inizio del 1945 nei paesi dell’Europa orientale, ovvero delle camere a gas per intenderci. Di certo già nel 1942 a Roma dovevano essere giunte informazioni circostanziate al riguardo. Documentazione storica testimonierebbe in tal senso.

Tuttavia, proprio perché la questione dell’intellegibilità degli eventi in corso era allora non solo maggiormente nebulosa di quanto non lo sia per noi oggi, ma anche per le molteplici implicazioni politiche – a fronte di una Santa Sede in oggettive difficoltà – che la rivelazione pubblica dello sterminio avrebbe portato con sé, la formulazione di un giudizio definitivo rimane molto complicata. Francamente, proprio per questo le posizioni militanti non solo si rivelano stanche, nella loro ossessiva ripetitività, ma impediscono oramai una qualsiasi capacità di interpretazione della complessità di quelle vicende che vada oltre il già detto e risaputo. Ed è anche per questa ragione che risulta assai poco plausibile che l’apertura degli archivi possa portare con sé elementi tali da potere formulare finalmente un giudizio definitivo. Non solo perché gli archivi possono offrire molto, e tuttavia non danno mai quel “tutto” che invano si cerca, ma anche perché è estremamente improbabile che in essi si possa trovare quella carta definitiva che, da sé sola, permetterebbe di esprimersi in modo inequivocabile.

Certe decisioni (ovvero, anche e soprattutto la mancanza di esse) non si prestano alla loro messa nero su bianco, in un testo destinato a passare ai posteri, come futura memoria. In quanto di esse non si deve, per l’appunto preservare la memoria. Semmai la documentazione, quando è letta e riletta, contestualizzata, compresa, interpretata permette attraverso alcun indici (ricorrenza di determinate parole; natura dei soggetti interloquenti; struttura dei carteggi; collocazione della documentazione medesima e così via) di ricostruire un contesto, una cornice, un ambiente e, con essi, quindi, una propensione. A tale riguardo, di Pio XII già si sono da molto tempo identificati alcuni aspetti, non solo del suo pontificato ma della sua stessa persona, delle sue propensioni e delle sue inclinazioni.

Da nunzio apostolico in Germania, aveva maturato una grande simpatia per il Paese, nel quale il conflitto politico tra sinistre e destre, insieme alle drammatiche crisi economiche del 1923 e del 1929, avevano indebolito il già fragile tessuto democratico nazionale. Pacelli non si riconobbe mai nel nazionalsocialismo, se non altro per la sua visione aristocratica, patrizia delle relazioni sociali, di contro al plebeismo hitleriano. Ma da anticomunista d’acciaio qual era, ritenne che i fascismi potessero costituire un valido baluardo contro l’Est. Un universo mentale, all’epoca, agitava i pensieri di quanti si rifiutavano di riconoscere legittimità all’Urss e, soprattutto, alle sue spinte egemoniche.

Indifferenza verso il destino degli ebrei “Bolscevichi”

La compressione, nell’immaginario collettivo, degli ebrei sul «bolscevismo», attribuendo ai primi la responsabilità storica di avere generato il secondo, fu parte della diffidenza e poi dell’indifferenza, con la quale venne osservato il loro destino. Soprattutto da parte di coloro che, potendo vedere senza necessariamente condividere, comunque si astennero nei fatti dall’intervenire per impedire la catastrofe. Quel che si sa, al riguardo, è che la Chiesa cattolica – non sempre coincidente con la curia romana – attraversò quegli eventi in modi tra di loro molto diversi. Le strutture periferiche si adoperarono molto spesso per salvare i singoli perseguitati. Il giudizio su di esse si disgiunge quindi da quello sul pontificato. Non perché le une e l’altro applicassero condotte antitetiche ma per via del fatto che i soggetti non coincidevano, men che meno in un’epoca di guerra totale. Da ultimo rimane un richiamo al fatto che la compressione sistematica della ricerca storica all’interno delle aspettative di taglio pubblicistico, se non spettacolare, mediatico, alla ricerca esasperata dello “scoop”, è esattamente ciò che la lettura degli archivi non può e non deve legittimare in alcun modo.