Un thriller psicologico in salsa biblica. Le altre di Sarah/Saharah Blau

Libri

di Cyril Aslanov

[Ebraica. Letteratura come vita] Blau si chiamava Sarah ma ha voluto cambiare il suo nome in Saharah, aggiugendo la sillaba –ha– alla forma originale Sarah. Questa decisione è un chiaro riferimento alla trasformazione del nome di Abram in Abraham (Genesi 17:5). E si può interpretare come un modo di rivendicare l’uguaglianza assoluta con il polo maschile pur rimanendo nel contesto culturale della Bibbia ebraica. Non a caso, l’ultimo libro di Saharah Blau Ha-Rishonot “Le prime” (2022) si occupa di figure bibliche femminili, la cui voce non è udibile nel narrativo della Scrittura Sacra: la moglie di Lot trasformata in una statua di sale; Osnat (Aseneth), la principessa egizia moglie di Giuseppe; Yael che dice poche parole al generale cananeo Sisra (Sisara) prima di conficcargli un picchetto nella tempia; Zeresh, la moglie di Aman e altre figure laconiche o mute del racconto biblico.

Tuttavia, prima di scrivere questa analisi femminista delle fonti tradizionali, Saharah Blau aveva pubblicato un thriller psicologico intitolato Ha-Aherot, Le altre (2018; 2023 oggi in traduzione italiana, Piemme editore, trad. Velia Februari, pp. 259, euro 18,90).

Questo romanzo sorprendente scritto in un ebraico talvolta molto raffinato, talaltra deliberatamente colloquiale per non dire francamente volgare, è un viaggio nel passato di quattro donne differenti (“Altre”) che, durante i loro studi all’università di Bar-Ilan a Ramat Gan, avevano deciso di reagire contro le pressioni sociali alle quali vengono sottomesse le ragazze religiose, quasi costrette a sposarsi alla fine del terzo anno di studi.

Le analessi (flashback) di questo romanzo permettono alla narratrice Shila di capire alla fine chi ha assassinato in modo spettacolare due delle quattro ex-compagne di studi.
L’originalità di questo thriller è dovuta all’onnipresenza dei temi biblici o post-biblici a molti livelli del racconto: alla festa di Purim del primo anno dei loro studi a Bar-Ilan, le quattro amiche che si chiamavano loro stesse Le altre si sono travestite in figure femminili bibliche o post-bibliche. Dina, la capa del gruppo, e Shila, la narratrice, hanno scelto di diventare due donne di cui non si narra che abbiano avuto figli: Miriam, la sorella di Mosè e la negromante di Endor che re Saul andò a trovare clandestinamente per fare risalire dallo Sceol il fantasma di Samuele (I Samuele 28:7-25). La terza del gruppo, Na’ama, ha preferito la figura di Michal (Micòl), figlia di Saul e moglie di re David, diventata sterile a causa del suo disprezzo per David quando egli ballò in modo esuberante davanti all’Arca Santa (II Samuele 6:16). Infine, la quarta amica del gruppo, la volgarissima Ronit, incarna Lilith, la demone infanticida di cui la Bibbia non parla ma che è molto presente nell’immaginario ebraico post-biblico.

La narratrice Shila lavora al Museo biblico di Gerusalemme dove sono esposte statue di cera che rappresentano figure bibliche. Queste figurine un poco kitsch sono descritte in modo ecfrastico e ricorrente, soprattutto Michal perché è associata alla protagonista Na’ama che si è suicidata impiccandosi con la fascia di cuoio dei filatteri del proprio marito. Questo suicidio che ricicla un oggetto cultuale in uno strumento di morte non è il solo caso di mescolanza del registro sacro con la sua deliberata desacralizzazione.

In un modo simbolico, Shila la narratrice che si era travestita nella figura di negromante (un’occupazione strettamente vietata dalla Legge ebraica) vive esattamente al limite fra Ramat Gan, città piuttosto laica, e Bené Brak, agglomerato ultra-ortodosso che è infatti il prolungamento geografico, se non culturale, di Ramat Gan. Per di più Shila è una datlashit, cioè una donna nata in un ambiente religioso dal quale si è allontanata. Anche uno dei protagonisti, Mikha, fa parte di questa categoria particolare di israeliani che non sono più religiosi ma continuano tuttavia a percepire la realtà secondo categorie religiose. Questo testo, che mette in scena la coesistenza del sacro e del profano (spesso ex-sacro), è anche scritto in un modo originale: Shila la narratrice parla in prima persona ma spesso dialoga con se stessa in seconda persona per dire il contrario di ciò che ha detto in prima persona.

Questa scissione della voce della narratrice e della coscienza della protagonista è resa tipograficamente visibile grazie all’uso del corsivo per sottolineare l’altra voce narrativa, quella che la narratrice rivolge a se stessa per contraddire la voce principale.