David Grossman, Amos Oz e Abraham Yehoshua

Vedi alla voce: sopravvissuto. Il riverbero della Shoah nelle opere di Yehoshua e Grossman

Libri

di Cyril Aslanov

[Ebraica. Letteratura come vita] Due dei maggiori rappresentanti della letteratura israeliana – Avraham B. Yehoshua e David Grossman – sono riusciti a trovare un modo originale per raccontare la Shoah. Invece di affrontare direttamente il tema, i due scrittori hanno usato delle deviazioni narrative che permettono un interessante cambio di prospettiva.

Nella seconda conversazione del suo affresco storico Il signor Mani (Mar Mani), pubblicato nel 1990 in versione originale e nel 1994 nella traduzione italiana di Gaio Sciloni, Yehoshua immagina il monologo del giovane soldato tedesco Egon che racconta a sua nonna adottiva come abbia cercato gli ultimi ebrei di Creta per arrestarli e mandarli alla morte. Fra i pochi ebrei di Creta si trova la famiglia Mani, che non è originaria dell’isola ma ci è arrivata da Gerusalemme nel 1918. Questo rovesciamento della prospettiva narrativa nella rappresentazione della Shoah sembra parzialmente ispirato da La mort est mon métier del romanziere francese Robert Merle (1952) e anticipa Les Bienveillantes (Le Benevolenti) di Jonathan Littell (2006, 2007 in traduzione italiana). Nella trama narrativa di Mar Mani, il monologo di Egon si integra nella traiettoria che permette di risalire nel tempo dal 1982, data in cui la prima conversazione ha luogo, al 1848, data della quinta e ultima conversazione svoltasi ad Atene. In questa saga familiare che segue l’itinerario di una famiglia durante quasi 150 anni, il rovesciamento della prospettiva fra vittime e aguzzini permette di far capire che, dopo la Shoah, le vittime scomparse nella tormenta non potevano parlarne, visto che erano morte, mentre i sopravvissuti superavano di rado un’autocensura che impediva loro di rompere un silenzio doloroso. Ecco perché toccava ai persecutori come Egon, l’aguzzino pentito (come si vede nell’epilogo biografico della seconda conversazione) a parlare dell’orrore in cui avevano preso una parte attiva.

Non meno originale è il modo in cui David Grossman ha trattato il tema della Shoah nel suo libro Vedi alla voce: amore (‘Ayyen ‘erekh: ahavah) (1986, 1988 nella traduzione italiana di Gaio Sciloni). Invece di evocare gli eventi tragici dello sterminio di tre milioni ebrei polacchi, il narratore Momik descrive la traccia che il genocidio ha lasciato su una famiglia di sopravvissuti che cercano di ricostruirsi nell’Israele della fine degli anni Cinquanta. In questo romanzo deliberatamente destrutturato, la seconda parte, intitolata Bruno, è dedicata a Bruno Schulz, lo scrittore ebreo di espressione polacca, assassinato da una SS nel ghetto di Drohobycz nel 1942. Invece di accettare la versione ufficiale della morte di Schulz, il narratore Momik immagina che lo scrittore si sia buttato nelle acque fredde del Mar Baltico, dove è diventato un salmone migratore.

Nella parte successiva, una retrospettiva permette di risalire alla storia di uno dei sopravvissuti che compare all’inizio del romanzo, Anshel Wasserman, il detenuto che gli aguzzini tedeschi non riescono a uccidere e che si trasforma in un nuovo tipo di Sherazade grazie all’interesse dell’ufficiale SS Neigel per i suoi racconti.
A pochi giorni dal Giorno della Memoria, bisognerebbe chiedersi perché Yehoshua e Grossman abbiano scelto queste deviazioni per parlare della Shoah. La loro sofisticazione narrativa potrebbe derivare dal fatto che, essendo entrambi nati in Israele in famiglie che non erano state marcate direttamente dal traumatismo della Shoah, non si sono permessi di abbordare questo argomento in modo letterale.

Si pensi che anche un sopravvissuto come Aharon Appelfeld non descrive l’assassinio stesso ma lo accenna in modo apofatico attraverso i suoi numerosi romanzi, dove egli racconta gli eventi che precedono immediatamente la Shoah (Badenheim 1939), la vita nascosta di ebrei rifugiati nelle fattorie rutene (Paesaggio con bambina) o insieme ai partigiani (Il partigiano Edmond) oppure la vita di un orfano nel dopo guerra (Il ragazzo che voleva dormire). Se un sopravvissuto come Appelfeld non ha potuto esprimere la dimensione indicibile della morte stessa, a maggior ragione questa missione era difficilmente realizzabile per due scrittori che hanno avuto la fortuna di nascere nella Palestina mandataria (Yehoshua) o nel giovane Stato di Israele (Grossman).

È anche possibile che l’orizzonte letterario israeliano sia stato marcato negativamente dallo scrittore Yehiel De-Nur (dal suo vero nome Jechiel Fajner, più conosciuto sotto lo pseudonimo di Ka-Tsetnik 135633). La prosa testimoniale di questo sopravvissuto, spesso intrecciata con la finzione, ha provocato delle reazioni negative, dovute a certe deviazioni pornografiche. Infatti, Ka-Tsetnik descrive, fra altre atrocità, lo sfruttamento sessuale di donne e ragazzi ebrei da parte degli aguzzini tedeschi. Questa brutta impressione, lasciata da un’opera letteraria che ha raccontato l’orrore nei suoi particolari più squallidi, è stato forse una ragione in più per trovare dei modi raffinati nell’evocazione letteraria e stilizzata della Shoah.