Tallal a-Hariri vuole trasformare l’Iraq da colonia iraniana a un Paese pronto a un reale cambiamento. Anche verso Israele

Opinioni

di Angelo Pezzana

[La domanda scomoda]

Spesso l’omissione è più pericolosa della censura. Quest’ultima, almeno, può suscitare reazioni, proteste. L’omissione no, quanto viene omesso è come non fosse mai avvenuto, diventa una non notizia.
Tallal a-Hariri, sempre presente nelle manifestazioni di protesta contro il corrotto regime di Baghdad, per non fare la fine di Hishem al-Hishami, analista e attivista anti-iraniano ucciso lo scorso anno, anche lui minacciato di morte si è rifugiato a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, da dove guida dal 2020 il movimento “25 Ottobre”. A gennaio ha ricevuto l’autorizzazione a partecipare alle prossime elezioni parlamentari, il suo obiettivo è quello di dar vita a un governo laico, non settario, non corrotto, senza più l’asservimento all’Iran. E, novità assoluta, la normalizzazione delle relazioni con Israele, in un Paese come l’Iraq che continua a sostenere il boicottaggio di Israele imposto dalla Lega Araba. Hariri, che accusa apertamente il governo iracheno di essere sottomesso a Teheran e ai Fratelli Musulmani, si rivolge alle nuove generazioni. Un recente sondaggio ha reso noto che l’80% degli iracheni, in gran parte giovani, vogliono la separazione tra Stato e religione, una società pluralista, che riconosce la propria identità nella parola “Mesopotania”. È questo il programma del partito “25 Ottobre”, anche se Hariri riconosce apertamente tutti i pericoli che minacciano la sua stessa vita. La relazione con Israele, nel suo programma, infatti, dipende soltanto da un “quando”, non da un “se”. A Gerusalemme l’attenzione verso Hariri e il suo partito trova spazio su tutti i media, l’atmosfera ricorda la nascita del Progetto Abramo, che senza sparare un colpo ha cancellato decine di anni di chiacchiere e dichiarazioni di pace fasulle, il cui risultato era più che prevedibile. Più che un miracolo, il merito va attribuito alla onestà politico-diplomatica dei governi in carica in Usa e Israele, che hanno garantito la volontà di collaborazione con Emirati e altri Stati sunniti, aprendo le porte alla partecipazione successiva ad altri Stati della regione. La somiglianza con il partito di Tallal a-Hariri è evidente. Trasformare l’Iraq, da colonia iraniana dove la popolazione soffre la mancanza di cibo, acqua corrente, elettricità in un clima di costante guerra civile, in un Paese pronto per dare vita a un reale cambiamento.
Ma gli attori e la regia del Progetto Abramo è cambiata, al posto di Trump c’è Biden (leggasi Obama), il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha già riaperto il fondo di tre miliardi di dollari la cui destinazione sarà identica a quella di prima, che ha sempre privilegiato le richieste palestinesi, da Arafat ad Abu Mazen.
Il coraggio non è di casa né a Washington né a Bruxelles. L’omissione dei media di quanto sta avvenendo in Iraq ci fa temere il fallimento della volontà di un uomo coraggioso come Tallal a-Hariri. Dalle democrazie occidentali non riceverà nessun aiuto.