Spokoiny (JFN): “Rifiutiamo l’ ‘Ammanismo’ di oggi!”

Opinioni
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Andrés Spokoiny, presidente e CEO del Jewish Funders Network (JFN).

Pubblichiamo un interessante intervento sull’attualità della festa di Purim di Andrés Spokoiny, presidente e CEO del Jewish Funders Network (JFN).

Purim è la festa in cui non bisogna aver paura del ridicolo. Indossare costumi buffi, bere fino a stordirsi e fare un gran chiasso: Purim è sinonimo di stravaganza.

Questa festività ridicolizza soprattutto l’intolleranza. Il misogino re Assuero, che considera la moglie Vashti nient’altro che un oggetto, viene messo nel sacco da una donna, mentre il pomposo bigotto Amman finisce umiliato e ucciso dal popolo da lui tanto disprezzato.

Sebbene Amman sia stato umiliato e ucciso, l’“Ammanismo” è tutt’altro che morto. Anzi, al momento è in atto un pericoloso revival che gli ha fornito una nuova legittimazione sia all’interno che all’esterno della comunità ebraica.

Per capire cosa si intende per “Ammanismo” dobbiamo tornare alle ragioni addotte dal malvagio visir per convincere il re a sterminare gli Ebrei: “Vi è un popolo segregato e anche disseminato fra i popoli di tutte le province del tuo regno, le cui leggi sono diverse da quelle di ogni altro popolo e che non osserva le leggi del re; non conviene quindi che il re lo tolleri”.

La colpa degli Ebrei è di essere diversi, e nella mente bigotta e contorta di Amman ogni differenza deve essere eliminata. Amman sogna una distopia caratterizzata dall’uniformità nella quale ognuno condivide le stesse opinioni e osserva le stesse regole: le sue.

L’“Ammanismo” è la paura irrazionale della diversità che sta alla base di ogni regime autoritario. Non a caso, nella storia, gli Ebrei sono stati presi di mira da pressoché ogni totalitarismo. Dopo tutto, siamo gli eterni diversi; persino il nostro nome “Ebrei” può essere tradotto come “coloro che stanno dall’altra parte”. Ma soprattutto, abbiamo sempre abbracciato le differenze e la diversità. Il Talmud è una collezione di accese discussioni e dibattiti in cui si afferma che solo D-o detiene la Verità assoluta e noi, poveri mortali, dobbiamo accontentarci di un patchwork di verità parziali e imperfette. I nostri saggi temevano l’uniformità al punto da stabilire che se una sentenza era unanime, non era valida. Nel nostro modello di mondo, la cultura vede la diversità come una fonte di ricchezza. Affermando che “La Torah ha 70 volti”, i rabbini hanno espresso duemila anni fa un concetto molto moderno, ovvero che le nostre differenze non devono essere motivo di divisione.

Abbracciare la diversità non è semplicemente un plus dell’ebraismo; è un fattore essenziale per la comprensione del mondo e della teologia ebraica.  La grandezza di D-o, dice la Mishnah emerge dal fatto che se “un essere umano conia molte monete con la stessa matrice, tutte le monete sono uguali”, mentre il Signore “crea ogni uomo con la stessa matrice con cui fu creato il Primo Uomo, ma nessun uomo è uguale a un altro”.  (Sanhedrin 4:5). È proprio nell’unicità del singolo che si scorge la grandezza di D-o. Posso forse riconoscere l’immagine di Hashem in qualcuno che non è stato creato a mia stessa immagine? Se non posso farlo, è perché ho fatto un idolo della mia immagine, anziché riconoscere quella di D-o.  Il mancato rispetto delle differenze è un insulto al Signore.

Ecco perché è un vero e proprio tradimento della nostra stessa essenza allorché, nel popolo ebraico, si crea un clima nel quale viene penalizzato il dissenso e scoraggiata la divergenza di opinioni. Abbiamo abbandonato la cultura del dibattito vivace per adottarne una dove vigono demonizzazione e ingiuria e stiamo scivolando verso una situazione nella quale ognuno, dai leader dell’ebraismo agli studenti dei college ebraici, ha timore di dire quello che pensa.  Abbiamo cominciato a lasciarci guidare da una sorta di polizia del pensiero che sottopone chiunque la pensi in modo diverso all’Inquisizione.

Purtroppo, in questo, seguiamo lo spirito dei tempi. Ma come Ebrei, dovremmo riuscire a essere diversi.

Se i maestri del Talmud puntavano ad ampliare le scuole del dibattito, noi cerchiamo invece di costruire delle sale dove risuona solo la nostra eco.  Come dice Rav Sacks, “la teletrasmissione viene rimpiazzata dalla trasmissione a circuito chiuso”. Il risultato è che non abbiamo più un’unica comunità ebraica, ma piuttosto un coacervo di sette in guerra fra loro. Stiamo sostituendo la ragione con la rabbia e l’argomentazione con la denigrazione.  Assistiamo alla morte del senso civico, in America, in Israele e nelle nostre comunità; e la morte del senso civico porta con sé la morte della civiltà.

Quando si tratta di “Ammanismo” i finanziatori possono essere parte del problema o parte della soluzione. Possiamo penalizzare il dissenso, ostracizzare la differenza e spingere l’ebraismo ancora più in là, passo dopo passo, verso la sua rovina. O invece, emulare Ester e capovolgere una situazione allarmante.  Possiamo dare forma al senso civico, influenzare la pubblica discussione e farci promotori di un’apertura mentale che contribuisca a creare una cultura di dibattito rispettoso del prossimo.

Cominciamo, come dice la canzone, da “the man in the mirror”. Se chiediamo l’acquiescenza dei nostri beneficiari anziché incoraggiarli a ritrarsi e a sfidare le nostre convinzioni, se usiamo il potere e la borsa per chiedere l’uniformità anziché coltivare la diversità, stiamo deviando ancora di più dal saggio cammino che i nostri antenati hanno tracciato.

Purim ci insegna che l’antidoto all’“Ammanismo” è la generosità. Fra le mitzvot di Purim c’è quella di scambiarsi doni e aiutare i bisognosi. Uno dei più noti paradossi del dare è che più si dona agli altri e più ci si sente legati a loro. Forse è per questo che ci viene chiesto di donare a Purim, per uccidere ogni anno l’Amman che è in noi.  I nostri atti di generosità predispongono il nostro cuore a vedere tutti coloro che sono diversi da noi come esseri umani creati a immagine di D-o.

Fra qualche settimana, oltre 500 finanziatori da tutto il mondo si ritroveranno alla JFN Conference, un’oasi di diversità e generosità in un mondo tragicamente segnato dall’“Ammanismo”. Nella conferenza, celebreremo l’enorme ricchezza insita nella diversità che caratterizza la comunità dei finanziatori, esaltando la generosità quale mezzo per toccare milioni di vite e cambiare il mondo.  Per noi la filantropia ebraica è come un diamante: più è sfaccettato e più è prezioso.

Diffondiamo un messaggio di tolleranza, diversità e generosità fra le nostre comunità in tutto il mondo, in questa epoca di tremenda ristrettezza mentale. Trasformiamo le nostre comunità in luoghi dove il dissenso e il rispetto sono, ancora una volta, sacri. Rendiamo l’oasi del JFN una potente corrente che trasporta, in un mondo assetato, i valori che hanno plasmato il nostro popolo.

Gettiamo l’“Ammanismo” dove gli compete, fra i rifiuti della storia.

Hag Sameach!

Andrés Spokoiny
Presidente e CEO, JFN