Tempo di Libri: incontro con Ayelet Gundar-Goshen

Libri

di Ester Moscati (ha collaborato Daline Diwald)

Ayelet Gundar-Goshen a Tempo di Libri
Ayelet Gundar-Goshen a Tempo di Libri

Arriva a Tempo di Libri con uno sguardo un po’ spaesato, Ayelet Gundar-Goshen, quasi stupita del successo che sta riscuotendo in Italia il suo nuovo libro Svegliare i leoni (Giuntina). La presentazione nella sala Gothic della Fiera è condotta da una sua fan italiana di tutto rispetto, la scrittrice Michela Murgia, che in televisione aveva dichiarato di essere rimasta folgorata dall’autrice israeliana; anche tra il pubblico in sala la curiosità per questa donna minuta, che ha scritto un romanzo davvero potente, è palpabile; in molti hanno già letto il libro e sono ansiosi di ascoltare dalla viva voce dell’autrice la genesi dell’opera e il significato del titolo. «Nel gioco di potere che si instaura tra i personaggi, la parte istintiva, la fiera che alberga in ciascuno di noi ci mette poco a risvegliarsi, quando si tratta di difendere noi stessi, il nostro mondo, i nostri affetti e la vita che ci consente di esistere mostrando l’immagine che abbiamo costruito di noi».

Disponibile e sorridente, prima dell’incontro con il suo pubblico, Ayelet Gundar-Goshen accetta di rispondere alle domande di Bet Magazine/Mosaico.

Nel suo nuovo romanzo ci sono diversi temi universali come l’identità, l’esilio, il razzismo, ben integrati in un testo letterario di grande valore. La sua formazione in psicologia e il suo essere attivista per i diritti umani condiziona la sua creatività di scrittrice?

In un certo senso, sì. C’è un atteggiamento comune tra l’essere psicologa e l’essere scrittrice e riguarda il rapporto con gli altri, in questo caso con i miei personaggi. Lo scrittore, come lo psicologo, non giudica. È molto più interessato a capire perché un uomo, una donna, agiscono in un certo modo. Se un mio paziente viene da me e dice che ha investito un uomo in un incidente automobilistico, io non lo caccio via dicendogli che è una cattiva persona, ma cerco di capire e fargli accettare l’assunzione di responsabilità, cerco di comprenderlo e aiutarlo. Come scrittrice, è la stessa cosa: il mio protagonista, Eitan Green, investe un uomo, che muore poco dopo (un profugo eritreo, clandestino, la cui moglie assiste di nascosto all’incidente, ndr). Io non lo giudico, cerco di identificarmi e comprendere le sue reazioni e le sue emozioni e le descrivo, non come appaiono all’esterno, ma come agiscono sotto la sua pelle. In psicologia, tutto ruota attorno al porsi delle domande: perché le persone fanno ciò che fanno, perché agiscono così? Una donna mi dice di aver tradito il marito; io non la giudico, non la condanno, ma cerco di capire. Nella letteratura è la stessa cosa: mi chiedo il perché.

L’approfondimento psicologico consente di capire che nel romanzo, come nella vita, non esiste una netta separazione bianco/nero, buono/cattivo, ma in ciascuno convivono potenzialità positive e negative.

Solo nei libri per bambini si può operare una semplificazione di questo tipo, al fine di educarli, certo; ma nella vita capita spesso che brave persone compiano azioni riprovevoli, mentre pessimi elementi, a volte, facciano la cosa giusta. A tutti noi è capitato. Eitan Green è una persona buona, generosa, integerrima, uno stimato neurochirurgo che ha pagato per la sua onestà, ha dovuto lasciare l’ospedale dove lavorava perché aveva smascherato un superiore corrotto… eppure abbandona un uomo morente nella sabbia. Allora, che persona è davvero? Lo stesso Eitan non si riconosce più, ha fatto una cosa di cui non si sarebbe mai ritenuto capace.

Quali sono i suoi modelli letterari e quali sono gli autori che predilige, israeliani e stranieri?

I miei autori preferiti sono due israeliani. David Grossman è per me un grande esempio, non solo come scrittore ma perché è un vero umanista. È molto coinvolto nella vita politica israeliana, si assume delle responsabilità ed è seriamente interessato a fare di Israele un paese migliore per tutti. È molto popolare e ha una grande influenza sugli altri, che usa per cercare di cambiare le cose, non per gratificare il proprio ego ma per il Paese. Un altro scrittore che amo molto è Eshkol Nevo, di una generazione più giovane; è bravissimo, è capace di grande ironia e allo stesso tempo di una profonda “compassione” con i suoi personaggi.

 

C’è un modo, secondo lei, di definire l’israelianità, o meglio esiste un “genio” israeliano specifico?

Tra gli scrittori, come nella gente comune, quello che, se proprio vogliamo trovarlo, è un elemento caratteristico è la hutzpà, che può essere tradotto come “maleducazione”, ma che in Israele è un termine positivo, che indica un insieme di arroganza, sfrontatezza, audacia e anticonformismo. E che, soprattutto, gli israeliani vivono come antinomia rispetto all’ebreo diasporico che ha dovuto per due millenni nascondersi o sottomettersi per sfuggire alle persecuzioni, “straniero” in Europa. Ora, con un nostro Stato, possiamo fare e dire ciò che vogliamo, nel bene e nel male. Possiamo guardare tutti gli altri dritto in faccia.

Come Raz Degan all’Isola dei famosi…

Chi?

Tornando a Svegliare i leoni, ho notato che quando la sua protagonista, Sirkit, parla, il testo è in corsivo. Solo le sue parole sono in corsivo in tutto il romanzo, nessun altro dialogo lo è. Perché?

Grazie di averlo notato! È stato un modo per sottolineare anche visivamente la diversità di Sirkit rispetto al contesto israeliano. Lei è una immigrata clandestina, è “fuoriluogo”, le sue parole sono il simbolo della sua diversità, è in un universo tutto suo che l’ha forgiata in un modo particolare, che nel corso della storia si rivela in tutta la sua drammaticità.