“Il tuo Ceci”: un inedito Cesare Lombroso, svelato dai suoi appunti segreti

Libri

di Michael Soncin

La lotta contro l’alcolismo, la battaglia per penitenziari migliori, la sensibilità sociale, la divulgazione scientifica. Ma chi era davvero il padre della criminologia moderna? Una figura unica, affascinante, poliedrica: ai suoi tempi, l’italiano più famoso del mondo

Pensiamo tutti di conoscere Cesare Lombroso (1835-1909) per i suoi studi pionieristici sulla criminalità, a tal punto da attribuirgli il titolo di padre della criminologia moderna. Era un positivista; le sue teorie scientifiche, figlie del tempo in cui visse, risuonano oggi tanto controverse, quanto frastornanti. Non è forse così? Eppure, ci sono parti della sua produzione, forse le più interessanti, che sono anche le meno note, anzi, alcune totalmente sconosciute. Di questo abbiamo parlato con lo storico Alberto Cavaglion, curatore dell’antologia L’amore nei pazzi e altri scritti, pubblicata da Einaudi, nella collana I millenni, che contiene i testi meno conosciuti di Lombroso.

Cesare Lombroso, L’amore nei pazzi e altri scritti, a cura di Alberto Cavaglion, contributi di Silvano Montaldo, I Millenni, Einaudi, pp. LXVI – 726, con illustrazioni a colori e tavole in b/n, € 85,00

Un criminologo in lotta contro il disagio sociale
«Sono andato a ripescare delle pagine che erano un po’ dimenticate. Ne è emersa la figura di un divulgatore di rilievo, che cercava di mettere a disposizione i risultati della sua ricerca per un pubblico più vasto, dimostrando vivo interesse per questioni di carattere sociale: la lotta contro l’alcolismo, contro la pellagra, la battaglia per i penitenziari. Cose che erano un po’ nascoste negli interstizi dei giornali, che lui stesso aveva malamente messo insieme. Nel volume, non sono antologizzate se non poche parti dei suoi libri più famosi, quelli tradotti in varie lingue; che sappiamo essere scientificamente superati. Eccetto loro, possiamo dire che in questa nuova raccolta, il novanta per cento dei testi presenti, sono praticamente inediti da più di cento anni». Più che nelle vesti di professore universitario, ragguardevole per quegli anni è stato il suo ruolo come direttore nei manicomi. «Quand’era direttore del manicomio di Pesaro, raccolse ad uso delle famiglie dei pazienti i quaderni con i testi scritti dai malati, che fanno trasparire in lui una sorta di Franco Basaglia ante-litteram. Dimostrava grande attenzione per la sensibilità dei pazienti, un aspetto presente anche nelle relazioni che appuntava sulle condizioni dei detenuti. Sono questi per me gli aspetti più significativi che meritavano di essergli riconosciuti». Oltre al Lombroso divulgatore si scopre anche il Lombroso privato. «Ho ristampato Diario intimo, il suo diario giovanile, che uscì postumo, non più in circolazione dal 1930. I diari intimi dellOttocento, anche di tema ebraico, sono molto rari, e il suo ha davvero una scrittura molto bella, intima e interessante, in cui racconta dei suoi sogni, fa dell’autoanalisi, una sorta di confessione freudiana, psicoanalitica, di estrema rilevanza, che fa cadere tanti luoghi comuni su di lui».

CARA LA MIA NINA!

Antonio Maria Mucchi, Cesare Lombroso, olio su tela 1910 circa

Le Lettere alla fidanzata sono l’altra parte significativa di questo variegato corpus, poiché da esse traspare anche – come scrive nell’introduzione Cavaglion – “…la complessità psicologica di un giovane i cui travagli interiori – per esempio il legame mai reciso con l’ebraismo – svelano i contorni di una personalità che esce dalla morale condivisa della borghesia, ancorata ai canoni classici dell’amore coniugale, al valore quasi religioso della famiglia…”. “Cara la mia Nina!”. Iniziano così le lettere che indirizzava alla futura moglie, firmandosi spesso con “il tutto tuo Ceci”, diminutivo di Cesare. “Essa ha 22 anni, è di Alessandria, ebrea di nascita e anche un po’ di convinzione (ciò passerà) …”, è una lettera che egli indirizza all’amico Ettore Righi, dove descrive Nina De Benedetti. I due si sposeranno il 10 aprile del 1870 nella sinagoga di Alessandria. Come riporta lo storico, c’è un altro punto che Lombroso descrive: “La resistenza di Nina a viaggiare di sabato è stigmatizzata in una missiva sempre del 1869; ‘untuosa e pretesca’ è detta la lettera dal Rabbino alla futura sposa…”, un aspetto che sembrava infastidirlo non poco.

IL RAPPORTO POSITIVISTA CON L’EBRAISMO
«Lombroso amava le acrobazie, ma non poteva evitare di fare i conti con la dura realtà da cui proveniva: l’orrida, buia realtà dei ghetti, veri e propri antri, cunicoli dove si era svolta l’esistenza dei suoi avi e dove si sarebbe svolta anche la sua adolescenza, se non fosse sopraggiunta la saggia decisione della madre Zeffira Levi, di farlo venire al mondo dal lontano Piemonte sabaudo e retrivo, nel più aperto e tollerante Lombardo-Veneto, a Verona, città del marito».

Cavaglion racconta inoltre che, come hanno scoperto altri studiosi, Marco Ezechia Lombroso detto Cesare ebbe uno scambio di corrispondenza con Theodor Herzl, guardando con simpatia verso una soluzione nazionale del “problema” ebraico. Non partecipò al Primo Congresso Sionista, ma il suo interesse era evidente. Per l’appunto, fu molto vicino anche a Max Nordau, oltre che per le ragioni legate alla scienza. Aveva una chiara percezione del pericolo che incombeva, viste le ondate di antisemitismo che permeavano l’Europa verso la fine del XIX secolo, in pieno clima Affaire Dreyfus. «Certo, la sua analisi dell’ebraismo è coerente con le idee della scienza di quel tempo, e cioè che la religione sia una forma di superstizione arcaica che debba essere superata dal progresso. Su questo non si distacca dai canoni, dalle consuetudini e nemmeno dagli stereotipi della sua epoca: era un positivista estremo, durissimo contro ogni forma di ritualità, non solo dell’ebraismo. Oggi fa un po’ sorridere, ma per dare la misura della sua severità, non esitò a sottoporre all’analisi antropologica del cranio anche i suoi stessi fratelli della comunità ebraica torinese, dove lavorò per molti anni».
Un altro lato, dei suoi tanti, è quello del Lombroso linguista. «Importantissimi furono gli studi riguardanti l’analisi dei gerghi, dei codici linguistici degli ebrei appena emancipati, della lingua dei ghetti e di quello che ne rimane nelle conversazioni, nelle tradizioni regionali, non solo piemontesi, che dal suo punto di vista avevano caratteristiche simili al gergo parlato dai prigionieri, che considerava forme di linguaggio tipiche di chi soffre di emarginazione, sociale e politica».

UNA FIGURA DA RICONSIDERARE
Lombroso è stato uno degli italiani più celebri al mondo, nella sua epoca, ma in quanto ebreo, dopo la sua morte, il fascismo l’ha “cancellato”, facendo sopravvivere di lui soltanto le sue idee scientifiche, ormai sorpassate dal progresso della ricerca antropologica.
Da questo saggio, si comprende invece che andrebbe riconsiderato per le sue svariate sfaccettature di divulgatore, giornalista, poligrafo che si occupò di medicina sociale, architettura, letteratura, linguistica, questioni giuridiche e storia.

 

IL MUSEO DI TORINO

Pannello espositivo detto “Modus operandi”

Una delle risorse visitabili della città di Torino è senz’altro il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso, dove vi sono raccolti tutti i suoi reperti scientifici, il lavoro sui tatuaggi, oltre alla ricostruzione del suo studio. Nel libro edito da Einaudi è presente un contributo di Silvano Montaldo, direttore del museo, con un saggio ne illustra e contestualizza la storia, come nella seconda parte intitolata: «Il primo museo criminale esistente in Europa».

Un’altra importante fonte è il Lombroso Project, un portale dell’Università di Torino, in cui sono disponibili vaste parti della sua corrispondenza, inclusa quella con gli intellettuali ebrei dell’800.

 

 

 

Foto in alto: il salone del museo Lombroso. (© del Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso” dell’Università di Torino)