Disegno di Emanuele Luzzati

Purim. Da un’angolazione un pò inusuale…

Opinioni

Liberamente tratto da Rav Mordechai Elon

Cogliamo l’occasione per trattare la festa di Purim da un’angolazione un po’ inusuale, analizzando la conclusione della Meghillat Esther. Quest’ultima dà spesso la sensazione di essere da un lato troppo bellicosa e dall’altro poco attuale: l’intera storia ruota attorno alla battaglia per la sopravvivenza del popolo ebraico nel regno persiano, ma oggi esiste lo stato d’Israele, lontano anni luce dai contrasti che agitarono l’Impero Persiano in quell’epoca.

La Meghillat inizia durante il terzo anno del regno di Achashverosh e i lieti eventi che seguirono la vittoria ebraica risalgono al suo dodicesimo anno di regno: è nell’arco di nove anni che si susseguono episodi di speranza e di sgomento del nostro popolo che, se apparentemente slegati, fanno tutti parte di un progetto più ampio che vuole condurre gli ebrei da uno stato di oscurità ad uno di luce. Se i primi nove capitoli descrivono i suddetti eventi, il decimo sembra non avere alcuna correlazione con i precedenti:

“Il re Achashverosh impose un tributo al paese e alle isole del mare. E tutto quello che riguardava la potenza, l’autorità e la descrizione della grandezza di Mordechai, che il re aveva innalzato, tutte queste cose sono scritte nel libro delle cronache dei re di Media e di Persia. Infatti Mordechai l’ebreo era il vicerè di Achashverosh: grande tra gli ebrei e gradito ai suoi molti fratelli, cercò il bene del suo popolo e mise pace in mezzo a tutta la sua stirpe.”

(Esther 10:1-3)

La conclusione è molto strana.

Il riferimento al libro delle cronache per ciò che riguarda la grandezza di Mordechai si addice più ad un’opera enciclopedica dalla vasta bibliografia che non alla Torah.

Inoltre, il primo verso “Il re Achashverosh impose un tributo al paese e alle isole del mare.” non sembra essere minimamente correlato alla Meghillat.

Gli ultimi versetti del capitolo nono rappresenterebbero la conclusione migliore per la Meghillat. Tuttavia è proprio il decimo capitolo che, se apparentemente isolato e poco correlato agli altri, racchiude l’apice della Meghillat.

Vi sono due strade per comprendere quest’affermazione. La prima interpreta i versetti finali come una critica allo sfondo storico della Meghillat stessa che, come è noto, ha al suo centro la dichiarazione di Ciro che permetteva agli ebrei di fare ritorno in Erez Israel e ricostruire il Tempio.

Tuttavia gli ebrei, un po’ perché non badarono alle parole dell’imperatore un po’ a causa di ostacoli esterni, non portarono a termine la ricostruzione del Tempio: in quel periodo il potere e l’influenza di Hamman aumentarono. Egli rappresenta la prima espressione di antisemitismo, carica di forza e cattiveria: egli mirava alla completa distruzione di tutti gli ebrei “dal giovane al vecchio, bimbi e donne, in uno stesso giorno il tredici del dodicesimo mese, cioè il mese di Adar, e di predare i loro beni.” (Esther 3: 13)

Hamman proviene dalla stessa stirpe di Amalek che appare tutte le volte nelle quali gli ebrei si prefiggono di costruire il Tempio e rappresenta la forza degradante che mette alla prova la tenacia del popolo di Israele. Amalek compare esattamente quando l’editto di Ciro spinge gli ebrei a costruire il Tempio per ostacolarne la realizzazione.

La storia della Meghillat di Esther vuole insegnare che il potere del meschino Hamman è maggiore della forza di Achashverosh, governatore di oltre 127 province. Egli sa invogliare un mondo intero ad odiare gli ebrei in un modo inimmaginabile; ciò nonostante gli ebrei di Shushan sottovalutando la malvagità di Hamman, partecipavano alle feste del re divertendosi.

Alla fine della Meghillat con l’uccisione di Hamman la conclusione più logica sarebbe stata la Aliya degli ebrei in Erez Israel, la costruzione del Tempio e la rivelazione di D-o nel mondo.

Eppure la Meghillat descrive esattamente il contrario:

proprio nel momento in cui “uno dei nostri” è diventato un potente membro della corte del re, perché trasferirsi a Gerusalemme?

Gli ultimi versetti della Meghillat trasferiscono l’attenzione del lettore agli annali dei re di Media e di Persia, dove probabilmente si trova la descrizione prima del contributo degli ebrei al miglioramento dell’economia e poi, un secolo più tardi, delle persecuzioni antiebraiche. Ciò che si dovrebbe ricordare è che la rivelazione di D-o si può verificare solo a condizione che il popolo ebraico si trovi nel luogo che il Signore si è riservato, nel Santuario Sacro. Dunque, solo risolvendo ciò che nella Meghillat è visto come problematico (l’Aliya e la costruzione del Tempio) si può giungere alla rivelazione divina.

La seconda interpretazione del capitolo decimo della Meghillat segue un filo conduttore diverso mettendo in risalto la figura di Mordechai. Come si è letto, il re Achashverosh impose un tributo al paese e alle isole del mare; la tassa imposta è indice non solo delle difficoltà economiche del regno ma anche dell’odio di Hamman per gli ebrei. Egli infatti rammenta al re la presenza di un popolo sparso tra le province del suo regno che segue leggi differenti da quelle del re e gli suggerisce di distruggerlo in cambio egli si sarebbe occupato di raccogliere le loro ricchezze e di versarle nel tesoro del re. Per il re, sia Hamman che Mordechai offrono buone soluzioni finanziarie per il governo delle sue 127 province: se il primo lascia intendere di poter arricchire il regno a spese degli ebrei, il secondo propone di ristrutturare l’impero attraverso l’imposizione di una tassa straordinaria. Mordechai, che si confonta con il malvagio Hamman senza mai inchinarsi al suo cospetto, racchiude in sé la forza per raggiungere un nuovo ordine nel mondo.

La Meghillat, dunque, è si la storia della salvezza degli ebrei, ma anche quella del mondo intero. Essa offre il ritratto di due possibili re del mondo: Hamman che progetta di risolvere i problemi uccidendo il debole, Mordechai che si rivela l’unico capace di condurre la battaglia per la redenzione universale attraverso l’eliminazione dell’oscurità di Amalek consacrandosi, così facendo, il re per antonomasia.

Il comportamento di Mordechai, non condiviso da tutti gli ebrei di Persia come si può rilevare dal verso “…grande tra gli ebrei e gradito dai suoi molti fratelli, …” (Esther 10: 3), insegna che la rivelazione divina nel mondo intero può verificarsi a patto che l’uomo non si inchini e non si prostri, ma che al contrario persegua la sua missione, ovvero quella di creare di dare e rivelare l’origine del mondo: quando tutti comprenderanno questo principio, allora la Meghillat raggiungerà la sua più degna conclusione.