Le “intolleranze” di Camilla Baresani

Opinioni

In un articolo uscito qualche tempo fa sul Magazine del Corriere della Sera (Giovedì 26 gennaio, ndr) la scrittrice Camilla Baresani racconta di una serata terribilmente indigesta a casa di un’amica “italianissima di origine ebraica” che si è rifiutata, in casa propria, di servire una teglia di riso patate e cozze portata a sorpresa da un’altra ospite, in quanto non kasher.
Sartre sosteneva che l’antisemita è colui che pretende di imporre all’ebreo come comportarsi per essere accettabile.
Bene, per Camilla Baresani è evidentemente inaccettabile che un’ebrea italiana, anzi, “italianissima”, segua delle regole alimentari palesemente diverse da quelle della maggioranza dei suoi connazionali. La sottolineatura della nazionalità, con tanto di superlativo assoluto, ha infatti lo scopo evidente di mettere in contrasto l’essere italiano con l’osservare le prescrizioni alimentari ebraiche. È difficile immaginare infatti che una persona che si fosse rifiutata di servire carne di venerdì venisse definita “un’italianissma amica di origine cattolica”.
Tutto l’articolo è giocato sulla contrapposizione “noi” (ovviamente superiori, moderni, evoluti ecc…)/”loro” (tutti quelli che sono diversi da noi).
Si susseguono frasi come: “Noi sgomenti invitati, nessuno dei quali d’origine ebrea” di fronte alla padrona di casa ebrea che, inflessibile, impedisce di gustare un piatto della tradizione pugliese. “Noi” che a casa di un musulmano, neppure portandolo da casa, potremmo bere del vino. “Noi allibiti spettatori” di “persone all’apparenza laiche arroccate nella difesa di tradizioni che – a noi – sembrano tuffi nel medioevo”. “Noi cattolici” a cui da un momento all’altro Papa Ratzinger pretenderà di dire che cosa mangiare (dando per scontato che tutti i lettori del Magazine siano cattolici).
Al di là della palese confusione di idee (tra l’altro, nel deridere le regole della kasherut, l’autrice mette il coniglio tra i ruminanti, la sogliola insieme ai calamari tra i pesci senza lische e squame, e la civetta tra gli uccelli non rapaci), e dello sgradevole tono denigratorio con cui vengono trattati temi degni di ben altra profondità, quello che stupisce è che una persona che si presenta come paladina della modernità manchi poi completamente della elementare moderna nozione del rispetto delle culture diverse dalla propria.
È naturalmente lecito pensare che l’osservanza delle regole della kasherut sia un retaggio del passato che non ha più senso nel presente. Ma togliere a una persona il diritto, nella propria casa, di osservare le proprie tradizioni alimentari, o imporle di essere confinata in un ghetto alimentare, costretta a guardare i propri ospiti cibarsi di pietanze che lei non tocca, invece di condividere con loro lo stesso cibo, non è retaggio di un passato ben peggiore?