Come difendersi dall’oscenità di certe invettive contro Israele (ma in realtà farcite di antisemitismo)

Opinioni

di Claudio Vercelli

L’invettiva si esprime nell’immediatezza, con l’illusoria linearità dell’offesa che vuole invece presentarsi come un dato di evidenza incontrovertibile: Israele pratica il «nazisionismo», poiché nelle sue condotte quotidiane contro i palestinesi avrebbe fatto proprie le logiche e la prassi del regime nazionalsocialista, con l’annientamento programmato della controparte araba.

Lo sproposito offensivo, mistificatorio e denigratorio è tanto palese, in affermazioni come questa, quanto intollerabile. Le reazioni possibili, allora, sono in genere tre: si prende la persona in questione da parte e la si riempie di improperi e di insulti, soddisfacendo un moto dello spirito del tutto legittimo ma anche destinato a gratificare, e quindi a rafforzare, la provocazione stessa (che va a centro quando fa saltare i nervi di chi la subisce); oppure ci si obbliga ad una risposta “pedagogica”, ispirata al principio per cui si prende in mano la storia intera, la si srotola come si fa con un vecchio e polveroso tappeto avvolto su di sé, e si cerca di spiegare daccapo, tenendo i nervi a freno, il perché certe affermazioni non stiano in cielo così né in terra; si finge di non avere sentito, cercando di andare oltre. In quest’ultimo caso il cuore, prima ancora della mente, ne esce però profondamente ferito.

Perché l’equiparazione del sionismo al nazismo è la medesima cosa dell’affermare che la terra sia piatta, prima ancora che una spudorata offesa alle persone. Ha lo stesso effetto dello schiaffo che l’ingiusto dà al giusto urlandogli: “non hai diritto di esistere!”. Rimane il riscontro che ognuna delle tre risposte risulti, alla resa dei conti, insufficiente. Il motivo sta nel fatto che chi avanza certe affermazioni quasi sempre lo fa per un atto di fede, non certo di riflessione. In altre parole, non cerca ragioni (storiche e politiche) ma dichiara a priori di avere la “ragione” dalla sua parte, a prescindere da qualsiasi confronto e riscontro. Meglio allora sedere dalla parte del “torto”, come avrebbe detto il poeta, poiché i posti della “ragione”, di quella ragione capovolta, sono già tutti occupati. Non è un caso se all’invettiva – in questo caso espressa da un’insegnante durante un dibattito pubblico dedicato ad Israele – si fosse accompagnato l’esordio retorico del «io, che accompagno i ragazzi delle mie classi ad Auschwitz». Non è più una novità questo uso disinvolto degli esiti dei viaggi della memoria, e più in generale della storia della Shoah, di per sé iniziative benemerite e da ripetere comunque ma che da sole non bastano a fare comprendere il senso e le proporzioni del passato. Una sorta di eterogenesi dei risultati, per cui si fanno certe cose con le migliori intenzioni ma si rafforza in certuni, per paradosso, il pregiudizio preesistente.

Perché il vero deficit di comprensione, dentro il quale si insinuano questi capovolgimenti dell’animo umano, camuffati da proclami politici, non è di ciò che è stato bensì di quello che sta avvenendo. Il rimando al «nazisionismo» si inscrive in questa patologia del pensiero. Va da sé che Israele e l’ebraismo non abbiamo nessuna esclusiva nella rappresentanza e nella rappresentazione del dolore e della sofferenza. Così come le scelte dei singoli governi siano opinabili, anche in maniera molto accesa. La politica, d’altro canto, per sua natura polarizza. L’ideologia, invece, anestetizza le coscienze. Le intorpidisce in una sorta di sonno della comprensione, cullato dalla fallace convinzione di avere capito tutto, una volta per sempre. Il rimando al «nazisionismo» è il prodotto della cristallizzazione ideologica del pensiero di certuni. Non è una novità, verrà da obiettare ai lettori di questa veloce nota. Infatti: l’antisemitismo non è una novità, mentre sono sempre inedite le maschere sotto le quali si cela, per offrirsi come un’invettiva rassicurante e confortante nei confronti di chi ne vuole ascoltare la nenia ammaliante. C’è di che rabbrividire, in franchezza, di questo osceno antisionismo.