Vai e studia. Tutto il resto è commento

Libri

di Fiona Diwan

Interpretazione come fabbrica del dissenso, da Rashi a Buber… Un saggio dello studioso Ugo Volli

«Non fare agli altri ciò che hai in odio: questa è tutta la Torà, il resto è commento. Vai e studia». Lapidario, così Hillel rispondeva a un pagano irriverente che pretendeva gli venisse spiegata la Torà su un piede solo. Ed è da questa celeberrima pagina del Talmud che prende le mosse la riflessione che lo studioso Ugo Volli mette in piedi intorno alla struttura del testo biblico e alla semiotica delle scritture ebraiche. Che cosa significa interpretare? Perché il commento è diventato la forma tipica della produzione ebraica fino ai giorni nostri? Davvero l’ermeneutica ebraica può essere considerata il paradigma più antico di tutte le forme di critica testuale, da quella letteraria a quella d’arte…?, si chiede Volli che oggi manda alle stampe un volume ricchissimo di spunti e analisi, complesso e poderoso, Il resto è interpretazione – Per una semiotica delle scritture ebraiche (Belforte editore, pp. 519, € 25,00), un testo di studio potente e approfondito, ricco di un vasto apparato di note e estesa bibliografia. Docente di Filosofia della comunicazione all’Università di Torino, saggista, docente anche in numerosi altri Atenei italiani e stranieri, autore di una ventina di libri e centinaia di articoli scientifici, Volli ragiona sulla questione del millenario metodo interpretativo ebraico, così unico e peculiare, messo a punto nell’esegesi talmudica, midrashica, filosofica, da Hillel a Rashi, dal Maharal a Buber a Levinas…

Dove stanno il rigore, le regole e i limiti del processo ermeneutico ebraico? Come è possibile evitare una deriva interpretativa arbitraria dove chiunque può dire tutto e il contrario di tutto argomentando di questo o quel brano della Torà? Rendendo omaggio ai suoi maestri di oggi (Arbib, Baharier, Di Porto, Someck, Cipriani), Volli esplora i territori interpretativi del patrimonio sapienziale ebraico, scandaglia gli snodi cruciali della produzione di senso della pagina biblica e ne trae conclusioni appassionanti.

Testi biblici che sono nati per essere sollecitati, accarezzati, fatti rotolare nel mondo, scrive Volli, per poter essere applicati restando se stessi, testo e racconto della Torà con cui ciascuno di noi stabilisce una relazione di intimità. Volli usa l’immagine della molla. Leggere la Torà è da sempre un esercizio «di resistenza e adattabilità, come una molla che si adatta agli ostacoli che incontra ma che poi torna nella sua posizione di partenza». Interpretazione ebraica che ha come cardine il trarre insegnamento e non il ricevere informazione; interpretazione biblica come fabbrica del dissenso, del pensiero divergente, delle dissenting opinions, per usare il linguaggio giuridico anglosassone.

Il volume affronta, tra i tanti, il tema dei Nomi che innerva tutta la Torà e la loro rilevanza in termini di significato-significante, a partire dai numerosi e diversi nomi di Dio (Elohim, Adonai, il Tetragramma, Hashem, Shaddai…), e del perché nella Torà sia presente questa pluralità onomastica, Dio unico ma che tuttavia si manifesta in diverse dimensioni, quella della giustizia, della misericordia… Interpretare, ci dice Volli, non è forse come trarre alla luce, non è come recuperare quelle scintille del divino perse nell’oscurità della Creazione?
Lo studioso triestino -milanese ci prende per mano e riflette sul concetto di martirio, il Kiddush Hashem, nelle sue differenze con le altre fedi; sul significato degli angeli nel sistema simbolico della tradizione ebraica e ancora sulla nozione di libertà religiosa a partire dal monoteismo rivelato sul Sinai. Dal zeker al zachor, come dialettica tra memoria sociale, collettiva, individuale; dall’analisi della tefillah alla tematica – centrale nell’ebraismo-, del segreto, del nascondimento e della velatura, quella di Ester che si maschera, di Mosè che si vela, di Dio stesso che con l’ester panim, distoglie il suo volto (bellissimo il capitolo dedicato al Libro di Ester).

«Questo saggio è il risultato di vent’anni di lavoro sulla possibilità di applicare la semiotica alle Scritture ebraiche, è la ricerca degli effetti di senso (interrogativi, informazioni, emozioni, identificazioni…), che questi testi producono», scrive Volli nel primo capitolo dedicato alle infinite potenzialità di senso del testo biblico, alla sua continua reinterpretabilità e possibilità di aggiornare il testo antico senza modificarlo, a seconda dei tempi storici e alle nuove esigenze. Esito di una vita di lavoro e riflessioni sul corpus testuale ebraico, Volli ragiona partendo dai padri nobili del pensiero semiotico, da Roland Barthes a Umberto Eco e prima ancora de Saussure e Peirce, e si arrampica su per le vette del pensiero dispiegando le acrobazie intellettuali di moltitudini di esegeti, fornendoci una chiave di lettura originale e un puro godimento del conoscere e dell’apprendere.