Un graffito antisemita in Canada, alla Queen's University in Kingston. (Hila Shnitzer photo)

Dall’antisemitismo teologico a quello economico e sociale. Religioso o laico, resta un problema da affrontare

Libri

di Ugo Volli

[Scintille. Letture e riletture] Purtroppo bisogna continuare a ripeterlo: viviamo in tempi in cui l’odio per gli ebrei riemerge con forza, nonostante tutta la pedagogia della memoria, soprattutto nella variante ipocrita dell’odio per Israele.

E questo ritorno non riguarda solo gruppetti marginali di nostalgici delle dittature nazifasciste, ma coinvolge anche movimenti e personalità che si presentano come “progressisti”, “antirazzisti”, “antifascisti” (specialmente nella versione abbreviata che gli estremisti di sinistra negli Stati Uniti usano come marchio di fabbrica “antifa”), “partigiani”. Non è questo il luogo per discutere le ragioni di questo paradosso storico. Piuttosto è utile sottolineare qui l’importanza di libri che permettano di capire meglio l’antisemitismo, problematizzando il luogo comune che lo considera semplicemente una variante del razzismo. Una nuova uscita è Come si crea l’antisemitismo di Ulrich Wyrwa, appena pubblicato da Giuntina. Il libro dello storico tedesco si occupa della violenta propaganda contro gli ebrei condotta alla fine dell’Ottocento da giornali diocesani di Mantova, Milano e Venezia. Si tratta di un filone di storia locale italiana già piuttosto esplorato da storici come Valerio Marchi, Raffaella Perin, Annalisa di Fant e altri.

Quel che raccomanda il libro di Wyrwa sono alcune lucide considerazioni sul ruolo che la propaganda contro gli ebrei, iniziata dai gesuiti di Civiltà Cattolica e poi diffusa insistentemente negli ambienti cattolici in molte diocesi, nonostante la scarsa sensibilità della società italiana al tema. L’“odio antico” della Chiesa nei confronti degli ebrei aveva radici religiose (il “deicidio”, la calunnia del sangue, l’altra calunnia ricorrente sulla profanazione delle ostie ecc.). L’ondata che parte a fine Ottocento è importante non solo perché durerà fino alla Shoah e la darà sfondo e giustificazione, ma anche perché usa soprattutto temi “laici”, cioè economici e sociali. Questi giornali clericali fanno cioè da ponte fra il vecchio “antigiudaismo cristiano” e il nuovo antisemitismo, identificando gli ebrei con la modernità, il liberalismo, il capitalismo. Gli ebrei non sono più un vecchio residuo da schiacciare, ma una potenza “oscura” che domina il mondo e lo spinge verso il libero mercato, l’industria moderna, la democrazia, gli stati nazionali e allo stesso tempo il “cosmopolitismo”.

Dato che tutte queste cose opprimono il popolo e addirittura lo affamano, l’influenza ebraica va eliminata al più presto, con la discriminazione, l’oppressione, magari il sangue. Sono temi “sociali” antimoderni comuni a parte del movimento socialista (per esempio lo stesso Marx) che presto saranno sviluppati dalla propaganda nazista, ma che ancora hanno molto peso nel nuovo antisemitismo di chi pensa che gli ebrei abbiano troppo potere economico e magari li associa al “neoliberalismo”, o che crede che Israele sia uno Stato “colonialista” e “razzista” cui i “progressisti” debbano opporsi, proprio per essere davvero “antirazzisti”.