Claudio Vercelli all'incontro su populismi, neofascismi e antisemitismi

A proposito di populismi, neofascismi e antisemitismi. La parola a Claudio Vercelli

Opinioni

di Ilaria Ester Ramazzotti
Populismi, neofascismi e antisemitismi nella società europea, fra intolleranza nera e zone grigie. Su questi temi si è articolata la conferenza di Claudio Vercelli, ricercatore dell’Istituto Salvemini di Torino e docente di storia dell’ebraismo all’Università Cattolica, svoltasi lo scorso 27 novembre alla Libreria Claudiana di Milano. A proporre l’evento è stato il circolo ebraico milanese di cultura il Nuovo Convegno

Nel libro Neofascismi di Claudio Vercelli, Edizioni del Capricorno‎, è presentata “una rassegna delle diverse storie dei neofascismi novecenteschi italiani, dalla Repubblica sociale del 1943 fino ai giorni nostri, cogliendo elementi di continuità e discontinuità, analogie e differenze, che si sono di volta in volta manifestati rispetto ai singoli gruppi che hanno animato la scena politica dell’estrema destra radicale”. Possiamo così identificare una serie di “caratteri e di contenuti ideologici e culturali, alcuni personaggi e figure di riferimento del micro-universo della destra estrema, e certamente ci sono aspetti del passato che ci permettono di leggere il presente e qualche linea di tendenza del futuro”. Dobbiamo tuttavia considerare che il fascismo storico, riferito al regime instaurato in Italia nel corso del Ventennio dal ’22 al ‘43, è concluso: il contesto storico è cambiato, anche se segni del fascismo sono rimasti nell’organizzazione dello Stato e in certe zone (grigie) di una mentalità diffusa. Le sensibilità mutano nel tempo, e con le diverse stagioni culturali cambiano le visioni e le strategie politiche indirizzate alla raccolta del consenso.

Attualmente, l’impronta di una ideologia di tipo fascista o neo-fascista mette radici nei “luoghi prima occupati dalla democrazia sociale, negli ambiti devastati della crisi del welfare”. La destra radicale di oggi nutre l’ambizione di rappresentare l’humus sociale dell’esclusione, additando cause di disagio immediatamente condivisibili: immigrazione, ‘poteri forti’, furto del lavoro e del territorio”.

Oggi più che mai, spiega Vercelli, “si ha a che fare con una destra radicale che è passata da posizioni di mera restaurazione o conservazione a soggetto in costante movimento, che ambisce a mobilitare una parte delle collettività non solo sul piano politico, ma anche e soprattutto sociale”. E la destra radicale “sussiste senz’altro come arcipelago di gruppi variamente articolati, sospesi tra l’essere partito politico, aggregazioni continuative a sfondo sociale, movimenti più o meno effimeri”.

“In Europa, come in Italia, vi sono formazioni politiche che, pur senza rivendicare apertamente il ricorso a discriminazioni legali (peraltro impraticabili fino a che vigerà lo stato di diritto), hanno da tempo incorporato nel loro linguaggio rimandi e richiami all’etnonazionalismo, ovvero quella visione della relazioni sociali che si basa sul primato di un gruppo, o ‘ceppo etnorazziale’, ancorché maggioritario, nei confronti del resto della società”. Ecco quindi comparire i populismi, gli antisemitismi, i neofascismi. Fatti, al plurale, di neri e di grigi.

Anche il pregiudizio antisemitico è tornato in auge, e “non può essere considerato prerogativa esclusiva di piccole nicchie politiche”. “L’antisemitismo, attraverso il discorso xenofobico e quello antisionista, è quindi tornato a fare parte del vocabolario di diverse forze politiche, le quali non debbono condividere le medesime piattaforme programmatiche o gli stessi obiettivi per fruire di un linguaggio che cerca “colpevoli” per le trasformazioni che stanno accompagnando le società europee”. 

Durante la seconda guerra mondiale c’era stata la grande zona grigia dell’indifferenza. In questi anni, nell’ambito dei social network, molti sono indifferenti persino all’odio che viene diffuso sul web. “Un rischio molto serio è quello dell’indifferenza – sottolinea Vercelli -, che non significa solo sentirsi estranei alle cose, ma non riuscire a cogliere il senso e il valore delle differenze culturali, morali e civili che hanno pari uguaglianza e pari diritto di vivere nello stesso ambiente, nello stesso luogo e di relazionarsi le une alle altre. L’indifferenza non è una virtù, è un disvalore, una disfunzionalità nella misura in cui distrugge il pluralismo che è il sale della democrazia”.