Pirati nel dipinto di Jean Leon Gerome Ferris

Pirati ebrei dei Caraibi

Libri

di Nathan Greppi
Quando, alla fine del ‘400, gli ebrei che vivevano in Spagna e Portogallo furono cacciati dalle terre dove vivevano da generazioni, ciò fu solo l’inizio di una lunga persecuzione: infatti, anche quando questi fuggirono nel Nuovo Mondo che Cristoforo Colombo aveva appena scoperto, l’Inquisizione continuò a dare loro la caccia. Ma in questo contesto ci furono anche storie di riscatto e di ebrei che lottarono per ottenere libertà e giustizia. Di questo parla Jewish Pirates of the Caribbean, saggio del 2008 edito da Knopf Doubleday Publishing Group e scritto dallo storico e giornalista Edward Kritzler, deceduto esattamente il 20 settembre di 10 anni fa. Kritzler, americano di nascita ma emigrato in Giamaica, ha analizzato un fenomeno storico poco conosciuto, quello della pirateria ebraica tra il ‘500 e il ‘600.

Nella prima parte del libro, viene approfondito il contesto storico immediatamente successivo alla cacciata degli ebrei dalla Spagna e dal Portogallo: molti conversos, ebrei costretti a diventare cristiani ma che di nascosto continuavano a praticare riti ebraici, emigrarono in Sudamerica e nei Caraibi dove l’Inquisizione era meno influente, sebbene anche lì diede loro la caccia; se scovati, agli ebrei potevano subire 3 diversi destini: l’esilio, la conversione o la morte sul rogo. In molti si arruolarono tra i marinai di Colombo o di conquistadores come Cortez, più tolleranti verso gli ebrei rispetto alla maggior parte degli europei del loro tempo. Nel Nuovo Mondo, molti ebrei diventarono mercanti di successo, che venivano tutelati dalle autorità pur dovendo continuare a nascondere la propria identità.

Le prime testimonianze di pirati ebrei non vengono da oltre l’Atlantico, ma dall’Impero Ottomano e dal Marocco, dove erano meno discriminati che in Europa. Basti pensare che il luogotenente del Capitano Barbarossa, corsaro al servizio degli ottomani, si chiamava Sinan l’Ebreo, o che Samuel Pallache, celebre pirata marocchino, era figlio di un rabbino. Pallache in seguito emigrò in Olanda, dove morì nel 1616, non prima di aver fondato una florida comunità ebraica.

E qui si passa alla seconda parte della storia: prima gli olandesi, e poi i britannici, si servirono di corsari ebrei sefarditi per attaccare le navi spagnole e sottrarre alla Spagna il suo impero. I pirati in questione lo facevano per vari motivi: arricchirsi, vendicarsi delle persecuzioni subite, ottenere delle terre dove avrebbero potuto vivere con gli stessi diritti dei cristiani.

Nel suo libro, Kritzler analizza con cura tutte le forme di intolleranza presenti nel contesto storico trattato, senza fare sconti a nessuno: oltre alle persecuzioni da parte della Chiesa Cattolica, vengono descritte anche le condizioni degli ebrei nei paesi islamici e protestanti, dove rimanevano comunque sudditi di serie B. E anche gli stessi ebrei, nelle loro comunità, avevano regole molto rigide che in alcuni casi allontanavano quegli ebrei che volevano maggior libertà, e la cercarono oltreoceano.

Alla fine del libro, un quesito rimane nella mente del lettore: chi erano davvero i pirati ebrei dei Caraibi (e del Mediterraneo)? Essi rientravano in categorie anche contrastanti tra loro: da un lato coraggiosi guerrieri, dall’altro avidi criminali; da un lato avventurieri in cerca di libertà per il loro popolo, dall’altro pedine in una lotta per il dominio dei mari. Sta di fatto che il libro getta luce su un capitolo curioso della storia ebraica, che meriterebbe di essere maggiormente conosciuto.

(Foto: Jean Leon Gerome Ferris “La cattura del pirata Barbanera”, 1920, fonte Wikimedia Commons)