La creazione letteraria nel rapporto tra storia e memoria. Da “Vita e Destino” di Vasilij Grossman

Kesher

di Esterina Dana
Quale ruolo ha la creazione letteraria nel rapporto tra storia e memoria? La letteratura potrà in futuro contribuire alla trasmissione della memoria della Shoah? Ne abbiamo discusso con Cecilia Nizza domenica, 2 marzo 2025, nell’incontro in diretta streaming su zoom organizzato da Kesher.

Oggetto della nostra conversazione è il romanzo “Vita e Destino” di Vasilij Grossman. Scritto nel decennio tra gli anni Cinquanta e Sessanta, si rivela ancora di straordinaria attualità. Dopo una breve introduzione dell’autore e del contesto, Cecilia Nizza narra le vicende occorse al romanzo. Consegnato nel 1962 all’editore e ritenuto pericoloso per il suo contenuto, viene sequestrato dal KGB, e pubblicato solo nel  1980 in Svizzera e nella sua versione integrale nel 1989. L’opera dimostra come la vittoria sul nazismo non porti alla libertà, ma a un nuovo totalitarismo.

In un appassionante dialogo tocchiamo le diverse tematiche che vi  si intrecciano. Al quesito di fondo di questa conversazione si citano le parole di Jorge Semprun, deportato a Buchenwald come prigioniero politico: “quando l’ultimo dei sopravvissuti sarà scomparso, la letteratura dovrà sostituirsi a lui” e afferma quanto sia importante che in futuro “l’Olocausto venga reinterpretato e capito”.

Vita e destino è ascrivibile al genere del romanzo storico, ma si  differenzia da quelli  francesi o russi del XIX secolo, laddove la storia è lo sfondo su cui lo scrittore muove i personaggi. Nel caso della Seconda guerra mondiale e dello sterminio, possiamo rilevare una differenza sostanziale: questa storia è la protagonista e le vicende dei personaggi- testimoni sussistono solo perché esiste questa storia.

Vita e destino è una creazione letteraria, racconta la storia, trasmette memoria. Come corrispondente di guerra al seguito dell’Armata rossa, Grossman fu testimone diretto dei crimini commessi dalle truppe naziste nella loro avanzata in territorio sovietico e diede testimonianza dell’esistenza dei campi della morte, dopo aver varcato i cancelli di Treblinka nel 1943,  nel racconto L’Inferno di Treblinka, che venne usato come atto di accusa al Processo di Norimberga. Nel romanzo egli riporta spesso il suo vissuto “in presa diretta” e assume posizioni sempre più critiche nei confronti del regime sovietico, che accomuna a quello nazista, in quanto entrambi basati sull’antisemitismo.

Numerosi temi e spunti di riflessione si intrecciano nel romanzo. Tra  questi il risveglio, in alcuni dei protagonisti, di una identità ebraica rimossa in nome di un’ideologia, quella comunista, non meno tirannica di quella nazista, e l’amara considerazione sulla negatività del bene, inteso non come mezzo ma come fine, in contrapposizione alla bontà, vista come unica possibilità di salvezza. Ricorrente in tutto il romanzo è il tema chiave della libertà che ritorna spesso collegato a quello del destino.

Un altro motivo che percorre il romanzo è quello dalla presenza femminile e dei suoi valori, che si contrappongono a quelli del mondo dominato dagli uomini a ricordare  il senso dell’amore che guida le donne anche nelle condizioni più tragiche. L’amore materno è visto come simbolo della responsabilità che dovrebbe unire gli esseri umani, come una delle vie estreme per opporsi al Male.

La conversazione si conclude con una riflessione su due parole oggigiorno abusate e di cui sembra si sia perduto il senso: Memoria e Storia. Cecilia Nizza espone il tema così: “Di tutte le facoltà che l’uomo possiede, la memoria è la più fragile, incerta, a volte deludente, a volte ingannevole. […] Proprio (per questo) la tradizione ebraica impone l’obbligo del ricordo. La parola zachòr ricorre nella Torà, […] anche nel suo opposto, l’oblio. Ricordare e non dimenticare di fatto diventano sinonimi. […] La particolarità del zachòr ebraico è che riguarda non solo l’uomo, ma anche Dio: è un imperativo che li lega in maniera indissolubile. Si può perciò affermare che l’imperativo della memoria è alla base della sopravvivenza del popolo ebraico e della sua identità, nonostante gli esili, le persecuzioni, i tentativi di sterminio, la volontà di assimilazione. […] Ma cosa devono ricordare gli ebrei e quale rapporto li lega al loro passato, alla loro storia?  […] La memoria ebraica si esprime […] nella trasmissione di padre in figlio del ricordo di quell’evento. Così, poiché la storia non si ripete, la rivelazione sul Sinai non potrà essere rivissuta se non attraverso il suo racconto di generazione in generazione, al punto che ognuno dovrà sentirsi come vi avesse partecipato.