di Daniela Abravanel
La via ebraica alla salute e alla corretta alimentazione
Vorrei iniziare questa rubrica che tratterà il tema della salute nella Torà dedicando alcune pagine al tema dell’alimentazione e delle norme riguardanti il più semplice e primordiale atto sacro: nutrire il proprio corpo, la merkavà, l’unico e insostituibile “cocchio” dell’anima.
Non mi soffermerò inizialmente sul tema della kasherut perché esso viene trattato ampiamente in altre sedi, ma vorrei piuttosto proporre alcune riflessioni sul tema della consapevolezza da tenersi nell’atto del mangiare, nella speranza che esse possano contribuire a ristabilire un rapporto positivo con il cibo -affinché esso torni ad essere non solo medicina ma anche fonte di sublime gratificazione e ispirazione (tamu u reu hashem ki tov, gustate e contemplate la bontà di Dio, come è scritto nei Salmi).
Come prima cosa vorrei chiarire che per i maestri della tradizione orale l’atto del cibarsi non può mai essere un’azione “neutrale”: modalità, quantità e qualità possono far divenire il cibo “cura” e medicina del corpo e dell’anima, oppure “veleno” e causa di malattie. Ce lo spiegano i maestri della tradizione orale facendoci riflettere sul fatto che il cibo può essere oneg (sublime piacere) oppure il suo opposto, nega (che è la permutazione della parola oneg), parola che significa malattia.
Le ripetute allusioni alla pericolosità di un’alimentazione squilibrata nei versi della Bibbia (le piaghe decimavano “i più satolli” dei figli di Israele), nella letteratura rabbinica e nell’opera del grande medico Maimonide che invitava come prima forma di prevenzione a mangiare così parcamente da non raggiungere mai la sazietà, trovano conferma nelle ricerche della medicina moderna: oggi, paradossalmente, muoiono più persone per le conseguenze di eccessi alimentari che non per fame!
L’idea base della medicina di Maimonide, secondo il quale “la maggior parte delle malattie dipende da un eccesso di alimenti e, in secondo luogo, da una scorretta combinazione di cibi” oggi è condivisa dalla ricerca scientifica (dall’Istituto dei Tumori Italiano, dall’American Institute for Cancer Research, solo per fare due esempi) che sostiene che una percentuale altissima di malattie degenerative “è attribuibile a un’alimentazione scorretta (sia come quantità che come combinazione e qualità)”.
Oggi purtroppo il mondo ebraico, anche quando cerca di ottemperare alle pratiche di cucina kasher, dimentica spesso questo importante dettaglio: l’importanza di ridurre la quantità di cibo, sia per migliorare la salute sia per evitare quegli eccessi che squilibrano anche la dimensione psicologica e spirituale.
Mi pare quindi importante dare alcuni spunti di riflessione sul giusto atteggiamento da avere nei confronti del cibo:
1-la regola d’oro di Maimonide è di mangiare solo se si ha fame, di alzarsi da tavola mai del tutto pieni, e di masticare a lungo, in modo da accedere tramite la salivazione (l’“acquolina in bocca”: particolare struttura chimica della saliva che compare in condizione di vero appetito e di buona masticazione) a un maggior numero di enzimi che renderanno la digestione e l’assimilazione assai più efficace.
Una buona assimilazione del cibo ci permetterà di non appesantire il corpo e anche la mente: quando lo stomaco è sovraccarico, i “fumi” della digestione “salgono alla mente”, come sostengono Maimonide, lo Shulkhàn Arùkh[1] e, con parole diverse, la medicina cinese che sottolinea la corrispondenza tra le funzioni di separazione del puro dall’impuro, del nutriente dal nocivo, nei due sistemi paralleli di Stomaco e della Mente. Infatti stomaco e intestino, se sono in buone condizioni, non solo sono in grado di assorbire gli elementi nutritivi e di eliminare le tossine, ma influiscono anche sul buon funzionamento del pensiero, che a sua volta saprà aiutarci a distinguere tra vero e falso, puro e impuro.
Similmente, come afferma lo psichiatra e agopuntore Leon Hammer, il livello psichico influenza quello fisico: quando per qualche motivo siamo incapaci di accettare determinate realtà o di “ingoiare qualche rospo”, ciò potrebbe ripercuotersi sul nostro sistema digestivo, creando nausea, vomito, diarrea o altre reazioni di rigetto.
2-Tenere l’intestino in buon funzionamento.
L’intestino ha un ruolo talmente importante nel ripristino della salute che il Maimonide affermava che la maggior parte delle guarigioni realizzate nel corso della sua esperienza di medico erano dovute al ripristino del funzionamento dell’intestino:
Il primo principio per mantenere il benessere è che le feci siano morbide. Se diventano asciutte, bisogna ammorbidirle perché la loro ritenzione dà luogo a esalazioni perniciose che entrano nel cuore e nel cervello, danneggiano gli umori, disturbano i venti vitali, producono cattivi pensieri.[2]
3-La masticazione prolungata prevista dalla Halachà ebraica ha un ruolo fondamentale non solo per il mantenimento della salute, ma anche per evitare l’infrazione di un altro fondamentale precetto della Torà (quanto mai attuale ai nostri giorni): il Bal Tashìt – il divieto di sprecare le risorse naturali. Masticando a lungo abbiamo infatti bisogno di ingerire quantità assai minori di alimenti, perché riusciamo, attraverso gli enzimi contenuti nella saliva, ad estrarre il massimo apporto energetico (di minerali, vitamine, bioflavonoidi) dal cibo che mangiamo -anche se si tratta solo di verdura, cereali e frutta. Senza una masticazione adeguata non riusciremo a provare quel senso di appagamento (che nutre il corpo ma anche la psiche) e ci sentiremo forzati a mangiare di più e a optare per più cibi grassi e calorici, o per la carne (che secondo la autentica tradizione ebraica dovrebbe essere mangiata solo nelle feste e nel sabato).
4-Il cibo diventa “medicina” se viene benedetto. La Cabalà sostiene che la guarigione (non solo del corpo) può essere raggiunta accedendo con consapevolezza all’energia pura degli alimenti, ai messaggi e agli insegnamenti spirituali contenuti negli alimenti. Peraltro Veakhàlta vesavàta u berahtà (mangia, sentiti sazio, e recita una benedizione) [3], l’importantissimo precetto che lega l’atto del mangiare al raggiungimento di una sensazione di pienezza reale e profonda, è un’esperienza possibile solo se ci si è nutriti nel modo giusto, benedicendo il cibo e godendo in uno stato di serenità dei sapori e degli odori. Per questo motivo una delle domande che ci saranno poste nell’Aldilà sarà: Hai assaporato e goduto pienamente dei frutti della creazione? Cibarsi con consapevolezza ci consente di accedere all’oneg, al piacere non solo dei sensi, ma dell’anima, che reintegra in sé, come in un puzzle, i pezzi mancanti della nostra anima, in forma di odori, colori, forme e sapori… Per questo motivo, sia la medicina cinese che il Maimonide invitano a mangiare in uno stato di serenità, non preoccupati, nervosi o adirati e, soprattutto, concentrandosi sui colori, i sapori e i profumi dei cibi.
4- Perché il cibo sia terapeutico – insegna Re Davìd nei Salmi – il cibarsi non deve essere una forma di nevrosi ossessiva. Un versetto chiave del Salmo 127 ci mette in guardia rispetto al circolo vizioso di fame nervosa – depressione – insonnia – fame nervosa.
È inutile che vi alziate presto, che andiate a dormire tardi, che mangiate il pane dei nervi, tanto è solo Dio che dà il sonno ristoratore a colui che ama [4].
Queste parole toccano, in modo sintetico, i vari livelli di disagio associati a una alimentazione squilibrata:
– a livello emotivo: il “pane dei nervi”, ovvero il cibo che mangiamo in maniera nevrotica quando siamo stressati e nervosi;
– a livello fisico: più tardi si va a letto, meno facilmente si riesce a prendere sonno. A sua volta, la stanchezza accresce lo stimolo della fame. Mangiando a notte inoltrata, il cibo non può essere assimilato perfettamente a causa della limitata funzionalità dello stomaco nelle ore notturne [5] e quindi l’apparato digerente viene danneggiato;
– a livello spirituale: l’esperienza di abbandono (il sonno ristoratore) non è accessibile se si dorme poco e si mangia troppo tardi la sera, impegnando l’organismo nella digestione, invece che nell’attività onirica ristoratrice. Nel Séfer Yetzirà, non a caso, il senso del sonno è associato all’organo della digestione; per evitare gli incubi è quindi importante cenare in modo leggero e non tardi la sera.
Il rigore delle leggi della kasherùt è dovuto alla profonda intuizione dell’ebraismo che il malessere e lo squilibrio fisico provocati dall’ingestione di cibo “non kasher” – termine traducibile come cibo “non adeguato, non adatto” – siano un ostacolo anche per l’evoluzione spirituale. Oggi i diffusi disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia, binging, considerate come vere e proprie malattie anche della sfera psicologica) non dipendono solo da una povertà intrinseca degli alimenti industriali, ma anche dalla mancanza di consapevolezza e di ritualità, di “benedizioni” con cui si assumono i cibi della civiltà opulenta.
[1] Shulkhàn Arùkh,
[2] Giuseppe Laras, Maimonide un percorso verso il benessere
[3] Deuteronomio 8, 10
[4] Tehillìm, Salmi 127, 2; (Edizioni Mamash, pp. 347-349).
[5] Sia la tradizione ebraica sia la medicina cinese invitano a fare il pranzo più ricco nel corso della mattinata e ad astenersi da cibi sostanziosi dopo il tramonto.