Con Trump, la nuova amministrazione americana spingerà israeliani e palestinesi verso il pragmatismo?

Opinioni

di Angelo Pezzana

Il presidente israeliano Reuven Rivlin
Il presidente israeliano Reuven Rivlin

Il Medio Oriente, con l’arrivo della nuova amministrazione Trump, non sarà più quello voluto da Obama. Anche se non ne conosciamo ancora i cambiamenti precisi, la situazione migliorerà, non solo per Israele, ma anche per le democrazie occidentali. Cominciamo dai cosiddetti colloqui di pace israelo-palestinesi, interrotti a causa della defezione di Abu Mazen che pretendeva di anteporre i suoi desiderata prima di discuterne i contenuti con la controparte. Trump alla Casa Bianca un risultato l’ha già prodotto: a Ramallah c’è più attenzione nel redigere i proclami ultimativi contro Israele; “due Stati per due popoli” non è più l’unico obiettivo, persino per Israele, anche se Netanyahu, nell’incontro con Trump, l’ha nuovamente sottoscritto. Il presidente israeliano Reuven Rivlin, lo scorso 13 febbraio, ha dichiarato di essere favorevole alla completa annessione di Giudea e Samaria, il cosiddetto West Bank, in cambio della cittadinanza israeliana per i palestinesi che vi abitano. Una tesi indubbiamente innovativa, considerata la fonte autorevole, che però ha destato più che altro curiosità. Certamente non ha trovato il consenso di Netanyahu, la cui avversità allo Stato binazionale è tuttora quella che aveva affermato nell’intervento del 2009 all’università Bar Ilan.

È tornata invece alla ribalta la proposta di un anno fa del presidente egiziano Al Sisi, che si dichiarava disponibile a organizzare una conferenza invitando gli Stati arabi moderati della regione, per ridare vita a una iniziativa di pace. Nessuna richiesta veniva rivolta all’Autorità palestinese, mentre Israele doveva sottostare a tre condizioni: 1) riaffermare – da parte del Primo Ministro israeliano – la soluzione dei due Stati; 2) conferire alla iniziativa araba il merito della ripresa dei negoziati; 3) dimostrare la serietà delle intenzioni di Israele con un atto di buona volontà (che molti hanno collegato al congelamento delle costruzioni oltre la linea verde). Netanyahu ha risposto sì alle prime due, no alla terza. Come era prevedibile. Gli arabi possono costruire nei territori contesi sotto la loro giurisdizione in base agli Accordi di Oslo, Israele no. Ma se sono contesi, le regole devono essere le stesse per entrambi i contendenti. Con Trump cambierà l’atteggiamento della controparte araba? I segnali, come abbiamo visto, sono promettenti.