Ucraina: quando si riscrive il passato, a colpi di Leggi, per assolvere i nazionalisti

Opinioni

di Claudio Vercelli

[Storia e controstorie] L’Ucraina è uno Stato indipendente dall’Unione Sovietica dall’agosto del 1991. I rapporti con la Russia, come è ben risaputo, sono a dir poco problematici se non tempestosi, poiché Mosca rivendica la sovranità sulle province orientali, ossia la regione del Donbass. Dall’avvio delle ostilità, nell’aprile del 2014, ad oggi, gruppi paramilitari separatisti, con il supporto delle autorità russe, hanno conteso alle autorità di Kiev il controllo di quei territori. Il confronto è ben lontano dall’essersi concluso, conoscendo costanti recrudescenze.

Questo rimando di cornice è comunque necessario per comprendere il senso del ragionamento sui criteri con i quali il Paese fa i conti con il suo passato. Va infatti ricordato che tra l’agosto del 1941 e l’estate del 1944 quei territori erano stati trasformati in un governatorato (Reichkommissariat Ukraine) sotto il rigido controllo tedesco. Prima ancora, con l’ascesa al potere dei bolscevichi nel 1917 e la lunga guerra civile che ne era seguita, estremamente sanguinosa, le terre ucraine erano entrate a fare parte dell’Urss. Il nazionalismo ucraino aveva cercato di opporsi con tutti gli strumenti a sua disposizione. L’Holodomor – ossia la tragica carestia che tra il 1932 e il 1933 aveva poi attanagliato il Paese, a seguito dei processi di espropriazione delle terre, di collettivizzazione delle campagne e di distruzione della piccola proprietà rurale – insieme alle misure di repressione e persecuzione politica e culturale, avevano causato milioni di morti. Di fatto la volontà sovietica di “normalizzare” l’Ucraina, depredandola dei suoi beni e eliminandone una parte della popolazione, costituisce una delle pagine più buie del Novecento. In questo quadro, la presenza ebraica era stata solidissima fino agli anni dell’occupazione nazista, malgrado le tensioni succedutesi nel corso del tempo. L’antisemitismo, infatti, non era mai venuto meno.

Ma l’arrivo dei tedeschi comportò l’inizio di una feroce mattanza, con la morte di più di un milione di ebrei ucraini. Un ruolo importante, in questa tragedia, lo svolse quella minoranza di connazionali che si misero attivamente al servizio degli occupanti. Rammentato tutto ciò, è bene venire ai tempi nostri. Nell’ambito dei processi di costruzione di una memoria pubblica, il fenomeno della «decomunistizzazione», ossia del divieto di rifarsi pubblicamente al passato regime sovietico, ha comportato la rimozione di monumenti, simboli e la trasformazione della denominazione topografica di molti luoghi. L’insieme delle leggi approvate in questi anni (la 2558, 2538-1, 2539 e 2540) hanno concorso a definire i caratteri del giudizio politico sul passato, vietando o censurando ogni riferimento diretto ai «regimi totalitari», con la parificazione tra il periodo sovietico e quello nazista. A fronte di ciò, diverse organizzazioni nazionaliste che operarono contro il comunismo sono state riconosciute come associazioni di combattenti per l’indipendenza e la libertà dell’Ucraina. Al pari, la negazione dei crimini dei passati regimi è divenuto un reato. Fin qui, in linea di principio, le obiezioni potrebbero essere contenute, rifacendosi perlopiù al problema, irrisolto, dei confini della libertà di espressione. La questione assume però un carattere ben più problematico se si pensa che di mezzo c’è anche il giudizio sul fenomeno antisemitico in quel lungo periodo che va dal 1917 al 1991.
Le leggi in oggetto, formalmente nulla sottraggono alla condanna anche di quest’ultimo. Ma nel loro dispositivo, laddove enfatizzano il nazionalismo ucraino, rischiano di passare una sorta di colpo di spugna sulla indiscutibile complessità di quei tempi. Così come sulle molteplici responsabilità che li accompagnarono. Poiché gli ebrei si trovarono spesso tra l’incudine degli occupanti e, in alcuni casi, il martello dei nazionalisti. Non si tratta di equiparare i primi ai secondi ma di comprendere che alle luci si possono anche accompagnare alcune ombre. Soprattutto – e non si tratta di un problema della sola Kiev, pur sottoposta a gravissime tensioni conflittuali con Mosca – che ad ogni legge della memoria deve legarsi sempre e comunque una visione non solo censoria del passato. Non per concedere qualcosa ai carnefici di ieri ma per meglio comprendere le motivazioni della libertà nell’oggi. La quale si alimenta di continuità ma anche di discontinuità rispetto al giudizio sulle scelte operate nei tempi trascorsi e sui soggetti che ne furono protagonisti.

La questione antisemita è infatti un indice delle une come delle altre.
Non è un capo d’imputazione nei confronti di popoli e società, ma uno strumento per capire quale sia stata la dialettica tra minoranze e maggioranza, attraverso la quale si rigenera costantemente la democrazia. Non ci si aiuta, allora, se di sé e dei propri trascorsi si intenda offrire una visione puramente apologetica e celebrativa. Noi italiani ne sappiamo qualcosa, a ben pensarci, dovendo costantemente fare i conti con un passato che non è mai del tutto trascorso una volta per sempre.