Il sole fra Torà e astronomia

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Quest’anno, il 5769 (2009), ricorre un evento particolare che si ripete ogni 28 anni, la recitazione della Birkàt Ha-chammà (lett. “la benedizione del sole”). In realtà, non benediciamo il sole, come è ovvio, ma benediciamo il Signore Idd-o per aver creato il mondo. Il testo della berakhà afferma: “Barùkh Attà Ad. E-lohenu Mèlekh ha-olàm osè ma’asè bereshìt” (Benedetto Tu, o Signore D-o nostro, Re del mondo, che compi le opere della creazione). Questa berakhà si recita anche quando si assiste a fenomeni naturali imponenti e spettacolari, come p. es. l’apparizione di fulmini, stelle cadenti e comete o quando si vedono alte montagne, grandi fiumi o mari.

Ma per quale motivo sul sole si recita ogni 28 anni? Perché ogni 28 anni si completa un ciclo astronomico legato al sole, che torna nello stesso punto dell’Universo (visto dalla terra), nello stesso giorno e nella stessa ora come era al momento della creazione. L’anno solare è lungo (approssimativamente) 365 giorni e un quarto, che equivalgono a 52 settimane con l’avanzo di un giorno e 6 ore. Questa misura fu adottata da Shemuèl, uno dei più importanti Maestri del Talmud, come durata dell’anno solare. Ciò significa che un certo evento che in un anno capita in un giorno della settimana cadrà l’anno successivo spostato di un giorno (=1/7 di settimana) e 6 ore (=1/4 di giorno). Per capitare nello stesso giorno della settimana e nella stessa ora del giorno bisogna aspettare 7×4=28 anni. Ogni 28 anni, quando assistiamo al completamento e al rinnovo del ciclo astronomico legato alla rotazione (apparente) del sole attorno alla terra, noi esprimiamo lode al Signore per aver creato il mondo.



La Birkàt Ha-chammà si dice sempre di mercoledì mattina (il quarto giorno della settimana). Infatti è scritto nella Torà: “D-o disse: Siano i luminari nel firmamento celeste per separare il giorno dalla notte… e fu così… Fu sera e fu mattino, il quarto giorno” (Bereshìt 1, 14-18). La Torà, quindi, dice esplicitamente che il sole fu creato il quarto giorno della settimana, che corrisponde al tempo che va da martedì sera a mercoledì sera. La tradizione talmudica, inoltre, ci ha tramandato che nel giorno della creazione del sole le ore di luce e di buio erano uguali e che la creazione avvenne in primavera: quel giorno era quindi l’equinozio primaverile (la tradizione secondo cui il mondo fu creato a Rosh Hashanà, in autunno, segue un’opinione diversa). Dato che non si può recitare la berakhà se il sole non è visibile e che all’inizio del quarto giorno (il martedì sera) il sole si trova sotto l’orizzonte, si aspetta il mercoledì mattina per dire la berakhà. La berakhà va recitata entro le prime tre ore dall’alba, con folta partecipazione di pubblico.



Poiché la Birkàt Ha-chammà è legata all’anno solare, la data in cui si recita è (relativamente) fissa nel calendario civile (che si basa sul sole) mentre è mobile in quello ebraico (i cui mesi si basano sulla rotazione della luna): in questo secolo civile (il XXI) la birkàt ha-chammà si recita sempre l’8 aprile, e così è stato per tutto il XX secolo; nel XIX secolo la si recitava il 7 aprile e nel XVIII secolo il 6 aprile. La data ebraica nel 2009 è il 14 di Nisàn (vigilia di Pesach), nel 1981 (5741) era il 4 di Nisàn. Queste regole, che a prima vista appaiono di difficile comprensione, dipendono dall’organizzazione del calendario civile, nelle sue successive versioni. Il calendario giuliano, così chiamato perché introdotto sotto Giulio Cesare nell’anno 46 a.e.v. (il cosiddetto “anno della confusione”, perché durò eccezionalmente 445 giorni), prevedeva un anno solare lungo esattamente 365 giorni e un quarto (come quello calcolato da Shemuèl): non potendo l’anno finire con una frazione di giorno, si decise di far durare ciascun anno 365 giorni, mentre un anno su quattro (l’anno bisestile) sarebbe durato 366 giorni. Inoltre, l’equinozio primaverile fu fissato nel giorno 25 marzo. Tuttavia, la durata reale dell’anno solare è di circa 11 minuti inferiore a quella calcolata nel calendario giuliano: sembra una piccola differenza, ma essa, accumulandosi col tempo, produsse un eccesso che dopo 1500 anni era arrivato a più di 10 giorni. La conseguenza fu che l’equinozio primaverile (che è alla base della pasqua cristiana) si era spostato indietro rispetto alla data fissata. Il papa Gregorio XIII, quindi, radunò un consesso di astronomi e matematici per riformare il calendario, che è tuttora in uso ed è chiamato “calendario gregoriano”. Questa riforma prevedeva che nell’anno in cui fu introdotta, il 1582, venissero eliminati i 10 giorni in eccesso (dal 5 al 14 ottobre), e che da quell’anno in poi fossero bisestili solo gli anni dei secoli divisibili per 400 (come il 2000, ma non il 1900 né il 1800). Inoltre, si stabilì che l’equinozio cadesse il 21 marzo. La differenza fra il calendario giuliano (il cui anno solare è lungo come nel calcolo di Shemuèl) e quello gregoriano fa sì che la data in cui si recita la birkàt ha-chammà si sia spostata in là rispetto al reale equinozio e sia arrivata, nel nostro secolo, all’8 aprile.



La “benedizione del sole” costituisce un esempio illuminante (è proprio il termine adatto) di come i rapporti fra Torà e scienza possano essere fecondi. Infatti, in questo caso la Torà e la scienza sono intrinsecamente legate. La Torà (quella “scritta” e quella “orale”) ci prescrive di dire la benedizione, ma sono le osservazioni astronomiche e i calcoli matematici ad esse connesse che permettono di stabilire i modi e i tempi per dire la berakhà. Il ciclo di 28 anni si basa su un calcolo astronomico-matematico. Non a caso Shemuèl è descritto come colui “che conosceva le vie del firmamento celeste quanto quelle di Nehardea, la sua città” (Talmud bavlì, Berakhot 58b). Senza un approccio scientifico alla natura, ossia senza la capacità di osservare i fenomeni naturali e individuarne e calcolarne le regolarità, non ci sarebbe alcuna benedizione sulla creazione del sole.



E forse non è un caso se quest’anno civile, il 2009, in cui recitiamo di nuovo la birkàt ha-chammà, è stato dichiarato dall’ONU l’Anno internazionale dell’Astronomia. In questo anno infatti ricorre l’anniversario di due importanti eventi avvenuti 400 anni fa: nel 1609 Galileo compì le prime osservazioni astronomiche con il cannocchiale da poco inventato; nello stesso anno Keplero pubblicò la sua opera principale, Astronomia Nova, sull’orbita del pianeta Marte, in cui delineava le prime due leggi che regolano la rotazione dei pianeti attorno al sole.



Le scoperte di Galileo e di Keplero furono fondamentali per il passaggio dalla teoria tolemaica, geocentrica, a quella copernicana, eliocentrica. Entrambi questi scienziati si sono incrociati con importanti personaggi della cultura ebraica. Un allievo di Galileo, quando questi insegnava all’Università di Padova, fu Rabbì Yosef Del Medigo (1591-1655), il quale nel Sèfer Elìm, dopo aver spiegato la teoria copernicana e aver citato le scoperte astronomiche di Keplero, riporta le osservazioni del pianeta Marte fatte dal suo maestro Galileo (“Galileo rabbì”) e aggiunge: “Chiesi a lui (a Galileo) di poter guardare attraverso lo strumento di vetro (il cannocchiale)”. Rabbì David Gans (1541-1613), allievo di Rabbì Moshè Isserles e del Maharal di Praga, fu collega di Keplero nell’osservatorio astronomico vicino a Praga, diretto da Tycho Brahe. Nelle sue opere Rabbì Gans parla di Copernico come dell’astronomo “più grande e celebrato fra tutti i contemporanei, senza eguali dall’epoca di Tolomeo”. (Il Maharal, R. David Gans e R. Yosef Del Medigo sono tutti e tre sepolti nello storico cimitero ebraico di Praga).



Quest’anno l’8 aprile coincide con la vigilia di Pesach (che è anche il digiuno dei primogeniti): per poter dire la birkàt ha-chammà entro le prime tre ore dall’alba, i frequentatori delle varie sinagoghe s’informino dai rispettivi responsabili sull’orario della cerimonia.


Birkàt Ha-chammà, Benedizione sulla creazione del Sole
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