di Cyril Aslanov
[Ebraica. Letteratura come vita] L’università ebraica di Gerusalemme, specialmente nella sua sede storica del Monte Scopus, da dove si contempla uno dei più bei paesaggi del mondo (da una parte la Città vecchia di Gerusalemme e dall’altra il Deserto di Giudea fino al Mar Morto e i monti di Moab) è uno di quei luoghi dove “soffia lo spirito”, come diceva Maurice Barrès all’inizio del suo romanzo La colline inspirée.
Fra il 1925 e il 1948 e poi dal 1981, quando le facoltà delle scienze umane e del diritto tornarono al Monte Scopus, questo posto accolse una concentrazione straordinaria di professori eredi della migliore tradizione universitaria tedesca. Al di là di questo importantissimo evento nella storia culturale e intellettuale dello yishuv ebraico e dello Stato di Israele, va messa in conto un’altra dimensione, più legata alle belle lettere che alla scienza e all’erudizione.
Vorrei evocare oggi tre libri che dipingono l’atmosfera dell’Università ebraica di Gerusalemme quando non era ancora americanizzata e sembrava un prolungamento degli atenei di Heidelberg, Marburg o Jena, piuttosto che un’imitazione di Harvard o Stanford.
Il primo libro che si ispirò all’atmosfera particolare che regnava nel campus storico negli anni ’30 è il romanzo postumo Shira di Shmuel Yosef Agnon, dove il protagonista Manfred Herbst è dipinto come una caricatura dell’ebreo tedesco erudito. Ironicamente il romanziere, ebreo galiziano che aveva vissuto 11 anni in Germania fra il 1913 e il 1924 e quindi conosceva benissimo i ceti della società ebraica tedesca, immagina che Herbst sia specializzato nelle rappresentazioni iconografiche della Chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli all’epoca dell’imperatore bizantino Leone III Isaurico, che regnò fra il 717 e il 741 e iniziò l’iconoclasmo. Quindi non si potevano trovare icone nella cattedrale della capitale dell’Impero durante il suo regno. Da questo si capisce fra le righe che Herbst dedica tutta la sua attenzione a un argomento inesistente e assurdo.
Il secondo libro che ricostruisce l’atmosfera particolare dell’Università ebraica ai suoi inizi è Una storia di amore e di tenebra di Amos Oz (2002, 2003 nella traduzione italiana di Elena Loewenthal). In questo libro autobiografico incontriamo la figura del filosofo e pensatore sionista Joseph Klausner, il prozio dell’autore, che spiccava fra le sommità del giovane ateneo gerosolimitano.
Più nella vena immaginaria di Agnon che in quella autobiografica di Amos Oz, Batya Gur, deceduta esattamente 20 anni fa, trovò nel mondo universitario talvolta strano e inquietante, composto da persone totalmente dedite alla scienza e all’erudizione, una sorgente d’ispirazione quando scrisse il suo secondo giallo Mavet ba-hug li-sifrut (1989), tradotto da Elisa Carandina con il titolo di Un delitto letterario (2007, edizioni Nottetempo).
In questo thriller, il carismatico professore di letteratura Saul Tirosh è ritrovato picchiato a morte e sfigurato nella sua stanza del campus del Monte Scopus. Un piccolo particolare permette di indovinare che Batya Gur si è basata su di un fatto reale benché anedottico nella sua evocazione dell’Università ebraica. Nel primo capitolo, descrivendo la squisita eleganza del narcisistico professore, la narratrice parla del garofano rosso vivo che adorna il bottone superiore della sua giacca. Quando ho letto questo libro mi è venuto in mente che durante gli anni che passai all’Università ebraica di Gerusalemme, vedevo spesso nella biblioteca un vecchio professore emerito vestito con un blazer blu sempre ornato da un garofano rosso e con una camicia bianca impeccabile (esattamente come Tirosh). Si chiamava Raphael Yehuda Zwi Werblowsky ed era una delle eccellenze dell’Università ebraica di Gerusalemme. Come Tirosh, era conosciuto nel mondo intero, benché in una disciplina diversa della vittima dell’assassinio nel libro di Batya Gur. Era uno specialista di storia delle religioni ed aveva acquisito una notorietà internazionale. Batya Gur si era probabilmente ricordata dell’effetto prodotto dal Professore Werblowsky, quando trasferì il garofano rosso dalla giacca del grande professore reale a quella della sua immaginazione.