“San” Simonino da Trento: un nuovo libro fa luce sul processo farsa che scatenò un’ondata di violenza in tutta la penisola

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di Ugo Volli

[Scintille. Letture e riletture] Fra il 1475 e il 1476, a Trento, la piccola comunità ebraica locale, composta da tre nuclei familiari con una ventina di persone in tutto, fu completamente distrutta dopo uno dei numerosi processi per quella “calunnia del sangue” che perseguitarono gli ebrei, dal primo caso documentato del 1144 a Norwich in Gran Bretagna fino a ben dentro il Ventesimo Secolo.

Si tratta dell’accusa ricorrente di aver torturato e ucciso un bambino cristiano, imitando le forme della passione di Gesù descritta dal Vangelo, e togliendogli il sangue per consumarlo impastato nel pane azzimo della festa pasquale. In seguito a un processo condotto con l’uso selvaggio di feroci torture, strappando loro in questa maniera le confessioni necessarie, gli ebrei di Trento furono tutti uccisi in maniera efferata, bruciati vivi coi corpi spezzati dalla ruota e le donne uccise in carcere o costrette alla conversione dopo mesi di violenze continue.

Il processo fu così scandaloso anche per quei tempi da provocare l’intervento dell’amministrazione papale, che inviò a Trento il vescovo di Ventimiglia come commissario per cercare invano di farne sospendere gli abusi, e anche del sovrano del Tirolo, da cui dipendeva il principe vescovo di Trento, Giovanni Hinderbach, un “raffinato umanista” che aveva deciso di sterminare a ogni costo gli ebrei del suo feudo.

Molte comunità ebraiche italiane intervennero per cercare di aiutare gli ebrei calunniati e torturati a morte: del caso furono interessati la Repubblica di Venezia, con cui Trento confinava, e perfino l’imperatore. Dopo numerose peripezie burocratiche e dibattiti teologici, Hinderbach la ebbe vinta, riuscì a far ritirare il commissario romano, ad assassinare gli ultimi ebrei in suo possesso a far approvare la regolarità degli atti del processo contestati dal commissario, e anche a ottenere la santificazione del bambino della cui morte aveva incolpato gli ebrei, Simone figlio di Andrea Unverdorben, conciapelli da allora “San Simonino”. Come temevano gli ebrei italiani, il caso di Trento fu contagioso ed ebbe ben presto imitazioni nel ducato di Milano a Pavia, a Marostica in Veneto, in Piemonte e altrove.

Dopo cinque secoli, il caso fu riaperto nel 1962 da Gemma Volli (di cui mi onoro di essere il pronipote), con uno studio storico e soprattutto dialogando con esponenti cristiani fino a far riconsiderare al Vaticano il processo, riconoscerne l’infondatezza e ad annullare il culto di Simonino. Il processo di Trento fu in seguito oggetto di una ricostruzione apologetica di Ariel Toaff, nel più discutibile e infelice libro di storiografia ebraica degli ultimi decenni, Pasque di Sangue.

Sui fatti di Trento nel 2019 è stata allestita dal museo diocesano della città, dunque con l’assenso dell’episcopato, una mostra che chiarisce le dinamiche della persecuzione: L’invenzione del colpevole. Il “caso” Simonino da Trento, dalla propaganda alla storia.

Ora finalmente Giuntina pubblica il libro fondamentale sul processo, Trento 1475 dello storico Ronnie Po-chia Hsia, un’opera uscita originariamente nel 1992, che ha il grandissimo merito di esaminare criticamente i verbali degli interrogatori, mostrando dettagliatamente come gli inquirenti usarono la tortura per indurre gli ebrei a “confessare” colpe che non avevano commesso e di cui venivano obbligati coi tormenti a inventare i dettagli fino a soddisfare i loro carnefici. Un libro duro da leggere come le opere Primo Levi, ma indispensabile per chi vuole comprendere come agisce l’antisemitismo.