L’amore oltre il conflitto: presentato il nuovo libro di Cinzia Leone

Libri

di Pietro Baragiola
“Inizio dalla fine, dalla mia fine”. Con questa frase ricca di tragica intensità la scrittrice Cinzia Leone inizia il primo capitolo del suo nuovo romanzo, Vieni tu giorno nella notte, introducendo una perdita devastante: quella dell’italiano Arièl Anav, soldato dell’esercito israeliano, ucciso nell’attacco kamikaze di un bar di Tel Aviv.

“Una storia che intreccia altre storie” così commenta Emanuele Fiano durante il suo incontro con l’autrice per la presentazione del libro a Milano, martedì 13 giugno.

Racconti diversi uniti da un principale filo conduttore: l’amore. Amore che spingerà la madre del protagonista al disperato bisogno di ricostruire la vita del figlio fino a scoprire un nuovo tipo d’amore, a lei tenuto nascosto: Arièl era omosessuale e innamorato di un palestinese.

Quello descritto da Cinzia Leone (in basso nella foto) è un sentimento potente, in grado di superare il muro delle identità di genere e del conflitto Israelo-Palestinese, come in un moderno Romeo e Giulietta. L’autrice, infatti, ha confessato non solo di aver tratto il titolo del proprio romanzo dalla celebre opera di Shakespeare ma anche che “esattamente come nessuno si ricorda il motivo dei conflitti tra Montecchi e Capuleti” spera che un giorno la gente si dimenticherà anche dell’odio presente tra i palestinesi e gli israeliani e ricorderà solamente l’amore che unisce questi due popoli.

L’ispirazione del racconto

L’ispirazione per questo romanzo è arrivata alla scrittrice grazie agli articoli dei giornalisti Davide Frattini e Sharon Nizza che hanno trattato, in maniera distinta, le vicende dei giovani omosessuali palestinesi che, ripudiati dalle loro famiglie, fuggivano dalla Cisgiordania per arrivare in Israele: un luogo senza prospettive sicure per loro, se non quella della libertà di amare. Rimanendo fortemente colpita da questi racconti, la scrittrice fissa un appuntamento con una delle associazioni di soccorso che si occupano di questi giovani rifugiati e decise di recarsi per 15 giorni a Israele per conoscerli di persona.

“Quando li incontrai arrivarono a coppie e vidi con grande emozione che 3 degli 8 palestinesi che mi si presentarono erano abbracciati ad un partner israeliano” spiega l’autrice che ha capito  immediatamente di avere tra le mani una potente storia d’amore che doveva assolutamente raccontare.

L’amore di Arièl

“Due come noi avrebbero dovuto essere nemici e invece siamo diventati amanti, ovvero i migliori nemici” spiega il giovane Arièl parlando del compagno palestinese, Tariq, nel primo capitolo del romanzo, poco prima di perdere la vita. È un amore pericoloso per il quale il protagonista, arruolato nell’esercito israeliano, avrebbe rischiato forti ripercussioni se fosse stato scoperto dal proprio caporale.

Cinzia Leone, a tal proposito, ricorda con dolore che ancora oggi nel mondo ci sono 64 paesi in cui l’omosessualità è considerata un reato e 7 con la pena di morte. “Com’è l’amore omosessuale? È un amore e basta perché l’amore si chiama sempre allo stesso modo” spiega l’autrice.

È proprio l’amore di Arièl che cambia per sempre la sua vita e quella del compagno. Al tavolino del bar dove i due prendono insieme la loro ultima spremuta con ghiaccio, Tariq mette il protagonista di fronte ad una scelta (“l’esercito o me”) e, vedendo l’esitazione negli occhi dell’amato, decide di alzarsi e andarsene. In quel momento, Arièl, temendo che l’amore della sua vita possa uscire dal locale per poi sparire per sempre dalla sua vita, decide di inseguirlo e, cercando il cameriere per pagare il conto, ecco che vede vicino alla cassa un ragazzo con un giubbotto troppo rigido e pesante per il caldo di quel momento. Arièl capisce subito che si tratta di un kamikaze e si lancia sull’uomo, allontanando la folla, ma fa appena in tempo a raggiungerlo che il detonatore scatta.

“In quell’istante infinito si conclude la mia esistenza” spiega, tragicamente, Arièl.

Ricostruire e continuare a vivere

Questo “istante infinito” che Arièl descrive nelle sue ultime parole introduce un altro tema cruciale del romanzo: il tempo. È un tempo dilatato quello che i genitori del protagonista trascorrono tra il giorno dell’attentato e quello del funerale del figlio, il cui corpo, secondo la religione ebraica, dev’essere prima recuperato e consegnato alla famiglia per essere santificato. Purtroppo, però, l’esplosione del giubbotto dell’attentatore ha dissolto e mischiato i resti di Arièl e del kamikaze rendendo molto difficile il riconoscimento.

Ad occuparsi di questa complicata operazione sono gli specialisti di Zaka (acronimo ebraico per “identificazione delle vittime di disastro”), volontari israeliani che hanno il compito di recuperare ed identificare i brandelli delle vittime in modo da riconsegnarli alle loro famiglie.

In attesa di rendere omaggio ad Arièl, sua madre, Micòl, sente il forte impulso di volerlo rivedere e così inizia a cercarlo negli occhi dei suoi amici e di tutti coloro che lo hanno conosciuto ed amato. L’autrice spiega ai lettori che, probabilmente, se Micòl fosse arrivata a Tel Aviv un giorno prima o uno dopo non avrebbe mai scoperto che il figlio era omosessuale e del grande amore che lui e Tariq provavano l’uno per l’altro.

Misteri famigliari che vengono alla luce e storie di popoli che si intrecciano gli uni con gli altri, proprio come i corpi di Arièl e del suo assassino, che saranno finalmente riconsegnati alle famiglie perché, a prescindere dalle gesta compiute in vita, “i morti meritano comunque il rispetto” come spiega il capitano di Zaka a sua figlia.

Attraverso questa ricostruzione fisica da parte di Zaka ed emotiva da parte di Micòl, Cinzia Leone sostiene un grande concetto israeliano: ricostruire dopo la tragedia per ritornare a vivere. Questo tema è espresso in maniera emblematica non solo dai volontari di Zaka, che a fine giornata tornano a casa ad abbracciare le loro famiglie, ma anche dalla stessa Micòl verso la fine del romanzo.

In questa scena la madre di Arièl, rimasta al buio presso gli scavi del Muro del Pianto, si affida all’aiuto della mamma di un’altra vittima: “Dammi la mano e ti porto io fuori”. In questo cammino nel buio della notte fonda che simboleggia le tenebre scese sulla vita di Micòl dopo il lutto del figlio, la donna inizia a ricordare tutti i momenti felici passati insieme ad Arièl sin da quando era piccolo e queste immagini la accompagnano verso la luce per ricominciare finalmente a vivere.