Il fascismo? Non tornerà. Ma… vi presento i suoi eredi

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di Ester Moscati

Dalla RSI a CasaPound, passando per lo “stragismo”  e la strategia della tensione. Nel saggio Neofascismi, lo storico Claudio Vercelli ricostruisce il percorso  e lo sviluppo della destra italiana in tutte le sue diverse sfumature. Per capire il presente e salvare il futuro della nostra democrazia

Se dal palco di un comizio elettorale, il 24 marzo 2019, la candidata della Lega alle elezioni regionali della Basilicata Gerarda Russo urla con entusiasmo liberatorio “Io sono fascista”, raccogliendo l’applauso dei sostenitori, beh, qualche domanda bisogna pur farsela. Una reazione, una “attenzione”, deve esserci. La Lega non è più una folkloristica espressione del malcontento regionale del Nord Italia; è forza di Governo, in crescita in tutto il Paese.
Così dobbiamo parlare ancora, nel 2019, di fascismo. Perché nelle piazze, nel linguaggio politico, nella stampa “alternativa”, risuonano echi che non ci piacciono, che ci preoccupano. Ma è davvero così? Dice Claudio Vercelli: «Il fascismo è un fenomeno storico. È un’epoca che non ritorna, ma che si rischia di far tornare sotto altre forme, se non si guarda ai fenomeni così come sono».

Sono passati 100 anni da quando, il 23 marzo 1919 a Milano, Benito Mussolini radunò un piccolo gruppo di circa 120 ex-combattenti della Prima guerra mondiale, interventisti, arditi e intellettuali, e fondò i Fasci italiani di combattimento, che il 10 novembre 1921 si trasformarono in Partito Nazionale Fascista. Il regime fascista governò in modo dittatoriale in Italia tra il 1922 e il 1943; e se – forse – i treni viaggiavano in orario, fu un ventennio di crescenti violenze e sopraffazioni, tribunali speciali, confino, galera, botte e morte per ogni pensiero libero; e poi le leggi antiebraiche e la mattanza della guerra. Il 25 luglio del 1943 segna la caduta del regime ma poi ci fu la tragica esperienza della Repubblica di Salò, che tanta parte ebbe nei rastrellamenti e nelle deportazioni degli ebrei. E ancora, scrive Vercelli nel saggio Neofascismi (Edizioni del Capricorno) non si può dire che il fascismo finì con il 1945. «Per diverse ragioni: il fascismo stesso non si poteva esaurire con la fine del Ventennio mussoliniano e nella vicenda crepuscolare di Salò; il neofascismo ha poi raccolto attenzione e supporto da parte di una pubblica opinione e dell’elettorato conservatore; ci fu poi la necessità di garantire la continuità dello Stato nel dopoguerra, per cui le epurazioni nell’apparato statale, di coloro che si erano compromessi con il regime, furono occasionali e infine neutralizzate».
Il “pericolo comunista” compattò i “conservatori” garantendo la sopravvivenza di un pensiero politico che facesse da scudo contro i “rossi”.

Da allora, la galassia della destra italiana è rimasta viva e variegata; un «arcipelago nero» con molteplici organizzazioni e sigle, con diverse sfumature politiche e temi ideologici di riferimento. Un campo dove le fazioni si sono negli anni allontanate anche brutalmente tra loro, in cui i nostalgici del Duce si sono scontrati con chi voleva una “nuova destra” che guardasse piuttosto al futuro; fazioni unite però, tutte, dal rifiuto della democrazia e dall’uso, rivendicato e celebrato, della violenza come “valore etico di purificazione sociale”.
Per certi versi, anche la stessa Repubblica Sociale Italiana può essere definita “neofascista” ed è da questa, dalla RSI, che lo storico Claudio Vercelli parte per il suo viaggio nel “tempo parallelo”, nella storia nera sopravvissuta e cresciuta a fianco della Repubblica Italiana “nata dalla Resistenza”, di cui l’antifascismo è un valore fondativo.

Il saggio Neofascismi è appunto un viaggio, un dettagliato e lucido racconto che va dalla fine della RSI ai movimenti più attuali, gli Skinhead, Forza Nuova, CasaPound; passando per lo stragismo degli anni Settanta, con tutti i protagonisti di una stagione di sangue, da Ordine Nuovo a Avanguardia Nazionale, da Terza Posizione, ai NAR – Nuclei armati rivoluzionari; e poi le “evoluzioni”, fuori e dentro le strutture di potere – e delle stesse istituzioni democratiche – delle varie “destre” (estrema, radicale, sociale, parlamentare, eversiva…) a volte in competizione tra loro per il controllo dei movimenti giovanili, per la supremazia nelle piazze.
E ancora, l’editoria di destra, le riviste, i libri semiclandestini di propaganda anche neonazista, l’appropriazione dei miti nordici, dalle Rune al mondo di Tolkien, l’elaborazione di una grafica peculiare che ha creato o riscoperto simboli, come la croce celtica, capaci di sopravvivere e identificare ancora oggi i militanti.
Il saggio di Vercelli ci porta anche a conoscere e ricordare la dimensione internazionale delle matrici ideologiche e delle tecniche di potere della galassia neofascista, i riferimenti filosofici e culturali – uno per tutti Julius Evola -;
e l’omaggio dei “neri” nostrani alla Grecia dei Colonnelli, i legami con la destra francese, l’ammirazione per i regimi Sudamericani. Un lungo cammino che vale davvero la pena ripercorrere, perché altrimenti è difficile comprendere e affrontare il presente, capire come e perché certe ideologie possano sopravvivere e fare proseliti; e perché oggi, sempre di più, è venuta a mancare la “vergogna” del dirsi fascisti al di fuori del proprio ambiente. Capire perché si possa, oggi, urlare da un palco “Io sono fascista”. Perché gli affiliati a CasaPound si sentano abbastanza forti e protetti dall’“alto” da affrontare a muso duro le forze dell’ordine e impedire lo sgombero del palazzo di via Napoleone III, nel quartiere Esquilino a Roma, occupato dai loro militanti; mentre si sostituiscono al welfare di Stato facendo la spesa per i poveri – italiani bianchi – a Ostia, richiamandosi alla «destra sociale». O ancora, capire perché Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, che nel proprio simbolo ospita ancora la fiamma tricolore del Movimento Sociale insieme alla scritta “sovranisti conservatori”, possa impunemente associare “l’ebreo Soros” alla parola “usurai” in un manifesto per le elezioni europee 2019.

Neofascismi populisti
La chiarezza espositiva di Claudio Vercelli è un viatico indispensabile in un cammino tortuoso e complesso com’è la storia dei movimenti neofascisti in Italia attraverso sette decenni; bandisce facili semplificazioni ma offre, insieme al quadro articolato della narrazione storica, “pillole” di concetti chiave, parole che occorre sapere, come “strategia della tensione”, “gerarchia”, “manganello e doppiopetto”, “contaminazione”. Parole e concetti che tanta parte hanno avuto nella storia d’Italia e nella permanenza di forze neofasciste all’interno delle istituzioni repubblicane parlamentari.
Oggi, le parole sulle quali si appoggiano i movimenti neofascisti, populisti e sovranisti sono mutuate da questo recente passato, anche se, oltre agli avversari tradizionali – gli ebrei, i comunisti, i cosmopoliti – gli obiettivi della violenza verbale e spesso fisica sono soprattutto gli immigrati e i gay. Fioriscono quindi slogan contro il “meticciato”, per la “comunità di popolo e di stirpe”, l’ossessione “omofobica” oltre al “complottismo” con la riaffermazione della veridicità del “piano Kalergi” o della “grande sostituzione”, artefice della quale sarebbe, ancora una volta, l’ebreo Soros con il suo sostegno alle ONG.

«Posto questo percorso storico – si chiede Claudio Vercelli – quali possono essere le principali caratteristiche della destra radicale oggi? Essa sussiste senz’altro come arcipelago di gruppi variamente articolati, sospesi tra l’essere partito politico, aggregazioni continuative a sfondo sociale, movimenti più o meno effimeri. (…) Oggi la destra radicale si dà essenzialmente come tentativo di risposta ai processi di globalizzazione, di cui denuncia la logica omologante».
La sua pervasività – e dunque pericolosità – si deve anche al fatto che la destra radicale, il neofascismo, tende ad occupare spazi lasciati vuoti dalla democrazia e anche – paradossalmente – dalla sinistra: le aree di disagio sociale ed economico. Di fronte alla disoccupazione, ai bassi salari, all’abbandono delle periferie, la destra populista diventa “antiborghese” e addita i “nemici del popolo”: gli immigrati che rubano il lavoro, il mondialismo e la globalizzazione che generano sfruttamento della manodopera proletaria, i “poteri forti” e i “complotti”. «La forza del radicalismo di destra – conclude Vercelli – è direttamente proporzionale alla crisi della democrazia sociale. Più indietreggia la seconda, maggiori sono gli spazi per il primo, presentandosi come falsa risposta a problemi e disagi reali e diffusi».