di Anna Balestrieri
Lemberg asburgica dal 1772 fino alla prima guerra mondiale, Lwòv polacca dal 1918 al 1939, L’vov nell’Unione Sovietica dal 1945, Lviv dal 1991 nell’Ucraina indipendente.
I diversi nomi di Leopoli raccontano il Novecento drammatico della città, capitale della Galizia, di antica storia come centro di commerci tra Baltico ed Europa,multietnica e multiculturale fino alla Seconda guerra mondiale, sede di una prestigiosa Università.
La popolazione polacca, maggioranza in città fino alla guerra, è stata espulsa dopo il 1945 con un’operazione di pulizia etnica che l’ha deportata nei territori tolti alla Germania, soprattutto a Wroclaw, la Breslau tedesca dove molte opere d’arte e documenti d’archivio di L’wow sono stati ricollocati.
Il 20% circa degli abitanti di Leopoli erano ucraini e la città era culla delle organizzazioni indipendentiste ucraine, antipolacche, antirusse e antisemite.
Un terzo della popolazione (circa centomila persone negli anni trenta) era ebrea, una delle maggiori comunità della Polonia, protagonista di vivace attività economica e culturale, in un dialogo costante, seppur non privo di tensioni, con le altre componenti. La Shoah, preceduta dai pogrom dei collaborazionisti locali nel luglio 1941, ha cancellato questa comunità. Poche centinaia di ebrei, l ‘1% forse della popolazione ebraica di prima della guerra, era rimasto vivo alla liberazione (luglio 1944) da parte dell’Armata Rossa.
Vale per Leopoli il termine “urbicidio” , invalso negli ultimi anni ad indicare la cancellazione di una città, non tanto degli edifici, in questo caso, ma di componenti civili e culturali identitarie, della sua “civitas”.
Il testo Visionaries from Lviv vuol essere un ricordo ed un omaggio ad una comunità scomparsa. L’ospedale ebraico di Lviv nasce nel 1903 per la visione e l’impegno economico e organizzativo di Maurycy Lazarus (1832-1912), autorevole banchiere, industriale e filantropo, vissuto nella Galizia austroungarica, partecipe dei moti di apertura liberale della seconda metà dell’ Ottocento, simpatizzante delle tendenze autonomiste. Le sue figlie, di cui una sola di tre sopravvissuta alla Shoah, furono tra le pioniere dell’emancipazione femminile, professionale e politica, collocandosi su posizioni spesso radicali, non condivise dal padre.
L’Ospedale ebraico nasce in risposta alle esigenze sanitarie e religiose della popolazione ebraica, ma è aperto anche alle altre etnie e confessioni. Viene progettato da un team di architetti ebrei, ucraini, polacchi nello stile neomoresco caratteristico, anche in Italia, dell’architettura sinagogale della seconda metà dell’Ottocento. L’ospedale adotta le soluzioni igieniche e strutturali più moderne del tempo. Dotato di un centinaio di posti letto di Medicina e di Chirurgia e di servizi ambulatoriali, è aperto ai pazienti, non solo ebrei e fornisce cure gratuite agli indigenti. Ristrutturato dopo i danni della I guerra mondiale, si dota di sempre nuove attrezzature aprendo alle nuove specialità mediche.
Un capitolo del libro è dedicato alla medicina ebraica in Galizia. La prima laurea in Medicina fu conferita ad un ebreo nel 1409 all’Università di Padova la quale consentiva anche ai non cattolici di seguire gli studi medici, nonostante l’interdetto papale. I primi medici ebrei in Galizia furono quindi italiani o laureati in Italia. Solo molti anni dopo altre università in Germania, Austria, Ungheria, accettarono studenti ebrei. Le interdizioni alla professione verso i non ebrei ebbero fine con Giuseppe II d’Asburgo e l’avvento della Galizia austriaca (1772). I medici ebrei galiziani furono anche protagonisti dell’Illuminismo ebraico(Haskalah), attivi nel favorire l’emancipazione civile e politica, oppositori del tradizionale controllo rabbinico e del chassidismo.
Solo con il Novecento le donne poterono aver accesso agli studi medici in Austria Ungheria. Alla fine della Galizia austriaca (1918) metà delle studentesse in Medicina erano ebree.
L’ospedale ebraico di Leopoli ha avuto fine con la Shoah. L’edificio è rimasto integro, con la sua cupola orientale, una delle poche testimonianze di architettura e vita ebraica nella Leopoli di oggi. È tuttora attivo a 120 anni dalla fondazione, come ospedale materno infantile.
Il testo, con i suoi vari contributi, corredato di belle immagini di documenti e architetture, è stato immaginato e coordinato da Ewa Herbst, pronipote di Maurycy Lazarus, nata in Polonia e residente negli Stati Uniti. Vuol essere un omaggio e un ricordo verso una comunità scomparsa, così viva di visioni e iniziative, il cui ricordo va conservato e arricchito.
“Visionaries from Lviv The Story of a Jewish Hospital”, edito da Ewa Herbst. Boston: Academic Studies Press, 2024, pp. 161, 35 $.