Un romanzo (e un film) per fare luce sul Caso Mortara

Libri

di Nathan Greppi

Intervista a Daniele Scalise

Negli ultimi mesi, ha suscitato una certa attesa il film Rapito di Marco Bellocchio, che racconta la storia di Edgardo Mortara, il bambino ebreo rapito a Bologna nel 1858 dalle autorità pontificie e convertito a forza al cattolicesimo. Non tutti sanno però che il film, in uscita al Festival di Cannes e dal 25 maggio nelle sale italiane, è tratto da un libro del giornalista e scrittore Daniele Scalise, Il caso Mortara (Mondadori, 1996).

Il Papa responsabile del rapimento, Pio IX, è stato beatificato da Giovanni Paolo II il 3 settembre 2000, suscitando le proteste della Comunità ebraica.

 

 

Scalise, che per decenni ha lavorato per testate quali Il Foglio, Panorama, L’Espresso e Prima Comunicazione occupandosi spesso di antisemitismo e omofobia, è tornato sull’argomento in questi giorni con un romanzo storico, Un posto sotto questo cielo (Longanesi), che racconta il caso Mortara attraverso la narrativa anziché la saggistica. In tale occasione, ha gentilmente concesso un’intervista a Bet Magazine/Mosaico.

Quali differenze ci sono tra le due opere?
Ciò che è diverso è la forma. Il saggio era, appunto, una ricostruzione storica, realizzata consultando gli archivi di mezzo mondo: dalla Biblioteca Nazionale di Parigi alle biblioteche ebraiche di New York, dove ci sono molti materiali sulla storia dell’ebraismo italiano; dagli Archivi Segreti del Vaticano a quelli della Comunità Ebraica di Roma, passando per Bologna dove sono conservati molti documenti giudiziari dell’epoca. Qualche anno fa, la mia agente mi suggerì di romanzare la storia di Edgardo Mortara. Ho cercato di lasciare intatta la struttura storica, introducendo però personaggi di fantasia e sceneggiando alcuni dialoghi, ad esempio quelli tra il padre e il figlio.

Lei si è occupato spesso di storia ebraica e antisemitismo. Come nasce questa sua passione?
Vengo da una famiglia cristiana, molto religiosa, ma a 14 anni ho sentito un disinteresse totale per la narrazione cattolica. In compenso, ho sempre avuto un insolito interesse per la Torah, che ho letto e studiato dai 14 ai 35 anni. Inoltre, pur venendo da ambienti di sinistra, avevo una certa simpatia per Israele: intorno ai 40 anni sono andato come corrispondente di guerra in Iraq, durante la Prima Guerra del Golfo, e quando quel “galantuomo” di Saddam Hussein iniziò a bombardare Israele, ciò mi parve insopportabile.
Aiutato da Oriana Fallaci, che all’epoca era lì con me in Iraq, mi resi conto di quanto fosse importante difendere Israele. Cominciai a studiare la storia dell’ebraismo, di Israele e del sionismo, e da allora non ho più smesso. Ho anche iniziato a studiare la lingua ebraica.

Documentandosi sulla vicenda storica di Mortara, cos’è che l’ha colpita di più?
La violenza. La violenza e l’impunità, a cui si aggiungono l’indifferenza e il tentativo di ricondurre l’accaduto ad un piccolo episodio del passato, quasi un tentativo di giustificarlo. Mi sono occupato soprattutto di antisemitismo cattolico perché, storicamente, ha generato e nutrito l’antisemitismo più in generale.
Vorrei ricordare che Papa Pio IX, il responsabile di quei fatti, venne proclamato beato il 3 settembre 2000 da Papa Giovanni Paolo II, e da allora è protagonista di un processo di santificazione. Nonostante le sue colpe, ho l’impressione che Pio IX goda ancora di un’ammirazione nel mondo cattolico che mi sorprende.

Come le sembrano i rapporti tra ebrei e cattolici oggi, dopo il Concilio Vaticano II?
Non seguo molto il dialogo interreligioso. I mutamenti di atteggiamento da parte della Chiesa sono innegabili, ma ritengo che non sia ancora sufficiente. I cattolici hanno ancora una grossa responsabilità al riguardo.

Il suo precedente saggio ha ispirato un film di Marco Bellocchio in uscita. Come si sente al riguardo?
Sono lusingato, ma ancor più sono emozionato. Non ho ancora visto il film, ma sono sicuro che Bellocchio ha firmato un’opera eccellente. Ho visto tutto ciò che ha realizzato come regista, ed è raro trovare un artista e un intellettuale capace di arrivare al pubblico con l’anima e con la testa.

Sulla base del suo lavoro giornalistico, come vede la situazione dell’antisemitismo oggi, specie in Italia?
Nel 2005 ho pubblicato un altro libro con Mondadori, I soliti ebrei, per il quale ho girato l’Italia a intervistare diverse figure: studenti, commercianti, ecclesiastici e altre ancora su cosa pensassero degli ebrei. Spesso venivano fuori tutte le diverse manifestazioni dell’odio antiebraico.
In Italia sopravvivono vari strati: all’antigiudaismo religioso del passato si è aggiunto l’antisemitismo razziale, al quale spesso si è sovrapposto l’antisionismo politico. Per cui può capitare di trovare l’antisionista di estrema sinistra e il cattolico più ottuso che ripetono narrazioni comuni.

 

Il film
Rapito, così si chiama il film di Bellocchio, inizia nel 1858 quando, a soli 7 anni, il piccolo Edgardo Mortara viene rapito dalle autorità papali per essere educato alla religione cattolica, in quanto una serva avrebbe affermato di averlo battezzato in segreto, da piccolo, temendo che stesse per morire. Sostenuti dalla parte più laica e tollerante dell’opinione pubblica, i genitori si battono per riavere indietro il figlio, che Papa Pio IX insiste affinché rimanga sotto la custodia dello Stato Pontificio. Sullo sfondo, le lotte contro il papato dei moti risorgimentali, che di lì a poco avrebbero portato all’Unità d’Italia e alla fine del potere temporale della Chiesa.
Per anni si è speculato su un possibile film sulla vicenda di Mortara. Inizialmente Steven Spielberg si era detto interessato a questa storia, le riprese dovevano iniziare nel 2017, ma poi rinunciò al progetto.  Così nel 2022 Marco Bellocchio, che era rimasto colpito dalla vicenda, ha deciso di realizzare l’opera.

 

La Casa dei Catecumeni

Edgardo Mortara non fu certo l’unica vittima della pratica dei “battesimi segreti” e della conseguente segregazione dei bambini ebrei nella casa dei Catecumeni di Roma per educarli nella fede cristiana. Guarda caso, si trattava spesso di bambini rapiti a famiglie ebraiche benestanti, cosicché – alla morte del padre – i beni della famiglia potessero passare ai Catecumeni e quindi incamerati dalla Chiesa. Inoltre va ribadito che Papa Pio IX non era assolutamente “obbligato” a fare ciò che ha fatto, perché un suo predecessore, Papa Giulio III, nel 1553, aveva vietato i battesimi “segreti” o forzati dei bambini ebrei senza il consenso dei genitori; quindi il battesimo (presunto) della cameriera poteva benissimo non essere considerato valido. Inoltre l’ingresso coatto nella casa dei Catecumeni non poteva avvenire, secondo il diritto canonico, prima dei 7 anni di età e al momento del rapimento Edgardo non li aveva ancora compiuti. È stata chiaramente una scelta politica, non teologica, tesa a ribadire il proprio potere in un momento storico in cui questo si stava rapidamente sfaldando. Ma anche Tommaso d’Aquino sosteneva che non dovesse essere battezzato alcun bambino ebreo senza l’autorizzazione dei genitori, intendendosi con “bambino” i maschi fino a 13 anni e le femmine fino ai 12 anni d’età, ritenendolo “in contrasto con le risorse naturali della giustizia”.

 

La beatificazione di Pio IX

Il papa responsabile del rapimento, Pio IX, è stato beatificato da Giovanni Paolo II il 3 settembre 2000, suscitando le proteste della Comunità ebraica. In una intervista a Confronti, nel marzo 2000,  la pronipote di Edgardo Mortara, Elèna Mortara, così rispose alla domanda di David Gabrielli .

Come giudica l’idea di papa Wojtyla di beatificare Pio IX, e insieme a papa Giovanni?

“Guardi, sono stata ben felice – anzi, potrei dire: lo siamo stati come comunità ebraica – di constatare il percorso compiuto dalla Chiesa cattolica, a partire da Giovanni XXIII, nella sua rivisitazione della storia passata e quindi delle sue responsabilità verso gli ebrei. Per questo trovo assurda e grave questa decisione di beatificare Pio IX, tanto più durante l’anno del Giubileo cattolico che Giovanni Paolo II ha voluto anche come un anno durante il quale la Chiesa, quasi per rigenerarsi, riflette sui suoi errori. Ma ci si può rigenerare solo con la volontà di non ripetere il male compiuto. D’accordo, non sta certo a noi ebrei dire alla Chiesa cattolica chi essa debba proclamare ‘beato’ o ‘santo’ e chi no. Ma siccome qui si tratta di una persona che ha calpestato con protervia i diritti civili del singolo e delle minoranze e il naturale diritto di famiglia, e che ci ha fatto tanto soffrire – la ferita del ‘caso Mortara’ brucia ancora nella mia famiglia e in tutta la nostra comunità, per non parlare della angheria contro gli ebrei rappresentata dal mantenimento del ghetto di Roma fino al 1870 – noi ci domandiamo che senso abbia indicare come esempio ai propri fedeli un papa che fece quegli errori di cui la Chiesa oggi si pente. Proprio non riesco a capire. Ma penso che molti altri italiani, laici o credenti, incluse le forze migliori del mondo cattolico, condividano il mio turbamento e i miei interrogativi”.